McDonald’s sta vincendo la sua “battaglia d’Inghilterra”. Ed è un problema globale

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La nuova campagna pubblicitaria è a tutta pagina su quotidiani e settimanali. Gli ingredienti dei nuovi hamburger sono cipolla rossa di Tropea, aceto balsamico di Modena, provolone Valpadana Doc, radicchio di Treviso: siamo in un ristorante vegetariano? No, siamo da McDonald’s in piena campagna mediterranean-washing. 

Per attirare anche i clienti più riluttanti e annullare i residui scrupoli di coscienza, infatti, l’hamburger si fa verde. Una mutazione favorita anche dalla politica che ha visto l’attuale ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida, sempre attento al Made in Italy, sostenere questa transizione.

Bisognerebbe ricordargli che con un Bacon King 3.0 Bbq e una lattina di Coca-Cola si sfiorano le 1.500 chilocalorie (Kcal) e che in Italia ha un peso in eccesso il 47,6% degli adulti (36,1% in sovrappeso e 11,5% obesi) e il 26,3% dei bambini e ragazzi tra i tre e i 17 anni (2,2 milioni). 

Ma che cosa succede al di là della Manica? Gli ultimi dati del servizio sanitario inglese (National health service, Nhs) mostrano che un terzo dei bambini in alcune delle aree più povere dell’Inghilterra al momento in cui lasciano la scuola primaria sono obesi. L’obesità è stata collegata a 1,2 milioni di ricoveri ospedalieri nel 2022-2023, un aumento dell’8% rispetto ai 12 mesi precedenti. 

Nel Regno Unito sembra perciò vincente una strategia aggressiva da parte di Big Food. Il British medical journal (Bmj) ha identificato 15 casi da gennaio 2020 in cui McDonald’s si è opposta alle autorità locali che vietavano l’insediamento di nuovi fast food a meno di 400 metri alle scuole o in aree con un’alta prevalenza di obesità. Questo è previsto nei piani regolatori da 15 anni e dal dicembre scorso le autorità locali hanno ottenuto maggior potere di vigilanza sul rispetto delle regole. 

Dal gennaio 2020 vi sono stati cinque casi in cui si era riusciti a respingere la richiesta di una nuova succursale ma in tutti e cinque il gigante della ristorazione ha fatto ricorso con successo, arrivando a convincere i giudici che il fast food è idoneo a promuovere uno stile di vita sano. 

Gli argomenti messi in tavola sono invitanti. Nei menù, si dice, sono incluse ora opzioni a basso numero di calorie, è presente un’insalata di sole 400 Kcal, il ristorante è situato a 800 metri dagli edifici scolastici, così i ragazzi potranno accedervi a piedi o in bici, facendo sana attività fisica. Gli orari di apertura saranno modulati in modo tale da non interferire con le attività scolastiche o il rientro serale a casa. In più McDonald’s posizionerà quadri di arrampicata sulle pareti esterne per chi volesse bruciare calorie e si impegnerà a sponsorizzare attività sportive e altri servizi utili per la comunità nel campo dell’attività fisica. 

Ricorrendo in appello con questi argomenti, il colosso è riuscito a spuntarla in tutti i casi meno uno e per di più ottenendo un orario di apertura di 24 ore. Un nutrizionista, già consulente di McDonald’s, ha convinto le amministrazioni locali dicendo che l’obesità ha una genesi complessa e multifattoriale, con più di 100 fattori causali diversi e non tutti imputabili ai fast food. In più ha sottolineato come fosse stato promesso supporto alle squadre locali di calcio e rugby. 

A Mansfield (100mila abitanti, 200 chilometri a Nord di Londra, ndr) McDonald’s è riuscita a convincere gli amministratori locali sostenendo che è dei genitori la responsabilità delle scelte alimentari dei figli minorenni. Nella cittadina i dati sull’obesità sono i peggiori d’Inghilterra: colpisce il 28% dei ragazzi al termine della scuola primaria contro il 22% della media nazionale. 

Nel maggio 2021 McDonald’s ha ribaltato con successo in appello le ragioni dei ricorrenti, sostenendo che non erano state presentate “prove evidenti” di un impatto negativo sulla salute e sui problemi della viabilità stradale. L’ispettore di pianificazione ha quindi ordinato al consiglio di pagare parte delle spese di appello di McDonald’s, affermando che aveva mostrato “comportamento irragionevole” nel respingere la domanda. 

