la lista del DAP è top secret

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Superficialità o omertà istituzionale? Per la senatrice Rando, a capo della Commissione antimafia, serve chiarezza

Quale potrebbe essere il motivo di tanta segretezza? È questa la domanda che sorge spontanea di fronte alla notizia diffusa in queste ore da Repubblica sulla lista del DAP (Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria), coperta da segreto, che riporta il numero dei boss mafiosi tornati in libertà per le più svariate ragioni. Ciò che invece è certo è che, oltre al numero di criminali di alto profilo, aumentano anche i dubbi e le perplessità sulla trasparenza e sulla gestione delle scarcerazioni mafiose. Dopo mesi di inchieste giornalistiche e denunce sulle scarcerazioni di boss condannati, il DAP ha trasmesso un elenco alla Commissione parlamentare antimafia, che sta indagando sulla questione. Il problema è sorto quando si è scoperto che il documento è stato classificato come segreto, rendendo impossibile, per chiunque al di fuori dei membri della Commissione, conoscere il numero esatto e le generalità dei mafiosi tornati in libertà. Eppure, la cronaca degli ultimi mesi ha raccontato di numerosi e clamorosi ritorni in libertà di boss mafiosi, liberi di circolare nelle proprie città grazie ai permessi premio, nonostante non abbiano mai rinnegato Cosa Nostra. A Palermo, per esempio, Raffaele Galatolo, boss del quartiere Acquasanta e noto per la sua stretta alleanza con Totò Riina, è tornato in libertà dopo aver partecipato a crimini efferati negli anni ‘80. Lo stesso è accaduto con Ignazio Pullarà, figura di spicco del mandamento di Santa Maria di Gesù, che ha usufruito di un permesso premio di 15 giorni, suscitando grande preoccupazione tra i familiari delle vittime di mafia. Una preoccupazione più che comprensibile. Infatti, solo poche settimane fa, il giornalista di Repubblica Salvo Palazzolo – che da tempo si occupa dei permessi premio concessi ai boss – ha rivelato come Pullarà mantenga ancora saldi legami con Cosa Nostra, grazie alla fedeltà di Salvatore Ribaudo, nuovo reggente del mandamento di Santa Maria di Gesù. Un elemento che conferma il ruolo ancora influente del boss, tutt’altro che un detenuto modello meritevole di un permesso premio. Ma la lista dei criminali mafiosi tornati in libertà è lunga. Tra i tanti casi emblematici c’è anche quello di Lorenzo Tinnirello, coinvolto nelle stragi di Capaci e via D’Amelio, che ha ottenuto un permesso di sei ore. Tuttavia, la Procura di Milano ha impugnato la decisione, sospendendola in attesa dell’udienza del 30 aprile.

 

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 La senatrice PD Enza Rando © Imagoeconomica


La denuncia della senatrice Enza Rando

Un’altra domanda sorge spontanea: quanti altri boss mafiosi sono stati scarcerati senza che l’opinione pubblica ne sia stata informata? Resta il fatto che per la senatrice del PD Enza Rando, membro della Commissione parlamentare antimafia, la scelta di secretare la lista appare incomprensibile, soprattutto in un periodo in cui il DAP è già al centro delle polemiche per la gestione delle comunicazioni sui permessi premio. “Non si comprende davvero perché questa lista debba essere secretata – ha dichiarato la senatrice Rando – visto che i provvedimenti di scarcerazione emessi dall’autorità giudiziaria sono pubblici. Peraltro, per la concessione dei permessi premio, la Corte di Cassazione ha fissato criteri rigidi, tra cui il risarcimento dei familiari delle vittime. È necessario fare chiarezza: vogliamo vederci chiaro”. La senatrice ha inoltre sottolineato come la lista del DAP, oltre a essere segreta, sembri anche incompleta, dal momento che non riporta le motivazioni delle scarcerazioni. 

 

C’è qualcosa che non torna

Questa è solo l’ultima di una lunga serie di notizie che hanno fatto scalpore. Se da un lato infatti sembra esserci una forte attenzione alla “privacy” dei boss che tornano in libertà senza mai aver rinnegato il loro passato, dall’altro, l’Italia resta un Paese in cui i collaboratori di giustizia rischiano di essere identificati anche durante attività banali, come la prenotazione di una stanza d’albergo. Una situazione che solleva gravi dubbi sulla loro protezione, soprattutto quando il numero di boss a piede libero continua ad aumentare. A questo si aggiunge un sistema di assistenza sempre più precario, con un sostegno statale che dovrebbe garantire protezione, nuove opportunità lavorative e una vita dignitosa, ma che si rivela inadeguato e macchinoso, se non fallimentare. Non a caso, molti ex criminali pentiti che hanno collaborato con la giustizia si ritrovano in condizioni economiche difficili, con scarse possibilità di ricostruirsi un’esistenza e, soprattutto, con falle nei sistemi di sicurezza che li espongono a gravi rischi di ritorsione da parte delle organizzazioni mafiose. Per tornare alla lista “top secret” del DAP: senza cadere nella retorica, se la lotta alla mafia – come spesso si ripete in campagna elettorale – deve rimanere una priorità, allora è necessario garantire la massima trasparenza. L’elenco dei mafiosi scarcerati non dovrebbe essere riservato, ma accessibile, utile non solo alle autorità, ma anche alla comunità, che ha il diritto di sapere chi torna in libertà e per quale motivo. Senza un reale controllo, il rilascio di figure pericolose rischia di compromettere anche i progressi, spesso fragili, ottenuti in anni di lotta alla mafia.

Foto © Imagoeconomica

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