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Gli SOS – Save Our Souls, il gruppo rock che canta la sicurezza sul lavoro fondato e diretto dal frontman Bruco, ovvero Marco Ferri, sarà in concerto lunedì 10 marzo al Legend Club di Milano, dove sarà presentato live per la prima volta il nuovo album “MACTE ANIMO!”. Con una carriera consolidata da molti concerti in tutta Italia e in importanti manifestazioni, dal 2018 gli SOS hanno trasformato la loro musica in uno strumento potente per sensibilizzare il pubblico su un tema cruciale: la sicurezza sul lavoro. “Macte Animo!”, che in latino significa “Coraggio!”, rappresenta il fulcro del nuovo progetto e raccoglie i brani più significativi della band usciti negli ultimi anni, inerenti alla sicurezza e alla prevenzione nella vita di tutti i giorni. Il disco contiene anche il nuovo brano “Con gli occhi aperti”, che promuove una cultura della sicurezza che nasce dai comportamenti quotidiani di ogni individuo. Ce ne parla Bruco stesso in video-chiamata.
Buongiorno Marco, vedo due cose dietro di te per cui mi stai già altamente simpatico, il libro sui Metallica e la tazza dei Beatles!
Beh, non posso girare la telecamera per farti vedere tutto: sono giù nello studio di registrazione, ed è qua dove ci sono le mie passioni. Come vedi, io sono anche un divoratore di fumetti, oltre che di musica. I Metallica sono mitici, quando ero al liceo ho addirittura tenuto una lezione su di loro una mattina, perché l’insegnante era talmente stufa di sentirmi parlare di musica, ed è stato bellissimo. E per i Beatles, vabbè, che dire, sono l’origine di tutto …
Il tuo SOS mi ha molto incuriosito, lì per lì leggendo il comunicato stampa ero un po’ perplessa, ma ascoltando ho trovato vera sostanza, vero Rock. Ci racconti come è nato e sviluppato?
Innanzi tutto grazie per aver ascoltato con attenzione, perché questa non è una cosa scontata nel giornalismo musicale, lo sappiamo bene …. “Con gli occhi aperti”, il nostro singolo, è un mio sogno, perché sono riuscito finalmente a trasferire il mio amore per il Metal all’interno del progetto SOS. Già all’inizio, uno dei primi brani che avevo scritto, “Paese di Sabbia”, aveva un riff molto all’Iron Maiden, poi abbiamo cominciato la cavalcata del Rock italiano e la fortuna di vivere gli anni ‘90, quindi alcuni suoni si sono un po’ ammorbiditi; ma in questo brano ce l’ho fatta, mi sono sentito libero, sono partito da un riff, volevo che suonasse alla Ozzy, alla Zakk Wylde , stavo un po’ studiando alcune cose e mi è uscita questa idea e da lì sono partito a costruire un po’ il pezzo. Ma con gli SOS, perché siamo arrivati a questo percorso? Allora, innanzitutto chiariamo una cosa, fare musica è un lavoro, quindi questo è già il punto di partenza, perché tanti pensano che fare una musica sia un divertimento; ormai i locali, se pensiamo alla musica dal vivo, sono pieni di dopolavoristi, di gente che non fa il musicista di mestiere, ma che la sera va a fare le cover. Però in realtà la musica è un lavoro, devi studiare, devi impegnarti e come lavoro ha tutta una serie di regole, ci sono i contratti da rispettare e ci sono anche le regole per quanto riguarda la sicurezza, quindi una prima parte di riflessione è partita da un’esperienza diretta: l’andare in giro ti fa andare nei locali che magari ti mettono nel posto più sfigato del mondo, o magari vai alla festa all’aperto che non ha nemmeno il palco a norma di sicurezza.
Quando c’è stata la possibilità di parlarne, grazie in realtà a una sfida lanciata da un nostro fan che fa il responsabile della sicurezza all’interno di una grossa azienda, l’abbiamo colta. Mi ha chiamato un giorno e mi fa: Bruco ma ti va di scrivere un pezzo dedicato alla sicurezza sul lavoro? Io ci ho ragionato, lì per lì mi sembrava un po’ complicato, però poi mi son buttato e devo dire che sulla scrittura del testo ho iniziato una collaborazione con Andrea Amati, che è un autore professionista, ha scritto per Renga, Nek e molti altri, determinati artisti; è uscito il primo brano “Ancora Vivere”, dedicato al problema dell’utilizzo dei cellulari in automobile, problema che avevo anche io, per me è stato terapeutico fare questo brano, ma non solo quello.
Da lì, e grazie alle collaborazioni – questa è la cosa fondamentale, perché le cose non le costruisci se non hai vicino le persone giuste – e all’opportunità datami da Fondazione LHS e da Faraone Academy, nel tempo ho avuto la possibilità di conoscere tantissime persone che lavorano alla salvaguardia nel silenzio più totale, perché comunque di sicurezza sul lavoro si parla solo quando ci sono disastri e morti, è un tema scomodo, che nessuno vuole affrontare. In giro per l’Italia ci sono persone che tutti i giorni si impegnano a cercare di divulgare e a cercare di contribuire alla creazione di una cultura della sicurezza; questo ci ha spinto a confronti nelle scuole, abbiamo suonato all’Agenzia Spaziale Italiana davanti a 300 ragazzi, abbiamo fatto eventi all’interno delle aziende, concerti nelle piazze, e abbiamo capito l’importanza che aveva la musica nel trasmettere messaggi sulla sicurezza con un linguaggio comprensibile da tutti e non solo dagli addetti ai lavori.
