Perché non è così semplice far pagare il biglietto ai turisti internazionali nei musei britannici –

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Lo scorso luglio Mark Jones, ex direttore ad interim del British Museum, ha sostenuto sul «Times» l’opportunità di far pagare 20 sterline di biglietto ai visitatori stranieri: «Per noi avrebbe senso far pagare l’ingresso ai musei ai visitatori stranieri, così come loro fanno con noi quando visitiamo i loro. Le maggiori attrazioni turistiche in Gran Bretagna sono i nostri grandi musei e gallerie, ma ciò non si traduce nelle risorse necessarie per mantenerli». Lo scorso mese, in un articolo sul Financial Times, il direttore del Victoria and Albert Museum, Tristram Hunt, si è invece espresso in termini più cauti. Hunt ha sottolineato che l’aumento dei biglietti d’ingresso ha portato a un calo significativo del numero di visitatori, con relative  ripercussioni sulla spesa nei bookshop e nei servizi di ristorazione dei musei. «Quando vede crescere le entrate autogenerate, ha aggiunto, il Tesoro britannico [ha anche] la brutta abitudine di ridurre i finanziamenti pubblici».

Un nuovo rapporto pubblicato dalla Cultural Policy Unit, un centro studi indipendente britannico, afferma che l’introduzione di un biglietto d’ingresso per i visitatori internazionali nei musei nazionali del Regno Unito sarebbe un’operazione «complessa dal punto di vista logistico e ideologicamente in contrasto con le collezioni globali che il Regno Unito ha accumulato». E aggiunge ulteriori argomenti al dibattito: «La Gran Bretagna, si legge nel documento, conserva le sue collezioni nazionali a beneficio del mondo, non solo dei propri residenti […] Aprire le collezioni al mondo fa parte del nostro “soft power”: se invertissimo questa tendenza la reputazione del Regno Unito ne risentirebbe». Il rapporto sottolinea inoltre il fatto che se venissero introdotte delle tariffe il British Museum si troverebbe, ad esempio, nella poco invidiabile  posizione di dover far pagare i turisti nigeriani per vedere i Bronzi di Benin o gli egiziani per vedere la Stele di Rosetta. In compenso i nigeriani e gli egiziani della diaspora che vivono nel Regno Unito potrebbero entrare gratuitamente.

Inoltre, prosegue il rapporto, oltre la politica britannica di ingresso gratuito è parte integrante del sistema educativo nazionale, in quanto «pietra angolare volta a rendere la cultura e l’informazione accessibili a tutti», compresi gli scolari, ed è stata mantenuta dai Governi successivi a partire dal 2001, quando è stata reintrodotta dal precedente Governo laburista. Il rapporto aggiunge che esiste anche un importante principio di accessibilità per il pubblico, che è alla base della politica. «L’implementazione di un sistema di tariffazione che discrimini in questo modo, prosegue il rapporto, sarà difficile senza un sistema di carta d’identità e potrebbe rivelarsi dannoso e costoso per l’ecosistema museale e la reputazione del Regno Unito, se confrontato con alternative come una tassa sugli alloggi turistici». In un documento separato, l’Unità di politica culturale sostiene una tassa turistica del 3-5% sui pernottamenti per finanziare le infrastrutture culturali in tutta l’Inghilterra. Un provvedimento ormai di routine in città come Venezia e New York.

«Il rapporto ha ragione a scartare l’idea di far pagare ai visitatori stranieri l’ingresso alle collezioni nazionali gratuite del Regno Unito, dichiara a “The Art Newspaper” Bernard Donoghue, direttore dell’Association of Leading Visitor Attractions.  Dal punto di vista operativo sarebbe irto di difficoltà: il personale di accoglienza nei musei e nelle gallerie non è la polizia di frontiera, non dovrebbe avere il compito spiacevole di chiedere ai visitatori i documenti d’identità e i passaporti per accertarne la nazionalità o il Paese di residenza».

Con l’avvicinarsi della revisione della spesa di primavera da parte del Governo, c’è tuttavia il rischio che i curatori dei musei possano trovarsi di fronte a una diminuzione dei sussidi e che possa essere loro imposta l’opzione di far pagare l’ingresso. Questo, secondo il rapporto, sconvolgerebbe i modelli di business finemente messi a punto dai musei del Regno Unito, che includono un mix di sovvenzioni governative, donazioni private, sponsorizzazioni e attività commerciali.



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