“Se nei siti Unesco la ricchezza diventa una variabile che ne determina l’accesso, allora sarebbe compito delle stesse istituzioni internazionali intervenire”

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Il turismo di lusso può essere una chiave per ridurre il sovraffollamento e, allo stesso tempo, coprire i crescenti costi dell’industria dello sci? “Bisogna distinguere tra il diritto di visitare un luogo, e non si vede come si possa creare una discriminazione basata sulla ricchezza, e il suo concreto esercizio. Ogni territorio può agire per ridurre l’overtourism, ma non credo possa farlo con una selezione così palesemente di classe. C’è però un aspetto decisivo: se da sempre ci sono località esclusive accessibili a pochi, ciò non deve valere nei siti Unesco. Quando un territorio è proclamato “Patrimonio dell’umanità”, non si può poi decidere che questa umanità sono solo quelli abbastanza ricchi per potervi accedere, perché sarebbe una contraddizione evidente”.

 

Abbiamo intervistato Claudio Visentin, docente di Cultural History of Tourism presso l’Università della Svizzera italiana, per approfondire la crescente tendenza di molte località di montagna (ma non solo) a indirizzare i flussi turistici verso fasce di reddito medio-alte. Anche il caso Roccaraso ha fatto emergere, tra le altre cose, il conflitto tra un turismo ricco e un turismo povero e la necessità di approfondire le diverse questioni che l’accessibilità della montagna solleva. 

 

Le limitazioni sono necessarie in luoghi sempre più sovraffollati – prosegue Visentin – ma non possono essere fatte in direzione di classe. Anzitutto, la strategia di mantenere la sempre più costosa industria sciistica con una crescita dei costi appare disperata e senza fondamento. Nel giro di pochi decenni non si scierà più sia per le alte temperature e la poca neve sia per l’estrema irregolarità dei fenomeni: in passato era possibile contare su una stagione ragionevolmente lunga e regolare, per cui i turisti programmavano quando andare a sciare. Ora invece è diventato tutto aleatorio e richiede sempre più energia e interventi.

 

Le località che oggi investono nello sci avranno dei rischi in futuro, nonostante gli investitori continuino a promettere e garantire rendimenti. Quello che invece si deve fare è uscire gradualmente dalla monocultura dello sci: dove si può ancora a sciare ha senso continuare ma senza nuovi investimenti e infrastrutture, mentre molte altre località stanno già passando a modelli diversi di turismo proprio perché le prospettive future non guardano in questa direzione”. 

 

 

IL TURISMO RICCO CONTRADDICE IL CONCETTO DI PATRIMONIO DELL’UMANITÀ

 

Il prof. Visentin afferma: “Riguardo invece a una gestione dei flussi che punta solo alle fasce più alte in molti luoghi nel Mondo, dove non ci sono bellezze rare, un turismo elitario esiste da sempre e credo sia abbastanza inevitabile. Non può tuttavia riguardare i luoghi simbolici per l’umanità. 

 

Qualora anche nei siti Unesco si facesse un discorso esplicito che riconosce nella ricchezza una variabile che ne determina l’accesso – prosegue il docente -, allora diventerebbe compito delle stesse istituzioni internazionali intervenire. Certamente deve essere prima di tutto il territorio stesso a comprendere la contraddizione profonda che c’è tra questi due aspetti, ma in caso contrario ci possono essere interventi esterni per gestire quello che a me sembra davvero un palese contrasto”.

 

Cresce nel mondo un movimento di resistenza al turismo predatorio. Non è però quello che sta sempre più accadendo in molte località delle Dolomiti, dove aumentano i pacchetti turistici che offrono un’esperienza esclusiva a prezzi elevati, tour in elicottero dal forte impatto ambientale, hotel a 5 stelle e progetti di villaggi turistici di lusso per clientela selezionata?

 

“Certo non sono belle notizie – conclude Visentin – e aprono un capitolo molto ampio su cosa si può fare per contrastare il sovraffollamento turistico senza ricorrere a queste strategie. La mia sensazione è che scelte di questo tipo siano molto rischiose: già oggi si sta diffondendo un movimento di resistenza verso questo turismo in qualche modo predatorio, nel quale gli investitori entrano in un territorio, lo trasformano, massimizzano i profitti nel breve termine e poi spariscono, lasciandolo da solo a subirne le conseguenze economiche, sociali e ambientali.

 

In tutto il mondo è così e in tutto il mondo c’è un fenomeno di resistenza che non parte necessariamente solo dal basso. Da un po’ di tempo infatti anche i pubblici poteri, i governi e le organizzazioni non guardano più tanto in quella direzione perché ormai gli esempi di come quel tipo di turismo non funzioni si moltiplicano: se si parla di turismo sostenibile e responsabile, non è solo per ragioni etiche ma anche perché sul lungo periodo è un turismo che funziona molto meglio”.

 

Articolo a cura di Sandy Fiabane

 

Fotografia in apertura di Tiia Monto





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