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C’è un motore che potrebbe trasformare la transizione green ambita dall’UE in numeri reali, attirando capitali privati e senza pesare sui bilanci di imprese e pubblica amministrazione. Parliamo delle ESCo (Energy Service Companies), aziende specializzate in efficienza energetica che progettano, realizzano e gestiscono interventi per ridurre i consumi di industrie, enti pubblici e privati. Il loro compito è migliorare l’efficienza degli impianti, abbattendo i costi energetici senza che il cliente debba sostenere un investimento iniziale. Le ESCo si occupano di tutto il processo: dall’analisi energetica alla progettazione, dall’installazione alla manutenzione degli impianti, garantendo un risparmio misurabile e verificabile. Sono di fatto i system integrator dell’efficienza energetica con un plus: gli interventi che compiono possono essere finanziati direttamente dalla ESCo, oltre che da fondi pubblici o dal cliente stesso. Quando la ESCo anticipa l’investimento, si ripaga attraverso una quota dei risparmi energetici generati (questo è il modello Epc – Energy Performance Contract). Altri guadagni derivano dalla progettazione, dalla gestione degli impianti e dalla vendita di incentivi energetici come i Certificati Bianchi. In questo modo, la ESCo monetizza l’efficienza ottenuta, mentre il cliente beneficia di un sistema più sostenibile senza oneri iniziali.
Eppure, il loro ruolo è ancora sottovalutato, intrappolato tra ritardi normativi e un accesso ai fondi spesso complicato. Se Bruxelles vuole che la transizione sia più di una narrativa, deve attribuire un ruolo strategico alle ESCo. Altrimenti, sarà il mercato – con le sue regole e i suoi vincoli – a decidere il ritmo del cambiamento.
«Il valore aggiunto che possiamo dare è enorme – afferma Giacomo Cantarella, presidente di AssoESCo – Le aziende che rappresentiamo hanno ampliato le competenze interne ben oltre il monitoraggio dei consumi di energia: e puntano su sistemi avanzati basati sull’intelligenza artificiale, sulla gestione dinamica dei consumi e sulla riqualificazione degli edifici, rivolgendosi a imprese, famiglie e PA».
Le parole di Cantarella – come tutti gli interventi di questo articolo – sono stati raccolti da Industria Italiana nel corso dell’evento “Accelerare gli investimenti per la transizione energetica. Il ruolo chiave delle ESCo“, organizzato da AssoESCo con la collaborazione della boutique di ricerca e consulenza economico-strategica Agici che ha presentato un ampio studio sull’evoluzione delle ESCo negli ultimi dieci anni.
Il mercato italiano delle ESCo: un universo di 900 società che generano un fatturato complessivo di 12,2 miliardi di euro (pari allo 0,6% del Pil) e impiegano 30mila persone. Nel core business hanno la capacità di abilitare la transizione di PA, industrie e famiglie
Oggi il mercato italiane dello ESCo conta 900 aziende accreditate, che cumulativamente fatturano 12,2 miliardi di euro (0,6% del Pil), e impiegano 30mila persone (0,1% dell’occupazione italiana).
Aziende molto diverse tra loro per dimensione e struttura e specializzazione, che in alcuni casi hanno sviluppato modelli di business innovativi. Alcune promanano dalle utility, come Renovit, operatore nato dall’iniziativa di Snam e Cdp Equity o a Next di Edison, Enel X, della maggiore utility italiana; o ancora alla A2A Energy Solutions, controllata dalla omonima società bresciana; anche Hera, gruppo multiutility con sede a Bologna, funziona come ESCo con Hera Comm e ancora Iren, la multiutility di Reggio Emilia, da molti anni è attiva nel settore delle ESCo. Altri esempi sono la Siram della multinazionale francese Veolia e ad Axpo Energy Solutions Italia, filiale italiana del gruppo svizzero dell’energia Axpo.
Fanno attività di ESCo anche società industriali pure, come Abb Italia e Schneider Electric, che hanno al core business soluzioni di automazione industriale, si sono certificate come ESCo.
Altre nascono invece come start-up: per esempio Trigenia, evolutasi fino a diventare un abilitatore della digitalizzazione e che oggi è strutturata nelle tre divisioni di efficienza energetica, digital e finanza agevolata e Tecno Esg, un vero polo della transizione energetica costituitosi grazie una serata politica di acquisizioni condotta dal 2016.
