Effettua la tua ricerca
More results...
Occhi puntati su Doha dove la delegazione israeliana parteciperà a colloqui con i mediatori impegnati a cercare di salvare l’accordo sul cessate il fuoco a Gaza e la liberazione degli ostaggi. Nella capitale del Qatar dovrebbe arrivare mercoledì 12 marzo anche l’inviato speciale Usa per il Medio Oriente, Steve Witkoff, che prima di lasciare Washington ha ribadito che il disarmo di Hamas è condizione necessaria per andare avanti con l’intesa.
Il gruppo militante palestinese non ha «alcuna alternativa» che lasciare Gaza, ha affermato Witkoff, sottolineando che c’è «bisogno di scadenze» per un accordo sulla fase successiva. L’inviato di Donald Trump ha poi ribadito che le condizioni in cui sono tenuti gli ostaggi sono «inaccettabili» e ha anche elogiato il Qatar per la sua «eccezionale» mediazione.
L’impasse tra Israele e Hamas
Le parti si trovano in un’impasse dopo che la prima fase dell’intesa si è conclusa all’inizio di marzo e i negoziati sulla seconda fase – che dovevano prendere il via a febbraio – non sono mai iniziati. Il gruppo militante palestinese preme per la cessazione definitiva della guerra e il ritiro delle truppe israeliane dalla Striscia in cambio della restituzione di tutti i 59 ostaggi ancora nelle sue mani, di cui 22 si ritiene siano ancora vivi. Ma Israele «continua a rinnegare» l’accordo, «temporeggiando», ha nuovamente accusato Hamas, denunciando il mancato ritiro israeliano dal corridoio Filadelfia come una «eclatante violazione» dell’intesa.
Il gruppo islamista ha rivendicato invece di aver mostrato «flessibilità» e di attendere ora i risultati dei mediatori che devono fare pressioni sullo Stato ebraico perché «rispetti l’accordo e proceda con la seconda fase, secondo i termini concordati».
Israele ha interrotto l’ingresso degli aiuti e la fornitura di elettricità nella Striscia
Il premier israeliano Benjamin Netanyahu punta a un proseguimento della prima fase, con l’ulteriore liberazione di ostaggi in cambio di prigionieri palestinesi, ma senza la conclusione definitiva del conflitto o il ritiro delle truppe, condizioni che metterebbero in serio pericolo la tenuta dell’esecutivo a causa della dura opposizione dell’estrema destra. Per fare pressioni su Hamas, Israele ha interrotto l’ingresso degli aiuti e ieri la fornitura di elettricità nella Striscia. La decisione ha scatenato le proteste dell’Anp, che ha parlato di «escalation del genocidio» a Gaza, ma anche di Londra e Berlino che hanno esortato Israele a riprendere le forniture.
Denunciando un «ricatto inaccettabile», il portavoce di Hamas Abdul Latif al-Qanoua ha avvertito che si tratta di «un’opzione fallimentare che rappresenta una minaccia» per gli ostaggi, i quali, ha ribadito, «saranno liberati solo tramite negoziati». Netanyahu è stretto in patria tra le continue pressioni dei familiari degli ostaggi ma anche di quelle – uguali e contrarie – degli alleati di estrema destra, che respingono qualsiasi concessione ad Hamas, anche se a farne le spese sono i rapiti, e puntano invece a ricolonizzare la Striscia. E anche se il presidente americano, Donald Trump, è stato più volte celebrato dal premier come «il miglior amico che Israele abbia mai avuto alla Casa Bianca», i colloqui diretti tra l’inviato Usa per gli ostaggi, Adam Boehler, e Hamas sono stati una doccia fredda per Tel Aviv, che non era stato avvisato. A peggiorare la situazione è stata l’intervista data dallo stesso Boehler che ha respinto le critiche arrivate – in privato – sottolineando che gli Stati Uniti «non sono un agente di Israele». Non solo, l’inviato Usa ha parlato di «incontro utile» con il gruppo palestinese e ha ipotizzato un qualche risultato concreto «nel giro di poche settimane». Un messaggio forte, in linea con i modi poco diplomatici dell’amministrazione Trump, ma che probabilmente è risuonato alle orecchie di Netanyahu. Già all’inizio di gennaio, prima dell’insediamento di Trump, il premier aveva avuto un incontro con Witkoff dai toni accesi dal quale era scaturito, obtorto collo, il via libera per l’accordo di cessate il fuoco. Come ha denunciato alla Knesset Yehuda Cohen, padre del 20enne Nimrod Cohen, prigioniero a Gaza, «liberare gli ostaggi è più importante per gli americani che per il governo israeliano». «Trump si sta schierando con Netanyahu e sta parlando direttamente con Hamas per liberare gli ostaggi, mentre Netanyahu sta contando i giorni che mancano all’approvazione della legge di bilancio il 17 marzo. Tutto ciò che gli interessa è che la sua coalizione sopravviva», ha sottolineato Cohen. Se la finanziaria non venisse approvata entro la fine di marzo, l’esecutivo cadrebbe automaticamente e si andrebbe a elezioni.
Riproduzione riservata
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link