La potenza commerciale di McDonald’s e i paventati ricorsi hanno indebolito la volontà di contrastare le richieste, nonostante le preoccupazioni per la salute. La nutrizionista Amelia Lake, docente presso la Teesside University nel Nord-Est dell’Inghilterra, ha dichiarato al Bmj che “è una tempesta perfetta per la quale una macchina ben organizzata e finanziata può ricorrere e presentare prove convincenti per un ispettore. È la classica storia di Davide contro Golia”. 

Le grandi multinazionali alimentari sono più attrezzate rispetto alle piccole aziende per opporsi in appello. Conoscono molto bene i meccanismi burocratici -ha proseguito- e sanno infiltrarsi con argomentazioni che funzionano. Le autorità locali non vorrebbero perdere la battaglia per non creare un precedente ma non hanno le risorse per combattere e vincere. 

McDonald’s ha dichiarato di essere fiera per la sua positiva presenza nella comunità, per il supporto alle attività sportive, per la scelta dei suoi menù, da 30 anni sempre trasparenti negli ingredienti e nelle informazioni nutrizionali. Oggi, infatti, ha precisato, il 57% dei cibi offerti non rientra nella categoria Hfss (less healthy food and drink, cioè con eccesso di grassi, zucchero e sale) e il 90% dei menù combinati rimane sotto le 500 calorie. 

Ad agosto 2024 McDonald’s ha annunciato poi di voler aprire nei prossimi quattro anni 200 nuovi ristoranti nel Regno Unito e in Irlanda, aumentando così i punti vendita dai 1.300 del 2018 ai 1.700 del 2028. Con una crescita così rapida evidentemente molte richieste di insediamento sono state accettate senza opposizione. 

Il portavoce di McDonald’s ha dichiarato con orgoglio al Bmj che “dall’apertura nel 1974 del primo ristorante in 50 anni abbiamo contribuito all’economia del Regno Unito con 94,5 miliardi di sterline, impieghiamo 170mila persone, progettiamo altri 24mila posti di lavoro nei prossimi quattro anni con un investimento di oltre un miliardo di sterline”.

La letteratura evidenzia come l’industria alimentare faccia gioco di squadra con l’industria del tabacco e alcol per contrastare le politiche atte a ridurre consumi. Una delle strategie adottate da Big Food è quella di usare medici compiacenti per ottenere profitto da prodotti alimentari dannosi alla salute. È una tattica usata comunemente, sulla scia di quanto hanno sempre fatto Big Alcohol e soprattutto Big Tobacco. 

Un problema che si aggiunge all’impatto negativo sulla salute del cibo dei fast food è quello del vero e proprio lavaggio del cervello operato sui ragazzi e sulle loro famiglie attraverso una pubblicità ingannevole.

Ad esempio, bisogna rassicurare i fumatori che il fumo non è dannoso come dicono, che un bicchiere di vino rosso allunga la vita, che i cibi ricchi di zucchero non fanno ingrassare se si fa attività fisica e così via, sponsorizzando la ricerca scientifica in tal senso. L’azione di lobbying dell’industria può bloccare o ritardare norme atte a proteggere la salute dei cittadini, annullando gli sforzi delle autorità locali. Bisogna dunque difendersi creando ambienti salutogeni piuttosto che curare gli effetti negativi dei prodotti nocivi alla salute.

Uno sforzo in tal senso è il divieto nel Regno Unito di pubblicità al cibo spazzatura e bevande prima delle 21. La norma entrerà in vigore dal primo ottobre 2025. Ci aveva provato anche Boris Johnson nel 2021 ma l’industria alimentare si era fieramente opposta.

Purtroppo il cibo sano è tre volte più costoso del cibo spazzatura e questo fatto incontrovertibile è un determinante negativo sulla salute che acuisce la disuguaglianza sociale. Se si desidera affrontare in modo efficace la quota di malattie prevenibili causata dal consumo di prodotti nocivi c’è bisogno di politiche di vasta portata che riducano la disponibilità, l’accessibilità economica e la visibilità di questi beni.

Si devono incoraggiare da un lato lo sviluppo di pacchetti educativi liberi da conflitti di interesse, dall’altro campagne basate su evidenze scientifiche atte a contrastare l’uso di cibi spazzatura. 