In sintesi, il business delle ESCo si basa sulla capacità di generare e capitalizzare il risparmio energetico, permettendo ai clienti di ottenere impianti efficienti con investimenti iniziali minimi, mentre la ESCo trae profitto dall’efficienza degli interventi. Il modello di business attraverso cui operano tipicamente è l’Epc (Energy Performance Contract), in cui finanziano l’impianto e si ripagano con i risparmi energetici generati. Nel modello a risparmi condivisi, la ESCo e il cliente dividono i benefici per un periodo stabilito, mentre in quello a risparmi garantiti il cliente paga una tariffa fissa e la ESCo copre eventuali mancati risparmi. Al termine del contratto, il cliente diventa proprietario dell’impianto e beneficia interamente dei risparmi.
Anche quando il cliente finanzia autonomamente l’intervento, la ESCo può guadagnare attraverso commissioni per progettazione, installazione e gestione burocratica, oltre a offrire servizi di manutenzione e monitoraggio dell’efficienza. Un’ulteriore fonte di ricavi deriva dagli incentivi pubblici e dai Titoli di Efficienza Energetica (Tee), che possono essere monetizzati sul mercato.
Lo studio di Agici: l’evoluzione delle ESCo nell’ultimo decennio. Come nascono e si sviluppano i system integrator della transizione energetica e perché le istituzioni dovrebbero metterle al centro della rivoluzione della decarbonizzazione
Dieci anni fa, le ESCo si distinguevano sulla base di due parametri: dotazione finanziaria e specializzazione nell’efficienza energetica. E da un lato nascevano grandi operatori con minor specializzazione e ingenti capacità finanziarie, dall’altro il mercato di polverizzava in molte piccole aziende radicate sul territorio con forte specializzazione ma ridotta dotazione economica. «Mancava un’area: quella delle aziende specializzate con adeguate risorse finanziarie. Oggi questa parte è stata integrata, anche grazie agli apparentamenti tra ESCo e utility», dice Stefano Clerici, consigliere delegato e direttore della R&A Unit Efficienza Energetica e Infrastrutture di Agici. «Il mondo ESCo ha mantenuto la sua eterogeneità, che è diventata un punto di forza. Le ESCo sono diventate interpreti di un mercato in continua evoluzione, che richiede sempre più progetti integrati, economici ed efficienti e oggi possono gestire le esigenze energetiche di famiglie, PA e imprese di ogni dimensione. Questo soggetto deve essere messo al centro delle politiche energetiche del Paese per raggiungere gli obiettivi della transizione». Ma di chi parliamo in concreto?
«La filiera delle ESCo è molto variegata – risponde Gianluca Pratesi, direttore advisory di Agici – va dalla progettazione alla messa a terra degli impianti, fino alla gestione. Ci sono realtà diverse che si occupano di una o più attività della catena del valore, ma le ESCo sono le uniche a seguire l’intera filiera con una visione integrata e olistica. Rappresentano in altre parole il “system integrator” della transizione energetica».
In Italia ci sono circa 900 aziende accreditate: Agici ne ha analizzato un campione di 200 dal 2014 al 2023. Il settore è molto concentrato: circa 30 aziende generano il 90% del fatturato, pari a 12,2 miliardi di euro (0,6% del Pil), e impiega 30mila persone (0,1% dell’occupazione italiana).
«Rispetto al periodo pre-pandemia, il fatturato ha mostrato un consolidamento, dopo un calo nel 2020 (da 7 miliardi nel 2019 a 6 miliardi) – afferma Pratesi – La marginalità è rimasta sempre elevata, tra l’8% e il 10%. Il business si sta evolvendo: inizialmente nato per supportare le imprese, ora si è ampliato alla pubblica amministrazione e al settore civile. Oggi il mercato si orienta sempre più verso la decarbonizzazione e le ESCo vogliono affermarsi come player dell’energia, sviluppando filiere nei settori “hard to abate”. Hanno dovuto rivedere il loro modello di business, aumentando le dimensioni e rafforzando la componente finanziaria, lavorando su attività legate alla digitalizzazione».
Ciononostante, esiste un gap importante rispetto agli obiettivi di estrazione delle rinnovabili e del risparmio energetico che richiede l’UE. Se si continuasse con il ritmo attuale, nel 2030 il risparmio energetico sarebbe inferiore di 30 kWh rispetto agli obiettivi.
«Le cause principali? – continua Pratesi – L’instabilità del quadro normativo. Per affrontare questa criticità, proponiamo quattro azioni chiave che vanno dalla pianificazione di policy stabili nel medio-lungo periodo; al disegno di incentivi legati a interventi con il maggior risparmio energetico; alla certificazione dei risultati energetici, perché oggi gli incentivi non sono disegnati in questo modo; all’attribuzione di azioni e incentivi ad operatori come le ESCo, che sono in grado di gestire l’efficienza energetica con una visione lungimirante».
