Effettua la tua ricerca
More results...
L’anno scorso su 133.761 ristoranti 10.198 hanno cessato l’attività, il 7,6% del totale. Nello stesso anno i consumi delle famiglie in servizi di ristorazione hanno continuato a crescere, seppure moderatamente e comunque al di sopra della media.
Se allunghiamo lo sguardo oltre la congiuntura, scopriamo che dei 4.530 ristoranti che hanno avviato l’attività nel 2019 solo 2.582 risultavano ancora operativi dopo 5 anni. Nonostante questi dati nessuno si è sentito autorizzato a parlare di crisi dei ristoranti e/o della ristorazione. Più semplicemente si è detto di scelte imprenditoriali sbagliate, business plan improvvisati, modelli gestionali imperfetti.
Se al contrario chiudono uno o due ristoranti stellati c’è la corsa a raccontare della crisi della ristorazione stellata. Ma quell’uno o quei due ristoranti rappresentano appena lo 0,25% o lo 0,5% dei 393 ristoranti che in Italia si fregiano oggi di almeno una stella.
Gli errori da evitare
Perché assistiamo a questa divergenza di approccio? Provo a fare qualche ragionamento. Il primo errore che si commette è di non cogliere l’evoluzione del modello imprenditoriale che da anni attraversa la cosiddetta ristorazione stellata confondendo il ristorante con l’impresa.
Da questo primo errore ne discende subito un altro. La sopravvalutazione del ruolo del cuoco e la contemporanea sottovalutazione del ruolo dell’imprenditore. Un’impresa sostenibile la fa un bravo imprenditore, non un bravo cuoco. Se poi questi due ruoli si fondono in un’unica figura abbiamo l’elemento, distintivo ma non esclusivo, che caratterizza la storia di successo di tante nostre imprese di ristorazione. A volte capita che questa convergenza non si realizzi in modo ottimale con il risultato che l’impresa non genera il valore necessario a renderla sostenibile. Un fatto spiacevole ma non straordinario nel mondo delle imprese.
Il terzo errore sta nell’attribuire la causa degli insuccessi alla crisi dei consumi e alla perdita di potere d’acquisto delle famiglie. Ma c’è davvero qualcuno disposto a credere che la frequentazione di un ristorante da 200, 300 e più euro sia influenzata dalle fluttuazioni del potere d’acquisto delle famiglie?
E poi chissà perché queste stesse categorie concettuali non vengono utilizzate nei confronti del lusso nella moda, nell’automotive o nei gioielli. Forse perché qui è più evidente la contraddizione di chi vuole collegare il concetto di perdita di potere d’acquisto al valore a quattro o a cinque zeri del prodotto.
Che questo accostamento venga invece fatto nella ristorazione ha, tutto sommato, anche un profilo positivo. Evidenzia la popolarità della ristorazione, nell’accezione di servizio popolare anche quando è esclusivo. Ma evidenzia anche che alla ristorazione stellata si attribuisce anzitutto il requisito dell’eccellenza, non del lusso. Dunque valori positivi che per questo dovrebbero essere accessibili a tutti.
C’è poi un altro aspetto che si ricollega al concetto di popolarità. Si tratta dell’enorme sovraesposizione mediatica che tocca tutta la ristorazione, in particolare quella stellata. Ma a questo punto, e torno al punto di partenza, provo a fare qualche riflessione aggiuntiva sulla sostenibilità della ristorazione stellata. È evidente che siamo dinanzi a un modello di business che si caratterizza per costi altissimi e, almeno, in Italia per volumi modesti. Questa correlazione inversa, e cioè che per fare qualità/eccellenza occorra produrre poco, non è una legge del mercato e anche nella ristorazione stellata non trova generale applicazione. Ma per questo occorre varcare i confini nazionali.
Le peculiarità italiane
La ristorazione italiana ha, tuttavia, una genesi distintiva nel panorama internazionale. Spesso è lo specchio di ciò che è avvenuto nel Paese nel passaggio dall’economia agricola all’economia terziaria. Molti ristoranti stellati sono nati in contesti rurali diventando poi vere e proprie destinazioni per clienti provenienti da ogni parte del mondo. Solo più tardi faranno il loro ingresso in città.
Questa ristorazione nasce come impresa familiare e la famiglia è il fulcro di tutto. Abbiamo esempi straordinari di ristoranti stellati che continuano ad avere la famiglia come motore dell’azienda. Anche in questo caso la via della diversificazione del business è stata presa con convinzione e sviluppata con competenza, creando aziende più articolate quasi sempre come filiazione dell’attività principale.
Ancora più evidente appare la necessità di trovare sinergie, sia per linee interne che esterne, quando non c’è una famiglia come fulcro dell’attività e in più non si ha neppure la disponibilità della location.
È evidente che anche i ristoranti stellati come ogni altra impresa devono essere attenti al cambiamento. Riflettere su menu degustazione ridondanti, sulla reale libertà di scelta del cliente, sulla non scontata presenza dello chef patron all’interno del ristorante, non è un’opzione ma una necessità.
Aprire, tuttavia, una discussione sulla purezza di un ristorante stellato come indicatore dello stato di salute dell’azienda è un’operazione inconcludente. La discussione andrebbe fatta invece sulla capacità dell’imprenditore e/o dello chef patron di costruire un’azienda complessivamente sana anche diversificando il business ed evitando di diventare un’attività accessoria di qualcos’altro e di qualcun altro. (riproduzione riservata)
*Direttore Centro Studi di Fipe
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link