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La Cassazione ha aperto la strada al sequestro delle chat dei contribuenti indagati per evasione fiscale: ecco come questo nuovo potere può influenzare anche i controlli fiscali.
Viviamo in un’era digitale in cui le nostre vite sono sempre più intrecciate con i nostri dispositivi mobili. Cellulari, tablet e computer sono diventati estensioni di noi stessi, contenendo una mole di informazioni personali e professionali senza precedenti. Ma cosa succede quando queste informazioni diventano di interesse per il fisco? La recente sentenza della Cassazione n. 8376 del 28 febbraio 2025 ha aperto un nuovo capitolo nella lotta all’evasione fiscale, autorizzando il sequestro delle chat dei contribuenti su cui pendono indagini tributarie: sequestro che può avvenire anche senza la convalida di un giudice. Insomma, è proprio il caso di dire che, in caso di evasione fiscale, il fisco spia il tuo cellulare e le chat WhatsApp. Questo significa che le conversazioni che intrattieni con amici e colleghi, anche quelle apparentemente innocenti, potrebbero essere usate come prova contro di te in un’indagine fiscale.
Può sembrare un potere senza precedenti, ai limiti della costituzionalità (la Cassazione, del resto ha sempre equiparato le chat alla comune corrispondenza, protetta dall’art. 15 della Costituzione). Ma da sempre, la Finanza, nel corso delle proprie indagini, ha potuto accedere a cassetti e documenti dell’imprenditore, agende, diari e block-notes ove si sospetta possano esservi indizi di una contabilità parallela e “in nero”.
Immagina di avere una serie di crediti “non dichiarati” al fisco che annoti su un taccuino per non dimenticarli: quello, se rinvenuto dagli ispettori tributari, può essere usato contro di te. E così, allo stesso modo, una chat su WhatsApp su cui ti accordi per un pagamento che non troverà riscontro sulla tua dichiarazione dei redditi può diventare una prova di evasione fiscale. Approfondiamo meglio questo aspetto.
Il potere di sequestro del cellulare da parte del PM
La Cassazione, con la sentenza n. 8376/2025 (ma non è la prima in tal senso) ha stabilito che, per sequestrare le chat di un imprenditore indagato per reati tributari, è sufficiente il decreto del PM cioè del Pubblico Ministero titolare del fascicolo di indagine.
Questo significa che non è più necessario il provvedimento di convalida del giudice, come avveniva in passato. Una decisione che ha destato non poche polemiche, sollevando dubbi sulla tutela della privacy dei cittadini.
Tale potere, in ogni caso, rende i controlli fiscali molto più efficaci e, soprattutto, veloci. Difatti, se nel tuo dispositivo ci sono messaggi ove concordi un pagamento in nero per un servizio, la chat vale a dimostrare l’evasione fiscale.
WhatsApp in tribunale: quando gli screenshot valgono in tribunale
La giurisprudenza riconosce sempre più valore probatorio agli screenshot delle chat WhatsApp. Se la controparte non ne contesta in modo efficace la genuinità, questi possono essere usati come piena prova in tribunale.
In ogni caso, il problema dello screenshot viene superato dalla Guardia di Finanza che può sequestrare il cellulare e poi disporre la cosiddetta copia forense: ossia bare una sorta di backup del contenuto per poi restituire il dispositivo al legittimo proprietario.
Le implicazioni pratiche della sentenza
Ma quali sono le implicazioni di questa sentenza per i controlli fiscali? In teoria, il fisco potrebbe utilizzare lo stesso principio per accedere alle chat di un contribuente sospettato di evasione fiscale. Immagina, ad esempio, di aver scambiato messaggi con un amico, concordando un pagamento in nero per un servizio professionale. Questi messaggi potrebbero essere sequestrati e utilizzati come prova per contestarti l’omessa dichiarazione dei redditi.
L’importante, però, è che sia ravvisabile un’ipotesi di reato tributario (con il superamento delle relative soglie di punibilità, ove previste): la pronuncia della Cassazione si riferisce a tali ipotesi e non a quelle di violazioni non costituenti reato (come le evasioni fiscali di basso importo e senza falsificazioni documentali).
Cosa rischiamo?
La possibilità di accedere alle chat WhatsApp e ad altri strumenti di messaggistica rende i controlli fiscali molto più efficaci. Il fisco può ora ricostruire le transazioni economiche e i rapporti commerciali di un contribuente con molta più precisione.
Tuttavia, l’accesso indiscriminato alle chat private solleva seri dubbi sulla tutela della privacy dei cittadini. Le conversazioni che riteniamo riservate potrebbero finire nelle mani del fisco.
Le chat WhatsApp e gli altri messaggi di testo possono essere usati come prove schiaccianti in un’indagine fiscale. Un messaggio che sembra innocuo potrebbe rivelare accordi illeciti e pagamenti in nero.
Evita, quindi, di discutere di questioni fiscali o economiche sensibili nelle chat WhatsApp o in altri strumenti di messaggistica.
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