L’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha implementato di recente dei suggerimenti per proteggere i minori dall’impatto pericoloso con il food marketing, concludendo il suo rapporto con queste parole: “Consentire ai bambini di tutte le età di raggiungere il loro pieno potenziale di sviluppo è un diritto umano e una base fondamentale per lo sviluppo sostenibile. I diritti dei bambini, compresi quelli alla salute, a un’alimentazione adeguata e nutriente, alla privacy e alla libertà dallo sfruttamento, sono minacciati dalla commercializzazione di alimenti Hfss”. Proprio loro.

Giovanni Peronato, reumatologo, ha esercitato per molti anni all’ospedale San Bortolo di Vicenza. Ora in pensione. Fa parte del gruppo di coordinamento del gruppo “NoGrazie”.


Questo articolo di Giovanni Peronato prosegue lo spazio su Altreconomia a cura del movimento “NoGrazie”. Ecco la presentazione a cura di Adriano Cattaneo e Mariolina Congedo.

“Non abbiamo né capi né finanziatori, non abbiamo né soldi né uno statuto, non c’è un presidente né un direttivo, ci sentiamo liberi di dire e scrivere ciò che vogliamo. Ci chiamiamo NoGrazie perché fin dalla fondazione, nel 2004, abbiamo pensato che così fosse giusto rispondere alle ditte farmaceutiche e di altri prodotti sanitari che offrivano al personale di salute, e continuano a farlo, soldi, beni e servizi: dalla biro alla cena conviviale, dal finanziamento per partecipare a un congresso ai fondi per una ricerca. Per queste ditte, che per risparmiare inchiostro e mostrarci anglofili, ma anche per indicare che si tratta di un insieme di imprese sovranazionali, chiamiamo Big Pharma, investire un euro su vari portatori di interessi, medici in primis, significa ottenere un ritorno di almeno tre euro in vendite e profitti. I medici e le altre categorie di sanitari esposti al marketing di Big Pharma si considerano immuni dall’influenza commerciale. Non è così. In un vecchio studio del 2001 si chiedeva a un campione di medici statunitensi quanto i rappresentanti delle ditte influenzassero le loro scelte prescrittive. Solo l’1% rispondeva ‘molto’. Ma quando agli stessi medici si chiedeva quanto i rappresentanti delle ditte influenzassero le scelte prescrittive di altri medici, era il 51% del campione a rispondere ‘molto’. In modo simile, quando a 190 studenti di medicina italiani è stato chiesto se pensassero che i medici possano essere influenzati dalle parole e dai regali dei rappresentanti delle ditte, il 24% ha risposto ‘Sì’, riferendosi a se stessi, ma questa percentuale è salita al 71% riferendosi ai colleghi. Vediamo la pagliuzza nell’occhio degli altri e non ci accorgiamo della trave nel nostro. Ci rifiutiamo di pensare che siamo influenzabili dal marketing, ma lo siamo. Pensiamo che i conflitti di interessi non ci tocchino, mentre lavorano sotto traccia a favore di Big Pharma. E, purtroppo, i conflitti di interessi sono tanto più pericolosi quanto più ci si sente immuni da essi.

Il nostro obiettivo? Contribuire a rendere la ricerca e la pratica medica e sanitaria, in particolare per quanto riguarda l’uso di farmaci, indipendente da interessi commerciali. Per mantenere le distanze da Big Pharma, per evitare che la salute sia gestita dagli interessi di mercato, i NoGrazie non accettano regali di alcun genere, evitano conflitti di interessi, segnalano informazioni distorte e marketing ingannevole, informano operatori e studenti, diffondono letture critiche sui determinanti sociali e commerciali di salute. Lo fanno attraverso una Lettera che esce con frequenza mensile ed è spedita a oltre 1.500 indirizzi e-mail (per riceverla basta iscriversi su www.nograzie.eu, ed è gratis), tramite lo stesso sito internet visitato da 500-1.000 persone al mese e un account di Facebook che ha circa 2.600 followers. Chi volesse entrare a far parte del gruppo non deve far altro che chiederlo su http://www.nograzie.eu/contatti/. Con la stessa facilità con cui si entra a far parte del movimento, se ne può uscire.

Mediante questa collaborazione con Altreconomia, ci auguriamo di sollecitare interesse ai temi di cui sopra anche in un pubblico generale, di non professionisti della salute. Perché, se è vero che gli operatori della salute sono in prima fila nelle relazioni con Big Pharma, è altrettanto vero che i danni conseguenti a queste relazioni pericolose ricadono poi su tutta la popolazione, e in particolare su chi è privo degli strumenti culturali per essere critico e documentato nelle scelte”.

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