Effettua la tua ricerca
More results...
L’avvicinarsi della scadenza dichiarativa del reddito prodotto nel 2024, rende opportuno verificare quali siano le novità di carattere normativo, giurisprudenziale e di prassi ufficiale che sono intervenute negli ultimi mesi. Questa analisi, che negli ultimi anni è stata caratterizzata più da novità e criticità derivanti da sentenze e prassi che da novità legislative, in relazione al 2024 registra, invece, alcune significative evoluzioni normative, grazie alla approvazione del D.Lgs 192/2024, che ha attuato, almeno in parte, le direttive in materia di reddito d’impresa conferite dal legislatore delegante della riforma tributaria (L. 111/2023).
Passiamo, quindi, ad analizzare utilmente le varie parti e i vari righi del quadro RF del modello Redditi delle società di capitali, segnalando i vari aspetti innovativi nella determinazione del reddito d’impresa, oltre che le criticità che ogni singolo contribuente dovrà risolvere.
Un primo punto da analizzare (Rigo RF 7) – che presenta aspetti di attualità (in relazione ad una sentenza della Cassazione che risale ai primi mesi del 2025) – attiene alla rilevanza della plusvalenza derivante da una cessione di azienda, nella quale l’acquirente è inadempiente in merito alla obbligazione di corrispondere il prezzo concordato. L’acquirente, quindi, non potendo pagare il proprio debito, ritrasferisce (si ritiene con l’accordo del creditore cedente) l’azienda al primo cedente. Non avendo conseguito il prezzo, il cedente riteneva che non fosse emersa alcuna plusvalenza tassabile; tesi confermata anche dalla sentenza della Commissione Tributaria di secondo grado, contro la quale ricorre in Cassazione l’Agenzia delle entrate. La tesi sostenuta dall’Ufficio (difficilmente criticabile a parere di chi scrive) è che la plusvalenza si manifesta con il trasferimento del cespite (o dell’insieme di cespiti come nel caso della cessione di azienda), essendo irrilevante qualunque altro comportamento adempiente o non adempiente in merito alle obbligazioni contrattuali. Nel periodo d’imposta in cui è avvenuto il trasferimento si realizza il componente positivo fiscalmente rilevante. Se poi, nel periodo successivo, il credito derivante dalla cessione viene meno, generandosi una perdita, questa sarà un componente negativo deducibile, ma in un diverso esercizio. Sul punto, la Cassazione, sentenza n. 2775/2025, recita: “…. Detto diversamente, la circostanza che non sia stato pagato il prezzo, non esime dalla esposizione in dichiarazione dei redditi, ma si traduce nell’indicazione all’attivo nell’anno in cui il contratto è stipulato ed in uno speculare passivo per il successivo anno in cui il contratto viene sciolto ovvero modificato come nel caso in esame. In questo senso, la mancata percezione del prezzo può essere fatta valere come perdita nella dichiarazione dell’ano successivo”.
Proviamo ad esemplificare il percorso della cessione e della relativa retrocessione.
Nell’anno 1 l’azienda che presenta attivo per 100 e passivo per 50 viene ceduta a 200, generandosi, quindi, una plusvalenza di 150 che va tassata nell’anno 1.
Nell’anno 2 l’acquirente, a fronte di un debito per 200 restituisce l’azienda al valore di libro cioè 50, e ciò fa sì che per il cedente il credito originario di 200 si riduca a 150, e per questa somma l’originario cedente rileva una perdita sul credito di 150 che compensa (nell’esercizio 2) la plusvalenza tassata nell’anno 1.
Sempre in tema di plusvalenza, vi è un altro interessante aspetto che è stato oggetto della risposta ad interpello n. 171/2024. La questione verte su un conferimento di singolo bene, quindi operazione realizzativa e rilevante fiscalmente, per la quale l’istante chiede lumi alla Agenzia delle entrate, ritenendo che il corrispettivo della cessione possa essere assunto pari all’aumento di capitale eseguito dalla società conferitaria. In pratica, l’interpellante ritiene che il riferimento normativo al valore normale, che l’articolo 9, Tuir, esegue per determinare il corrispettivo “incassato” dal conferente, possa essere quantificato concretamente assumendo quale riferimento l’ammontare dell’aumento di capitale, più sovrapprezzo eseguito dalla conferitaria. Sul punto, va sottolineato che la procedura di conferimento a valori “blindati”, cioè il dato dell’aumento di capitale eseguito dalla conferitaria che quantifica anche il corrispettivo da conferimento, è sì stabilita dal Tuir, ma in relazione ad un’altra fattispecie, e cioè il conferimento di partecipazione di maggioranza, oppure di minoranza, ma qualificata ex articolo 177, comma 2 e 2 bis, Tuir. Spostando, invece, l’attenzione al conferimento di singolo bene materiale il valore normale non può che essere quello citato nell’articolo 9, comma 5, Tuir, cioè il prezzo praticato per la cessione di beni similari in condizioni di libero mercato. In tale contesto, se dalla perizia allegata al conferimento emerge un certo ammontare, quello è da intendersi come “valore normale” e se l’aumento di capitale risultasse inferiore, il corrispettivo conseguito si attesterebbe sul dato peritale e non sull’aumento di capitale, come, invece, sosteneva l’interpellante.
Diverso è il discorso ai fini Irap, poiché il principio di “presa diretta” della base imponibile dal bilancio di esercizio, fa sì che la scelta di eseguire un aumento di capitale inferiore al dato peritale, comporti la rilevanza di una plusvalenza calcolata per differenza tra costo non ammortizzato e valore normale che è uguale all’ aumento di capitale. Ciò determina, in definitiva, un diverso importo di plusvalenza rilevante ai fini delle imposte sul reddito rispetto a quello rilevante ai fini Irap; conclusione, quest’ultima, avvalorata dalla citata risposta ad Interpello.
Infine, vale la pena di ricordare, in tema di plusvalenza Pex (articolo 87, Tuir e rigo RF 46 del modello Redditi SC) , che il presupposto di prima iscrizione della partecipazione nell’attivo immobilizzato (che rappresenta uno dei quattro presupposti necessari per assegnare l’agevolazione pex alla cessione della partecipazione), va dimostrato, appunto, con l’attivo del bilancio non essendo sufficiente un passaggio discorsivo in Nota integrativa, se l’evidenza contabile è diversa. In questo senso, la Corte di cassazione, con la sentenza n. 29442/2024, boccia la tesi difensiva del contribuente che sosteneva essere l’iscrizione della partecipazione nell’attivo circolante, un mero errore contabile poi corretto in qualche modo tramite un diverso esito della Nota Integrativa.
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link