La musica e l’arte hanno la capacità di raggiungere tutti, di trasmettere e magari di riuscire a fare introiettare valori. Da lì è partito tutto questo percorso, abbiamo cominciato a scrivere altri brani che sono contenuti all’interno dell’album “Macte Animo!”, arrivando fino a “Con gli occhi aperti”.
Quindi l’album raccoglie tutti i brani prodotti in questi anni sul tema, e con il singolo “Con gli occhi aperti”, la ciliegina metal, si è potuto finalmente pubblicare un album intero, operazione importante perché i singoli si perdono un po’ nel qui ed ora, mentre gli album hanno un impatto diverso, il messaggio che portano i brani può disseminarsi più a lungo.
Purtroppo siamo nell’era dei singoli, sono le regole del mercato discografico attuale, ma quando escono degli album siamo un po’ tutti felici, posso dire questo. I singoli tengono alta l’attenzione, ma l’album è un obiettivo un po’ più ampio e in questo caso è corretto quello che dici, è arrivata la ciliegina, ed è stata l’occasione per raccogliere tutto quello che c’è stato perché non venisse disperso. Ora oltre al cd stiamo già lavorando sull’attività live, stiamo preparando lo spettacolo dedicato. L’album non è solo un punto d’arrivo, ma anche di inizio, perché in realtà sta per partire tutto un percorso. Il nostro è un vero e profondo impegno, non una cosa costruita, Noi abbiamo sempre scritto canzoni con temi impegnati, la prima canzone che ho scritto per gli SOS, si intitola “Guerra No”, tra l’altro la riproporrò nei live, in quel periodo c’era la guerra in Bosnia, quindi il cercare la denuncia attraverso la musica hard rock, c’è sempre stato. C’è stato un momento in cui la musica metal italiana era proprio fortemente impegnata, sono convinto la musica deve fare anche questo, e utilizzare anche i relativi videoclip per diffondere messaggi con un linguaggio giovane, così i ragazzi oltre ad ascoltare la canzone magari qualcosa del contenuto gli entra.
Non si muore solo nei cantieri, o di droga, si muore o purtroppo anche ai concerti …
Hai ragione, succede ai roadie ma anche agli spettatori. Questo ribadisce l’importanza del tema sicurezza, in ogni ambiente e contesto.
L’intervista a questo punto diventa una chiacchierata sui migliori lavori dei Metallica, quando chiedo a Bruco quali sono i suoi album del cuore. (Il suo preferito dei Four Horsemen è, come spesso accade, “Master of Puppets”, mentre il mio “Ride The Lightning”, quindi ci lanciamo in un fervido confronto. Ah, questi metallari …)
Io adoro i Voivod. Tanti musicisti adesso hanno una tecnica mostruosa, ma poi vedi che il gusto manca, non hanno uno stile veramente proprio e originale. Hanno tecnica, ma non hanno cuore, non hanno personalità, questo è il problema, non ti lasciano niente dopo l’ascolto, non ti resta niente dentro. Negli anni Ottanta lavoravano molto sul suono, cercavano il loro modo di suonare. Oggi è tutto molto YouTube training, è più facile studiare e imparare, ma meno osare e sperimentare. I ragazzi oggi hanno più facilità a capire determinate cose, però poi non c’è cuore, cioè, sono tutti bravi nella loro cameretta, ma poi non sanno stare insieme in una band.
A proposito di band: Save Our Souls, è un tuo progetto ma tu hai sempre detto noi, noi, noi, quindi non Bruco e Friends, ma una vera band. Parliamo un po’ anche di come gestisci il tutto, come ti scegli i musicisti, come funziona la collaborazione.
Allora, gli SOS hanno avuto un’evoluzione negli anni, nel senso che nei primi anni ‘90, appunto, erano la classica formazione di band. Era anche il periodo fortunato del Rock italiano in cui facevi almeno 150 concerti all’anno, dove si vendevano una media di 5.000 tra cd e cassette, era un lavoro anche se eravamo indipendenti, non erano ancora arrivate le etichette discografiche, che poi in realtà sono quelle che ci hanno creato più problemi. Da indipendenti ti potevi mantenere tranquillamente e portare avanti il tuo progetto musicale. Poi a un certo punto cosa è successo? Sono arrivate le etichette e hanno, tra virgolette, interrotto questo sogno, perché hanno cominciato, sì, ma voglio te, quel musicista lì non va bene, quell’altra cosa neanche, ti mettiamo noi qualcuno, ti affianchiamo, eccetera, eccetera. Ovviamente si è interrotto il rapporto con alcune persone perché non condividevamo più una linea, ed è diventata una sorta di, io la chiamo, bottega artigiana, in cui all’interno, in alcuni periodi, sono entrati in contatto e hanno condiviso il percorso diversi musicisti. Oggi il mondo discografico non permette più, se non a livelli altissimi, di poter avere sempre la band fissa, a me piacerebbe, vorrei tenerli tutti i miei collaboratori, ma fanno tutti gli insegnanti di musica, hanno impegni, però cerco a seconda di quello che è il periodo del progetto di tenerli più vicino possibile, quindi sì c’è un noi, c’è un confronto totale, sia nella scrittura, sia nell’elaborazione dei pezzi, anche se alcune cose le porto avanti magari un po’ più io.
Articolo di Francesca Cecconi
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