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Schlein resiste alla scomunica di Prodi, e a quella più serafica di Gentiloni, mentre Zanda invoca il congresso. “Sulla pace non molliamo”
La scomunica di Romano Prodi è arrivata sonora come una staffilata e non è neppure quella che preoccupa di più Elly Schlein. Sulla scelta di schierare il partito contro il piano europeo di riarmo si agitano tutte le istituzioni e tutti i soggetti che sono da sempre stelle polari per il Pd. Non si tratta di una sterzata un po’ brusca o di una correzione di rotta: è uno strappo con ricadute sia all’interno che all’esterno del partito, e le seconde sono più preoccupanti delle prime.
Il professore è andato giù pesante: se ci fosse stato l’esercito europeo Putin non avrebbe attaccato l’Ucraina, senza l’esercito europeo nuove aggressioni russe sono possibili, forse prevedibili. Sin qui la segretaria del Pd sottoscriverebbe senza un fiato: il no al ReArm Europe è giustificato proprio dal suo non essere un piano di difesa comune europeo ma il riarmo diviso di 27 Paesi. Solo che poi Prodi affonda: “Il riarmo è una tappa verso la difesa comune”. Pollice verso. Sergio Mattarella, dal Giappone, è stato molto più ellittico, come nel suo stile istituzionale. Ma le sirene d’allarme fatte suonare a distesa sul rischio a suo parere fortissimo di nuovi attacchi non lasciano alcun dubbio su quanto il presidente ritenga necessario procedere verso la difesa europea senza cavillare troppo sul percorso indicato da Bruxelles. I segnali che arrivano dall’Unione sono altrettanto netti.
È evidente la rotta di collisione con una von der Leyen tanto calata nel ruolo della generalessa da rifiutare persino il cambio di nome della missione, giusto per segnalare che la difesa non significa solo razzi e bombe ma anche infrastrutture e ricerca. Ma anche il Pse corre in direzione opposta a quella del Pd. I più vicini alle posizioni italiane sono gli spagnoli ma con molto maggiore ambiguità: “Bisogna che la Spagna difenda l’Europa perché l’Europa possa difendere se stessa”, dichiara ed è un semaforo verde al piano di Ursula. La svolta della segretaria, infine, revoca in dubbio un altra stella nel firmamento storico del Pd: Mario Draghi. Sul riarmo l’ex presidente della Bce martella da un anno, con l’obiettivo di sfruttarlo come leva per imporre un’accelerazione dell’integrazione europea.
Va da sé che con appoggi esterni di questa caratura la minoranza sia sul sentiero di guerra. “Stavolta non intendiamo mollare”, giura il leader fresco di nomina Alessando Alfieri e fa capire che su una questione di tanta rilevanza non è neppure escluso che si arrivi alle estreme conseguenze. Zanda chiede una sorta di congresso straordinario di fatto su riarmo e politica estera. Paolo Gentiloni, che nel Pd è un altro nume tutelare oltre che il dirigente più vicino a Bruxelles, ha già mitragliato la scelta della segretaria con toni sobri, in stile con l’uomo, ma nella sostanza drastici. Il congresso che Zanda invoca Elly lo vincerebbe. La grande maggioranza della base, intesa come elettori e non come smilzo esercito di iscritti, è per la pace, dunque contro l’ubriacatura bellica che impazza un po’ ovunque nelle capitali europee. Lo strappo, se confermato, cementerebbe l’alleanza sin qui claudicante con Conte oltre che quella invece già solida con Avs. Ma soprattutto una scelta così marcatamente di rottura con l’intera parabola del Pd inizierebbe davvero a dotare il partito di quell’identità che dal 2008 non è mai riuscito a definire. Sempre che la segretaria riesca a tenere la posizione e non è detto.
Quando a Strasburgo il Parlamento europeo voterà domani la bozza di risoluzione di maggioranza approntata da Ppe Pse e Liberali, che “accoglie con favore” il ReArm Europe, probabilmente il Pd si dividerà tra voti a favore e astensioni. Il coraggio di schierarsi apertamente contro il piano, spaccando sia il Pse che il Pd, la segretaria non ce l’ha. Il Pd del resto non ha mai messo in dubbio la partecipazione alla manifestazione del 15, per quanto si sia configurata sempre più come a sostegno proprio del riarmo. È probabile che Elly abbia insistito molto con Conte per una sua presenza, che avrebbe avuto l’effetto di controbilanciare i falchi. Niente da fare. Dopo aver aperto qualche spiraglio domenica il leader dei 5S lo ha richiuso ieri: “Non ci saremo. Non concediamo ambiguità”. Il momento della verità sarà probabilmente martedì prossimo quando la premier sarà in aula per le comunicazioni in vista del Consiglio europeo del 20 e 21 marzo, quello che darà il via al riarmo. Se la segretaria arretrerà o terrà duro lo si vedrà in aula. E si vedrà anche quanto è profonda e se minacciosa o meno la spaccatura nel Pd.
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