La view di AssoESCo: le ESCo come motore della transizione energetica. Attraverso le comunità energetiche e gli Energy Performance Contract, migliora l’efficienza energetica senza investimenti diretti da parte dei clienti, con le ESCo che assumono il rischio finanziario.
Ciò detto esistono oggi strumenti in grado di accelerare la transizione e sono presidiati dalle ESCo. Un esempio sono le comunità energetiche, «che permettono non solo di risparmiare ma anche di creare opportunità economiche e posti di lavoro qualificati», prosegue Cantarella. «Le ESCo possono fungere da produttori terzi ed efficientatori». Un altro degli strumenti fondamentali per rendere concreta la transizione è l’Energy Performance Contract (Epc). «Con questo modello contrattuale, è possibile realizzare interventi di efficienza energetica senza investimenti diretti da parte del cliente», spiega Cantarella. «L’ESCo finanzia e gestisce il progetto, garantendo un certo livello di risparmio energetico: se i risultati non vengono raggiunti, l’azienda di servizi energetici si assume il rischio economico. È un sistema che consente di migliorare l’efficienza di edifici pubblici, aziende e privati senza pesare sui loro bilanci».
L’integrazione tra investimenti pubblici e privati: il caso Gaslini-Renovit, un esempio concreto di come le ESCo possano attivare un effetto leva, favorendo la convergenza tra risorse pubbliche e private per la riqualificazione energetica di strutture sanitarie
Le ESCo si muovono in un contesto complesso come evidenziano i dati presentati fin qui. E il contesto è in evoluzione anche sul fronte normativo, con opportunità come il Conto Termico 3.0 o il finanziamento di 1,4 miliardi a fondo perduto per l’edilizia popolare che attribuisce un ruolo definito e preciso alle ESCo. Ma non mancano rischi, come quelli presentati dal decreto che introduce limiti per il teleriscaldamento, «che però ha possibili impatti negativi sui consumi se gli stessi limiti non vengono imposti ai clienti che acquistano direttamente il gas – dice l’ad di Renovit Cristian Acquistapace – Operiamo in un mercato complesso, fatto di tecnologia, finanziamenti e regole. Dobbiamo fare un salto di qualità per diventare interlocutori chiave nel policy design: orizzonti di breve periodo non ci consentono di operare correttamente».
Il dialogo con il regolatore è cruciale per chi opera in un mercato come questo anche perché le ESCo possono attivare un effetto leva per far convergere investimenti pubblici e privati. Ne è un esempio il progetto di riqualificazione dell’Ospedale genovese Gaslini a cui Renovit ha partecipato. L’intervento prevede la costruzione di un nuovo Padiglione Zero dedicato alle funzioni di emergenza-urgenza ad alta intensità assistenziale e chirurgica, e la ristrutturazione di cinque padiglioni esistenti destinati a diverse attività cliniche e di ricerca.
Il progetto è finanziato attraverso un partenariato pubblico-privato (Ppp), con un investimento totale superiore a 180 milioni di euro. Di questi, circa 50 milioni provengono da fondi pubblici, inclusi contributi della Fondazione Gerolamo Gaslini, dell’Istituto Giannina Gaslini e risorse del Pnrr, mentre i restanti 130 milioni sono finanziati dal partner privato, Zena Project, consorzio composto da Cmb Cooperativa Muratori e Braccianti di Carpi, Renovit Public Solutions e Arcoservizi.
Renovit Public Solutions, in qualità di partner privato, gestisce i servizi energetici e le attività di facility management per 19 anni, contribuendo all’efficienza operativa dell’ospedale. Il progetto mira a ottenere la certificazione Leed, sottolineando l’impegno verso l’efficienza energetica, la riduzione delle emissioni di CO₂ e la creazione di ambienti più salubri per pazienti e personale.
«Il capex impiegato genererà, in un contratto di 22 anni, mezzo miliardo di euro di backlog. Questo esempio dimostra come, con una gara ben strutturata, sia possibile combinare risorse pubbliche e private per ottenere benefici ambientali e sanitari, migliorando i servizi. La chiave della transizione energetica è aumentare la convergenza tra pubblico e privato, soprattutto nel settore PA e residenziale-terziario».
Edison Next: tecnologie, competenze e partnership per la transizione energetica. Un approccio strategico che combina innovazione tecnologica, competenze specialistiche e collaborazioni per supportare aziende come Michelin e Iris Ceramica nella riduzione delle emissioni
Quando si parla di transizione è importante innanzitutto definire la sfida che è articolata su industria, PA e famiglie. «Non è una sfida unidimensionale – afferma Giovanni Brianza, ad di Edison Next – Per l’industria, la transizione deve trovare un equilibrio con la competitività. Per la Pubblica Amministrazione, la transizione deve essere un mezzo per far evolvere città, società, scuole e ospedali. Per le famiglie, deve portare alla riduzione della bolletta». Bisogna poi tener conto di un fatto: gli obiettivi sono ambiziosi e noi siamo ancora distanti. Per rafforzare l’azione che abilita il cambiamento, le ESCo «che hanno modelli di business capital-intensive e anche labour-intensive, necessitano di stabilità normativa e di una politica industriale chiara».
