Per combattere la disinformazione, i cittadini responsabili devono collaborare con i fact-checker

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Questo è un articolo del nuovo numero di Linkiesta Magazine, con gli articoli di World Review del New York Times. Si può comprare, qui sullo store, con spese di spedizione incluse. O in edicola a Milano e Roma e negli aeroporti e nelle stazioni di tutta Italia dal 28 dicembre.

In seguito alla prima elezione di Donald Trump nel 2016, politici, think tank, media e organizzazioni intergovernative hanno dovuto affrontare in tutto il mondo un’ondata di disinformazione. La disinformazione è spesso vista come un frutto delle interferenze attraverso cui alcuni Stati (o altri soggetti sponsorizzati da un qualche Stato) cercano di influenzare il ciclo delle maree della geopolitica.

La Russia, ad esempio, è stata accusata di aver tentato di indebolire la campagna elettorale di Emmanuel Macron per le elezioni presidenziali francesi del 2017 e sembra probabile che già in precedenza, e cioè in occasione del referendum sulla Brexit del 2016, alcuni account legati alla Russia avessero diffuso di sinformazione per influenzare l’opinione pubblica e renderla più incline a votare a favore dell’uscita del Regno Unito dall’Unione europea. Ma io mi sono reso conto che, per quanto la disinformazione sia senz’altro uno strumento di frequente utilizzo da parte di Paesi come la Russia e la Cina, l’aumento della sua efficacia deriva soprattutto da un sostanziale cambiamento culturale e sociale, che ha modificato il nostro rapporto con l’informazione e con la verità.

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Negli ultimi dieci anni, la mia organizzazione Bellingcat ha indagato su un’ampia gamma di vicende, dagli attacchi con armi chimiche in Siria all’abbattimento dell’aereo della Malaysia Airlines sull’Ucraina orientale. Gran parte del mio lavoro consiste nello smascheramento delle bufale e nella verifica delle varie narrazioni contrastanti che tendono a emergere su come si siano svolti eventi di questo tipo, effettuata attraverso un’attività di fact-checking che si svolge utilizzando dati open-source per identificare persone, armi, veicoli e così via. Alcune delle storie che verifichiamo non hanno alcuna base concreta: sono il frutto di pura disinformazione o di teorie complottiste. Eppure queste storie continuano a guadagnare popolarità nell’ambito di enormi comunità online.

Il documentario del 2018 Behind the Curve – che segue un gruppetto di terrapiattisti che cercano di dimostrare la loro teoria secondo cui il nostro pianeta è un disco anziché una sfera – mi ha portato a una consapevolezza fondamentale. Molti gruppi diversi fra loro, come ad esempio i terrapiattisti, i no vax e i negazionisti del cambiamento climatico, condividono la stessa sfiducia nella scienza tradizionale e la stessa attrazione per le teorie marginali. I no vax, ad esempio, si uniscono ai terrapiattisti nel rifiutare le nozioni supportate da un consolidato consenso scientifico e nel preferire delle spiegazioni alternative che si allineino alle loro convinzioni.

Gli appartenenti a questi gruppi possono essere definiti, in senso lato, come delle persone che nutrono una profonda sfiducia nei confronti dell’autorità e delle fonti di informazione tradizionali, tra cui i governi, gli scienziati, i medici o i banchieri. Questa sfiducia è spesso radicata nella sensazione di essere stati traditi o danneggiati da tali autorità. Questa sensazione di essere stati traditi può avere delle ragioni del tutto legittime – personali, sociali o politiche – ma spesso induce quelli che la provano a cercare online dei punti di vista alternativi al di fuori del dibattito tradizionale. Così facendo, queste persone trovano delle comunità che riflettono e rafforzano i loro sentimenti di scetticismo e sfiducia.

Naturalmente, non c’è nulla di male nell’approfondire un argomento che ci sta particolarmente a cuore, soprattutto se abbiamo motivo di pensare che sia necessario mettere in discussione la narrazione pubblica ufficiale al riguardo. Ma quando la sfiducia nelle fonti ufficiali diventa la norma, allora ci si trova a pensare che chiunque sostenga la posizione delle autorità debba essere per forza colluso con loro o che semplicemente ignori completamente quale sia la verità. Si tratta di una visione del mondo oppositiva, in cui se X è cattivo, allora il contrario di X deve essere buono – o, quantomeno, un po’ meno cattivo.

Questo modo di pensare – specie se corroborato da comunità online che lo rafforzano costantemente e che danno a quelli che le frequentano la sensazione di avere uno scopo e di poter essere sempre più consapevoli – induce una crescente convinzione di essere nel giusto. I singoli individui sentono di lottare contro un’ortodossia mainstream che secondo i blog, i siti web, i post sui social e gli opinionisti che fanno parte della loro bolla non è altro, in realtà, che una macchinazione che tenta di sovvertire la volontà dell’opinione pubblica.

