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L’Italia rischia di rimanere senza chimica di base, ma per il governo non sembra essere un problema. Si è svolto lunedì 10 marzo al ministero delle Imprese e del Made in Italy il tavolo di confronto tra governo, sindacati ed Eni sul futuro di Versalis, la controllata chimica del gruppo petrolifero italiano.
Al centro del dibattito, la decisione di chiudere gli impianti di cracking – la demolizione degli idrocarburi per la produzione di carburante leggero – a Priolo e Brindisi, una mossa che secondo l’azienda si inserisce in un più ampio piano di riconversione industriale verso una chimica più sostenibile, ma che per la Cgil (e non per le altre sigle sindacali) rappresenta un colpo durissimo al settore e all’occupazione, oltre a creare un tema di sicurezza nazionale, in uno scenario geopolitico sempre più fosco.
Un piano di trasformazione da 2 miliardi
Già nei mesi scorsi Eni aveva annunciato una revisione della sua strategia industriale per Versalis, con investimenti per circa 2 miliardi di euro destinati alla transizione energetica e alla decarbonizzazione. Il piano prevede il taglio di un milione di tonnellate di CO2 e la costruzione di nuovi impianti basati sulla chimica da rinnovabili, sulla bioraffinazione e sull’accumulo di energia.
Tuttavia, per finanziare questa trasformazione, Eni ha deciso di ridurre drasticamente la sua presenza nella chimica di base, un settore che, secondo l’azienda, è in crisi irreversibile in tutta Europa. Il piano di Eni prevede l’uscita progressiva dal comparto e la chiusura di alcuni impianti storici: oltre ai cracking di Priolo e Brindisi, verrà dismessa anche la produzione di polietilene a Ragusa.
Il progetto dovrebbe essere implementato entro il 2029, ma le prime chiusure scatteranno già quest’anno: lo stabilimento di Priolo è già di fatto inattivo.
Posti di lavoro a rischio
La chiusura degli impianti ha sollevato forti preoccupazioni tra i lavoratori. Il settore della chimica di base in Italia impiega circa 8mila addetti diretti, ma il numero complessivo dei lavoratori coinvolti, considerando l’indotto, supera le 20mila unità. Solo tra Priolo e Brindisi si contano rispettivamente 1.433 e 1.380 occupati, mentre altri stabilimenti, come Mantova (931 lavoratori), Ravenna (1.555), Ferrara (1.686), Porto Torres (400) e Porto Marghera (294), temono ripercussioni sulla propria attività.
Prima dell’incontro al Mimit, il segretario generale della Fiom-Cgil, Michele De Palma, ha espresso una netta opposizione al piano: «Chiediamo a Eni Versalis di fermare il processo del piano che sta mettendo in piedi. Chiediamo al governo di intervenire per bloccare questo piano e di negoziarlo. Abbiamo bisogno della chimica di base e di garanzie occupazionali per tutti i lavoratori, compresi quelli dell’indotto, di cui molti sono metalmeccanici».
Di tutt’altro avviso la segretaria generale della Femca-Cisl Nora Garofalo: «Il piano presentato da Eni per Versalis è stato ampiamente discusso con le organizzazioni sindacali e permette la riconversione di siti industriali, mantenendo l’occupazione».
La Cgil accusa: «Scelta politica sbagliata»
La questione Eni Versalis ha infatti diviso fortemente il fronte sindacale. Il 26 febbraio scorso, la Cgil ha deciso di ritirarsi dall’accordo sulla riconversione degli impianti, ritenendolo insufficiente a garantire la tenuta occupazionale e industriale del settore.
Martedì 11 marzo la Cgil nazionale, insieme alle sigle di categoria Filctem, Filcams, Fillea, Fiom e Filt, ha organizzato un presidio davanti al Mimit, mentre altre sigle come Uil e Cisl hanno proseguito il dialogo con l’azienda e il governo.
Secondo Pino Gesmundo, membro della segreteria nazionale della Cgil, la decisione di Eni di chiudere gli impianti italiani per acquistare la chimica di base dall’estero è una scelta miope e pericolosa: «La chimica industriale incide sull’80% della produzione industriale del paese. Priolo e Brindisi chiudono, e senza di loro rischiano Mantova, Ravenna, Porto Marghera, Porto Torres e Ferrara. Stiamo parlando di un settore strategico a livello europeo, eppure Eni preferisce rispondere ai suoi azionisti privati anziché tutelare l’interesse nazionale».
Gesmundo ha anche sottolineato i rischi derivanti dalla dipendenza dall’estero per l’approvvigionamento di materie prime: «Le emissioni totali di CO2 saranno maggiori rispetto a quelle attuali, perché a quelle rilasciate per la produzione in Paesi extraeuropei si aggiungeranno le emissioni per il trasporto dei prodotti in Italia».
Infine, ha criticato il piano di riconversione industriale previsto da Eni, giudicandolo inadeguato: «Non siamo in presenza di una transizione verso la chimica verde, come dichiara Urso, ma semplicemente di fronte alla chiusura degli stabilimenti di cracking, che determinerà a catena la chiusura di tutti i petrolchimici».
Urso benedice la scelta di Eni
Di diverso avviso il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, che ha difeso il piano di riconversione di Eni: «Siamo impegnati a tutti i livelli per salvaguardare e rilanciare l’industria della chimica italiana, settore strategico per il sistema industriale del paese». Secondo Urso, il piano da 2 miliardi di euro garantirà la competitività industriale e il mantenimento dell’occupazione, riducendo al contempo l’impatto ambientale.
Urso ha infine assicurato un impegno concreto per tutelare i lavoratori: «Grazie agli operai di Brindisi, Ragusa, Priolo e Augusta. Sarò presto in fabbrica per riconoscere la loro responsabilità e lungimiranza. Così si difende davvero il lavoro». Ma sono proprio i lavoratori Versalis, che rischiano il posto e per questo ieri manifestavano fuori da Palazzo Piacentini, a dubitare maggiormente delle mosse di Eni e del governo.
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