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I dazi «metti leva e poi rimetti» da parte di Donald Trump sulle importazioni di merci canadesi e, prima ancora, l’intento di questi di fare del Canada il cinquantunesimo Stato della federazione, ma anche gli impatti di mercato negli Usa in questi giorni – con effetto domino pure in altri mercati – che sta avendo il mix di misure economiche e scelte politiche, annunciate (e in parte attuate) dalla nuova amministrazione, potrebbero avere determinato una scelta adeguata con la designazione di Mark Carney a opera del Partito liberale per la successione al dimissionario premier Justin Trudeau.
Perché Carney è considerato il Draghi canadese
Carney, che ha lavorato a Goldman Sachs ed è stato prima governatore della Banca del Canada e poi della Banca d’Inghilterra (caso più unico che raro di un governatore straniero) e ha ricoperto altri incarichi nel campo economico e finanziario, è considerato il Draghi canadese.
Poiché alle gravi difficoltà avvertite anche nel Canada, dovute alle guerre in atto, alle diverse transizioni, agli altri contrasti geopolitici si uniscono i rischi per la libertà dei commerci e, prima ancora, la minaccia americana campale per l’indipendenza del Canada, l’indicazione di un personaggio con una particolare competenza ed esperienza economica, che con una posizione di netta indipendenza ha affrontato anche la vicenda della Brexit, costituisce un segnale per gli sfidanti.
Certo, non ha una diretta esperienza politica. Tuttavia l’esercizio delle cariche di governatore non è affatto estraneo alla politica. Resta però pur sempre una soluzione di emergenza che dovrà cominciare a dare prove, innanzitutto con la formazione del nuovo governo, nella prospettiva delle elezioni previste ad ottobre.
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L’esperienza italiana di pescare da Bankitalia
Più in generale, la scelta in questione ha degli illustri precedenti anche se non nel Canada: si registrano, invece, in Italia, con ex governatori quali Luigi Einaudi (poi vice presidente del Consiglio, quindi presidente della Repubblica), Carlo Azeglio Ciampi (presidente del Consiglio, ministro del Tesoro, poi presidente della Repubblica), Mario Draghi (governatore prima della Banca d’Italia, poi presidente della Bce, quindi presidente del Consiglio); all’estero, si riscontrano pochi casi, uno dei quali riguarda Lucas Papademos, prima vice presidente della Bce, poi ai vertici del governo greco.
Più nutrita è la schiera in Italia di membri del direttorio (non governatori) della Banca d’Italia chiamati a ricoprire cariche di governo: innanzitutto, Lamberto Dini, prima direttore generale a Palazzo Koch e poi ministro del Tesoro, quindi presidente del Consiglio, in seguito ministro degli Esteri.
Sono tutti casi di scelte adottate in situazioni di gravi difficoltà economiche, ma anche d’impasse politico. L’allora governatore Antonio Fazio era solito dire che, mentre nei secoli passati si tentava con gli eserciti di opporsi alle invasioni di Stati, quanto ora alle particolari invasioni delle crisi finanziarie, sono i banchieri centrali in prima linea nella difesa e nel contrattacco.
Svolgono meglio tali straordinari compiti se poi si spostano ai piani del governo? Non essendovi la controprova, è impossibile dirlo; tuttavia l’azione di resistenza, nelle difficoltà, è sempre apparsa chiara, così come l’efficacia delle misure messe in campo. Non bisogna però dimenticare che stiamo parlando di personalità eccezionali per cultura, rigore, professionalità ed esperienza.
Si può dire, però, che il governo delle istituzioni e i rapporti con l’economia potrà ritenersi avere raggiunto la normalità quando non si avrà più bisogno di ricorrere a scelte di questo tipo. Comunque, occorre evitare che la banca centrale diventi un corridoio per passare negli ambienti dell’esecutivo: ne trarrebbe danno, innanzitutto, l’indipendenza della banca, che non solo deve essere tale, ma tale deve apparire.
Per queste ragioni, Fazio non accolse le autorevoli e diffuse sollecitazioni ad assumere con ampie garanzie la carica di presidente del Consiglio. E neppure sarebbe un segnale rassicurante se si ripetesse ancora quel che diceva pressappoco, ai tempi, il governatore Paolo Baffi: quando i politici non sanno cosa fare, mettono in giro la voce che è necessario il trasferimento del governatore a una carica di governo. (riproduzione riservata)
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