Condanne per 270 anni complessivi al clan Lamendola-Cantanna

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Condanne da 1 a 20 anni di reclusione, per un totale di 270 anni, sono state emesse dal Tribunale di Lecce nella sentenza relativa al processo scaturito dall’operazione ‘The Wolf’, condotta dalla Direzione Distrettuale Antimafia del capoluogo salentino, e dai carabinieri della Compagnia di San Vito dei Normanni, in provincia di Brindisi, nei confronti di 19 persone accusate, a vario titolo, dei delitti di associazione di tipo mafioso, associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, tentato omicidio, detenzione e porto illegale di armi da fuoco e da guerra, violenza privata, lesioni personali, estorsione, ricettazione, danneggiamento seguito da incendio ed autoriciclaggio. Tutti reati aggravati dal metodo mafioso, produzione, coltivazione, spaccio e detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti e violazione degli obblighi inerenti la sorveglianza speciale di pubblica sicurezza. Il clan colpito, attivo in provincia di Brindisi, è quello dei Lamendola-Cantanna, una frangia della Sacra Corona Unita. Confiscato un cavallo di razza. A Gianluca Lamendola sono stati assegnati 20 anni di pena, come pure a Cosimo Lamendola e Domenico Fanizza, 13 anni e 6 mesi a Roberto Calò, 13 anni e 4 mesi a Pancrazio Carrino, 12 anni e 6 mesi a Angelo Cardone, 11 anni e 10 mesi a Rosario Cantanna, 11 anni a Noel Vergine. Il 18 luglio 2023 erano stati raggiunti dall’ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip del Tribunale di Lecce, su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia, cui, in un primo momento, Gianluca Lamendola si era sottratto, dandosi alla latitanza. Lo stesso, il 18 novembre successivo, a seguito di una attività investigativa coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Lecce e dai carabinieri del Comando Provinciale di Brindisi, venne localizzato a Correggio (Reggio Emilia) nella pertinenza di un’abitazione. Con il supporto dei carabinieri del Comando Provinciale di Reggio Emilia, i militari prima cinturarono un complesso condominiale, per poi farvi irruzione e bloccare il latitante. Tra i beni confiscati al presunto capo dell’organizzazione Gianluca Lamendola, anche un cavallo di nome ‘Hielke’, un maschio castrone di razza frisone di 23 anni, utilizzato dall’uomo per spostarsi nei terreni annessi alla sua masseria per incontrare gli altri presunti esponenti del clan e pianificare le attività delittuose. E’ noto che nel mondo criminale il cavallo è simbolo di gloria, nonché bene di lusso da esibire e in cui investire denaro. L’animale è stato affidato all’Arma dei carabinieri e sarà aggregato a un gruppo di cavalli in libertà, in un ambiente incontaminato caratterizzato da boschi e aree adibite a pascolo, nella riserva naturale statale ”Murge Orientali” a Martina Franca, sede del centro di selezione equestre del Reparto Carabinieri Biodiversità. Il cavallo confiscato sarà mostrato alle scolaresche in visita alla Riserva nell’ambito delle attività di diffusione della cultura della legalità e della normativa sulla sottrazione dei beni illecitamente accumulati dalle organizzazioni criminali.

Le condanne scaturiscono dall’indagine della Compagnia di San Vito dei Normanni avviata dopo il tentato omicidio di un sorvegliato speciale, avvenuto la sera del 5 luglio 2020 nel comune di Latiano. La vittima, per puro caso, non venne uccisa dalla raffica di colpi calibro 9, ma solo di striscio. L’indagine ha acquisito un quadro indiziario, ritenuto poderoso a carico dei presunti esecutori materiali e del mandante del tentato omicidio e di accertare come il fatto potesse essere collegato alle dinamiche di controllo del territorio da parte della organizzazione di tipo mafioso capeggiata da Gianluca Lamendola, nipote del mesagnese Carlo Cantanna, condannato all’ergastolo. E’ emersa l’ascesa criminale di Gianluca Lamendola quale presunto capo di un gruppo criminoso dai connotati tipicamente mafiosi avvenuta in modo violento, con l’uso della forza e delle armi; infatti, sono stati acquisiti elementi investigativi di riscontro in ordine a numerosi episodi di pestaggi, sequestri di persona, agguati e tentati omicidi attraverso i quali gli indagati si sono imposti sul territorio determinando una condizione di assoggettamento e omertà dei cittadini, tanto che non risultano presentate denunce, e ricorrendo a condotte estorsive ai danni di esercizi commerciali. Le indagini hanno fatto luce sull’attività di consolidamento del potere di controllo di territori già sottoposti al clan capeggiato da Carlo Cantanna, ma contesi da altri gruppi affermatisi mentre questi era in carcere. Il gruppo voleva riappropriarsi degli spazi con metodo violento e minaccioso, organizzando e partecipando ad una serie di agguati armati, pestaggi e sequestri di persona nei confronti degli infedeli o di coloro che osavano ostacolarne l’espansione o fossero entrati in contrasto con gli interessi dell’associazione. Sono stati acquisite prove sul traffico di sostanze stupefacenti, quale ”core business” dell’organizzazione, attraverso cui sono stati accumulati ingenti capitali che poi, oltre ad essere redistribuiti alle famiglie dei detenuti, sono stati interrati nei fondi adiacenti alla masseria di contrada ”Mascava”, principale base operativa dell’associazione, situata in territorio di Brindisi ai confini con quello di Mesagne, San Vito dei Normanni e Carovigno. Anche la sostanza stupefacente, come le somme di denaro, veniva interrata nell’area rurale di contrada ”Mascava”, potendo contare sull’assoggettamento dei proprietari dei terreni. Inoltre, sono stati riscontrati almeno cinque tentativi di estorsione ai danni di imprenditori locali, che operano nel settore alimentare, della ristorazione e terziario, a cui era stata imposta la consegna di circa 500 euro mensili in cambio di protezione, cinque estorsioni consumate ai danni di imprenditori, operanti nel settore della compravendita auto o commercio pellet, e di privati cittadini entrati in conflitto con gli interessi dell’organizzazione, per un totale di circa 20.000 euro. Alcune estorsioni sono state commesse con modalità particolarmente violente e tutte caratterizzate da un atteggiamento scarsamente collaborativo delle vittime. Nessuna di loro, infatti, ha denunciato i fatti, rifugiandosi in condotte reticenti non favorendo, così, le progressioni investigative. I risultati investigativi hanno trovato riscontro nei numerosi arresti in flagranza di reato e sequestri di armi clandestine (anche da guerra), fra cui pistole, fucili e sostanze stupefacenti. 

Pancrazio Carrino, uno dei condannati, a 13 anni e 4 mesi, è stato arrestato durante la detenzione per minacce, espresse in particolare in alcune lettere, aggravate dal metodo mafioso e rivolte al giudice del tribunale di Lecce Maria Francesca Mariano e alla magistrata Carmen Ruggiero, entrambe sotto scorta dopo aver firmato proprio gli atti dell’inchiesta. Il provvedimento venne emesso dal giudice per indagini preliminari del tribunale di Potenza. L’accusa è anche di tentata violenza che avrebbe commesso durante un interrogatorio. A Mariano venne recapitata una testa di capretto insanguinata. L’uomo, secondo l’ipotesi investigativa, odiava le due giudici non per l’inchiesta ‘TheWolf’ ma per un altro fatto, una presunta violenza sessuale ai danni di una donna, che non veniva contestato nel procedimento specifico riguardante l’organizzazione criminale. 



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