Trump, la politica estera americana, le incertezze europee

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La simpatia “ragionata” verso la politica degli Stati Uniti.
Oggi tutto è diventato complesso e complicato, anche dentro il “mondo cattolico”.
L’incerta leadership della von der Leyen e il futuro dell’Europa

Tra le attribuzioni al Presidente Donald Trump, una sola è meritoria: aver evidenziato con estrema chiarezza quale sia la politica estera degli Stati Uniti.  Per poter dare un giudizio sull’attuale presidenza degli Stati Uniti, bisogna partire da qui.

Il passato: la mia simpatia critica verso gli USA

Non ho mai pensato che gli Stati Uniti fossero il luogo descritto da Tocqueville nel suo celebre libro “La democrazia in America”, che abbiamo letto con attenzione, traendone una passione per la democrazia come ideale.

Questa passione, passata attraverso l’esperienza politico-culturale della sinistra cattolica, del contrasto alla guerra in Vietnam, dello sconcerto per il colpo di stato in Cile e altri nefasti interventi sullo scacchiere mondiale tesi all’egemonia politica ed economica, ha sempre reso il mio rapporto con la politica internazionale degli Stati Uniti alquanto critico. Una criticità temperata dalla convergenza di pensiero e passione con le lotte di Martin Luther King, di Cesar Chavez, l’impegno sociale di Dorothy Day, quello politico di Robert Kennedy e del sindacalismo statunitense.

Queste convergenze ideali mi hanno aiutato ad alimentare una visione critica ma non contraria agli Stati Uniti, distinguendo le tensioni e le aspirazioni popolari dalle scelte politiche dei governi. Gli Stati Uniti sono stati un grande laboratorio politico e sociale e di maturazione dei diritti personali, influenzando i modi di pensare la politica, l’economia e la società, senza dimenticare che sono stati anche l’espressione del formarsi di un capitalismo monopolistico e del finanzcapitalismo attuale.

Il presente: non solo Trump e non solo la politica

È in questa modalità che, in questi tempi scabrosi e pericolosi, cerco di leggere le decisioni del Presidente Donald Trump.

Diventa sempre più necessario tenere presente questa complessità e le sue contraddizioni per cercare di comprendere cosa stia succedendo. Concentrarsi solo sulle dichiarazioni e sulle decisioni del Presidente Trump ci impedisce di vedere i movimenti popolari ed ecclesiali che si stanno animando e le culture sociali, politiche e umanitarie che continuano a circolare nella società statunitense.

Concentrarsi solo sul politico istituzionale credo sia un vero limite della politica attuale, che continua, in larga parte, a considerare politico solo ciò che avviene all’interno dei suoi confini, senza cercare di attraversarli per capire cosa si muove nella società, nella cultura, nell’informazione, ma anche nelle Chiese e nelle diverse realtà religiose.

Non avere una visione complessa della realtà, dei sogni, dei desideri, degli affetti, dei sentimenti personali e individuali e di ciò che matura nelle nostre società e come certi pensieri e certe scelte si formano e si concretizzano in decisioni, anche elettorali, vuol dire lasciarsi sfuggire il mondo e il suo essere come è.

Viviamo in una società pluralista, incapaci di assumere il pluralismo come condizione di vita, di conoscenza e di comprensione, continuiamo a interpretare la realtà sociale attraverso schemi unitari quando questi sono frantumati. Mi stupisco, ma non troppo, avendo anch’io utilizzato certi schemi e vissuto certe esperienze, a sentire parlare di mondo cattolico come di qualcosa di unitario, quando invece è attraversato da una molteplicità e dal formarsi di una complessità che esigerebbe profonde trasformazioni nel modo di essere Chiesa. Sperando che la stagione giubilare e sinodale ci porti verso un profondo rinnovamento, abbandoniamo il concetto di “mondo cattolico” per assumere quello di “mondi cattolici”, riconoscendo che le diversità stanno dentro il corpo della Chiesa.

Lo scontro alla Casa Bianca: le ragioni profonde

Credo che sia la tentazione all’univocità che fa sì che alcune semplici realtà continuino a sfuggire al profluvio di commenti scatenato da quanto si è svolto “in diretta” alla Casa Bianca, venerdì 28 febbraio. Ci si è quasi scandalizzati per l’emergere dell’esistenza di un rapporto di connivenza tra Washington e Mosca; ma abbiamo anche capito che la prepotenza e l’arroganza di Trump nascono dalla perdita (in atto da anni) di egemonia sul mondo degli Stati Uniti e che il declino dei protagonisti della Guerra Fredda corrisponde alla loro ostilità verso un’Europa politicamente ed economicamente integrata.

La guerra in Ucraina è certamente scatenata dall’aggressione russa, ma è pure germinata dalle profonde convergenze antagoniste di Biden e Putin, come la pace di Trump converge con i suoi interessi e quelli di Putin. Si profila una “pace” delle convenienze da cui il popolo che più ha sofferto la guerra viene escluso dalla costruzione, così come si vorrebbe concludere la pace in Palestina costruendo un resort, ovvero una struttura vacanziera esclusiva, in questo caso un rifugio di lusso, ricco di piaceri e comfort, riservato ai ricchi, deportando i Palestinesi.

A volte ho l’impressione che la caduta del Muro di Berlino, che abbiamo celebrato con gioia democratica, per gli attuali potenti del mondo sia concepita più come un trauma che come l’avvio di una liberazione e apertura. Se per la Russia, che ha perduto il suo impero, è comprensibile, anche per gli Stati Uniti sembra che la gioia sia finita nel nulla.

Con la speranza (incerta) che l’Europa si svegli

Continuo a sperare che l’Unione Europea si svegli, anche se ne dubito, perché ho l’impressione che la guida di Ursula von der Leyen non sia all’altezza della sfida in atto. A fronte dell’avvio di una vera e propria guerra commerciale che Trump vuole e sta attuando, la presidente della Commissione Europea si rifugia nella proposta di una spesa militare astronomica, concepita a misura di una NATO a predominanza degli Stati Uniti, ignorando che ormai si sta marciando verso un rapporto di convenienza tra Washington e Mosca, rispetto al quale si invoca una difesa europea.

Personalmente, continuo a sperare in un’evoluzione dell’Unione Europea verso gli Stati Uniti d’Europa, dotati di regole chiare e decisionali in politica estera orientata alla pace, capaci di organizzare percorsi di difesa civile non armata per garantire la propria sovranità e contrastare ogni aggressione e dominio, rendendo la società consapevole della propria forza.

È un’utopia?  Forse!

Può essere un sogno se ci attestiamo sulla realtà del momento e del politicamente corretto, ma oggi le situazioni che si pongono sui temi delle libertà, dei diritti civili e della crisi climatica ci chiedono di proporre e praticare le possibilità e di non restare incatenati a condizioni che, anche se in modo inconscio o non palese, continuano a pensare che la società si regga sull’hobbesiano “Homo homini lupus” (“ogni uomo è un lupo per un altro uomo”), mentre le questioni che ci si pongono rendono necessario e urgente aprire un cammino dell’uomo fratello dell’uomo.

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