Villa Morazzana a Livorno: Storia e Degrado di un Gioiello Dimenticato

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LIVORNO. Si spalanca la malconcia ma ancora meravigliosa veranda in ferro battuto e vetrate – in frantumi – firmata dalla fonderia dei fratelli Gambaro. Si apre il portone d’ingresso. Bellezza remota contro devastazione attuale. La storia secolare che abbraccia anche i celebri cantanti lirici Gemma Bellincioni e Roberto Stagno contro un presente di vandalismi e vergogna. Un passato raccontato anche sui libri e un oggi tutto da ricostruire, a carissimo prezzo, considerate le condizioni non tanto strutturali (gli ambienti si sono, tutto sommato, ben conservati nonostante anni di oblio e abbandono), quanto di sfacelo ovunque.

Villa Morazzana racconta come è diventata. Come è stata ridotta per mano di piccoli uomini (e donne): chi è entrato nel corso del tempo (ma anche di recente, almeno fino alla settimana corsa) non si è limitato, per così dire, a guardare. Ma ha devastato. Sfregiato. Brutalizzato la dimora di inizio Ottocento di Monterotondo, acquistata dai due artisti lirici nel 1894 che la resero fulcro di grandi feste e ricevimenti. Fu costruita nei pressi di una fattoria tardo settecentesca da Augusto Del Furia Tonino di Francesco che fu capo bibliotecario alla Medicea Laurenziana di Firenze e autore di varie pubblicazioni tra il 1803 e il 1809.

Ieri. Oggi. E purtroppo, proprio nelle settimane passate, anche l’ ultima delle due maestose aquile che storicamente presidiavano l’ingresso e le scale in pietra non c’è più. Rubata.

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Scritte e devastazione

Girare per le stanze insieme ai tecnici comunali e all’assessore Federico Mirabelli e rabbrividire per come è stata ridotta. Frantumati vetri e vetrate, due piani di pareti sfregiate da scritte, macchie di colore, frasi d’amore e assurdità che richiamano a diavolerie.

Le carte comunali parlano di un totale di oltre 1600 metri quadri (compresi seminterrato, sottotetto e terrazze). Dentro tanto è rimasto di mobili e arredi del periodo in cui è stato ostello della gioventù, locale della movida, centro convegni e accoglienza profughi. Poi nel 2012 la chiusura totale. E poi l’oblio, tra tante dichiarazioni di intenti che sono risultate un nulla di fatto. Sono tante, troppe finestre aperte, forzate e rotte, anche se il Comune in questi giorni corre ai ripari e richiude tutti gli infissi (per alcuni è impossibile perché sono danneggiati).

C’era una volta l’ostello

Nel salone dell’ingresso sedie e mobilia scaraventati in giro, c’è ancora il bancone-accoglienza. C’è un grosso pannello stile lavagna con ancora scritto col gesso dove riporre le bevande. E poi le tante camere, belle, ognuna coi suoi servizi igienici: quelle ricavate nella vecchia chiesa, quelle su al primo e al secondo piano. Il salone convegni del primo piano è ancora regale, con un soffitto importante così come il lampadario (i vandali lo hanno risparmiato). Ma ovunque ci sono segni di distruzione, comodini divelti in giro, armadi aperti e violati, cartoni e bottiglie, tende strappate. Persino le belle scale che portano ai piani alti sono tempestate di scritte. Ci sono ancora tante strutture di letti a castello, letti singoli e decine di materassi accatastati nelle stanze. Oppure in giro. E ancora cuscini.

Quasi ogni parete ha colori sgargianti a caratterizzare ambienti e camere, così i corridoi: verdi, rossi, azzurri, rosa, violetti. Alcune addirittura conservano ancora motivi floreali e decorazioni. E poi c’è la bellissima e particolare camera al secondo piano con una poesia che percorre tutto il soffitto.

La camera con la poesia

Era bello l’ostello di Villa Morazzana. Altro che. Colpisce e non poco la particolarità di una camera su tutte. Quella al secondo piano: là il tempo sembra quasi essersi fermato. E anche la mano dei vandali – a parte una scritta rossa sul muro – ha risparmiato quell’angolo della villa. Entrare in una stanza dalle pareti violette e lasciarsi stupire da ”L’Infinito” di Giacomo Leopardi che si racconta sul soffitto. E la decorazione scorre lunga fino all’inizio della finestra. “Sempre caro mi fu quest’ermo Colle…”. E ovviamente finisce col “E il naufragar m’è dolce in questo mare”. Anche qui un letto e una struttura a castello.

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La vecchia cucina

A pian terreno la vecchia cucina è ancora là. È quella dei tempi dell’ostello ovviamente. Ci sono ancora forni, piano dei fornelli, mensole, elettrodomestici. Ma soprattutto sono ancora là pile di piatti bianchi, vassoi, ciotole, scatolette. E tante stoviglie sono sempre intatte, risparmiate dalla furia delle incursioni. Tante ne hanno spaccate questi vandali del terzo millennio, con parecchi cocci in giro, Ma qualcosa è rimasto. Come pure nello scantinato – che poi continua in una sorta di sotterraneo – sopravvivono agli anni confezioni da sei di bottiglie di acqua.

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