Ad esempio, nel nostro lavoro con Bellingcat abbiamo indagato su un intreccio di campagne di disinformazione intorno alla guerra civile siriana. Alcuni gruppi di persone erano convinti che i media tradizionali e le organizzazioni internazionali stessero deliberatamente diffondendo false narrazioni sugli attacchi chimici contro i civili siriani ordinati dal presidente Bashar al-Assad. In particolare, costoro pensavano che gli attacchi fossero stati inventati o che fossero da attribuirsi esclusivamente all’Isis o ad Al Qaida.

I simpatizzanti di queste teorie, sentendosi traditi da quelle che percepivano come fonti informative mistificatorie, avevano quindi preso a rivolgersi a comunità online alternative che convalidavano il loro scetticismo e li rendevano ancora più ostili verso le fonti tradizionali. Queste persone condividevano post di blog e video che tratteggiavano l’immagine di un grande complotto, e questo li rafforzava nella loro convinzione di essere gli scopritori di quella “verità” che altri stavano cercando di occultare. In tale modo si era creato un circuito di feedback in cui la sensazione di essere nel giusto percepita da queste persone si rafforzava grazie a ogni “prova” in cui si imbattevano e che consolidava sempre più la loro diffidenza nei confronti di fatti accertati. N

ella maggior parte dei casi, le persone non entrano a far parte di comunità di questo tipo con l’obiettivo di creare e diffondere disinformazione. Lo fanno, piuttosto, per trovare la verità. Ma la lente attraverso cui queste persone vedono il mondo finisce per essere definita esclusivamente dal loro senso di tradimento e sfiducia, che viene sempre più rafforzato e intensificato dalla nuova camera d’eco che hanno trovato online.

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Purtroppo, però, questa loro sensazione di aver raggiunto una nuova consapevolezza non è altro che un’illusione che conduce a ulteriori frustrazioni e a opinioni sempre più radicali. E così quella semplice ricerca della verità si trasforma nel tentativo di incendiare un traliccio del 5G o di salvare dei bambini rapiti e nascosti in una pizzeria. Questo non vuol dire che tutti gli attivisti no vax credano che Bill Gates stia mettendo dei microchip nei vaccini, ma ci sarà sempre un segmento di quella comunità che detiene convinzioni particolarmente estreme e compie azioni particolarmente estreme. Possiamo immaginare una piramide, con le opinioni meno estreme alla base e quelle più estreme in cima.

Questo non è un problema da cui si possa uscire grazie al solo fact-checking, perché i fact-checker saranno perlopiù visti da chi è incline al complottismo come l’“altra parte”, di cui non ci si può fidare e di cui si possono facilmente ignorare le opinioni. E l’inazione, per quanto sia la strada più facile, non farà altro che far crescere il problema. L’Unione europea ha implementato il Codice di condotta sulla disinformazione, un accordo volontario che mira ad aumentare la trasparenza e la responsabilità delle piattaforme di social media, imponendo ai firmatari di rimuovere gli account falsi e di ridurre la diffusione della disinformazione. E negli Stati Uniti la Cybersecurity and Infrastructure Security Agency ha lanciato la pagina web Rumor vs. Reality per contrastare la disinformazione sul processo elettorale.

Anche l’istruzione è fondamentale, dal momento che può mettere gli individui nelle condizioni di pensare in modo indipendente, di interrogare le fonti e di comprendere la complessità delle infinite informazioni disponibili su Internet. Se a questo si aggiungesse la forza di una democrazia partecipativa – in cui i cittadini si impegnano attivamente in una cultura di indagine informata, riflessiva e responsabile – il desiderio di cercare la verità non indurrà più le persone a cadere nella botola delle teorie complottiste.

Questo può sembrare un obiettivo lontano o difficile da raggiungere, ma nel corso del mio lavoro con Bellingcat ho visto più volte l’efficacia di questi tentativi. La nostra indagine sull’abbattimento dell’aereo della Malaysia Airlines sull’Ucraina orientale ha utilizzato informazioni open-source per identificare quale fosse stato il percorso del lanciamissili e quali fossero le persone coinvolte. Questo lavoro è stato fondamentale per fornire delle prove a chi conduceva le indagini internazionali e, alla fine, ha portato ad accuse penali contro quattro sospetti in un tribunale olandese. Se pensiamo alle sfide che dobbiamo affrontare come società, l’interconnessione del nostro mondo moderno può smettere di essere un ostacolo per diventare invece un grande vantaggio.

© 2024 THE NEW YORK TIMES COMPANY AND ELIOT HIGGINS

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