Gli ingredienti della ricetta, secondo Brianza, sono la tecnologia, le competenze, la finanza e il territorio. Per quanto riguarda la tecnologia non esiste una killer application: «alcune tecnologie sono mature, come il fotovoltaico; altre sono a metà del guado, come il biometano; alcune sono ancora emergenti, come l’idrogeno. Dobbiamo concentrarci sulle tecnologie in sviluppo, non su quelle già a mercato – continua il ceo – Abbiamo bisogno di laureati: il problema non è la profondità della preparazione, ma proprio il numero di laureati disponibili. L’interazione con il territorio oggi è complessa: serve fare sistema e cercare di portare il settore dalle fonti fossili alle rinnovabili». E infine, il costo dell’energia elettrica e il costo della tecnologia devono essere abbattuti, ma per farlo servono investimenti.
Perché tutto funzioni le ESCo devono agire da partner più che da meri fornitori. «Noi lo abbiamo fatto con Michelin Italia e con la ceramica Iris. Il valore aggiunto della prima unione è che nasce sulla base del mercato: abbiamo vinto una gara con Michelin per realizzare trigenerazione, fotovoltaico e caldaia a biomassa legnosa da filiera corta. Un investimento di 50 milioni di euro che ci lega per 15 anni, con il risultato di aver già ridotto le emissioni del 47%, rispetto all’obiettivo del 50% al 2030. E il consumo energetico del 30% rispetto all’obiettivo del -37% al 2028. Qui vediamo le due dimensioni della transizione: sostenibilità e competitività, ottenute con tecnologie mature».
Con Iris, invece, Edison Next ha applicato tecnologie innovative come l’idrogeno verde. «Abbiamo prodotto la prima lastra ceramica utilizzando un blend di gas e idrogeno verde. Ora scaleremo in termini di potenza per mettere l’azienda nelle condizioni di fare la transizione. Anche questo è un lavoro a quattro mani e una partnership che ci accompagnerà a lungo».
L’Italia, lumaca della burocrazia e della transizione vista con gli occhi delle ESCo delle multinazionali dell’energia: Axpo Energy Solution e Siram Veolia. Gli spazi di manovra e le soluzioni che consentirebbero al Paese di allinearsi all’Europa
Uno dei motivi per cui l’Italia è indietro sugli obiettivi del Pniec è la burocrazia. «Costruire un impianto è una fatica incredibile. A partire dall’iter autorizzativo, i tempi sono lunghissimi – dice senza mezzi termini Marco Garbero, general manager di Axpo Energy Solutions Italia – e sarebbe necessario attuare una forte semplificazione. Per esempio, le comunità energetiche hanno avuto una gestazione di 7 anni dal primo decreto europeo alla messa a terra. Un anno fa il quadro normativo italiano si è concluso, salvo il parere contrario del notariato di 15 giorni fa. Noi volevamo fare due progetti pilota che fossero però sostenibili economicamente, e volevamo chiuderli a giugno 2024, ma non riusciamo perché c’è sempre un intoppo. E banalmente quando si prende in mano un decreto le prime dieci pagine sono piene di rimandi a normative precedenti che vanno cercate e studiate e contemplate. La semplificazione è uno dei punti chiave per accelerare la transizione».
Forse anche per via di questo vulnus tutto italiano dal 2000 al 2022 l’efficienza energetica del nostro Paese è calata rispetto a quella dell’Europa e in particolare di grandi player come Francia e Germania. Lo nota Carlo Papi di Unit Centro Siram Veolia, che spiega che questa osservazione sia stata alla base dello studio, in collaborazione con The European House Ambrosetti, “Ottimizzazione e autonomia energetica nell’era dell’intelligenza artificiale generativa“.
«I risultati principali – spiega Papi – indicano che l’adozione combinata di misure di ottimizzazione energetica potrebbe ridurre i consumi nazionali del 2,9% e le emissioni del 7,6%, con un risparmio potenziale di 6,3 miliardi di euro in costi legati al sistema Ets e alle importazioni di gas. Rispetto al contesto europeo, lo studio sottolinea che il 40% del consumo energetico e il 36% delle emissioni di gas serra derivano dagli edifici. In Italia, l’obsolescenza del patrimonio immobiliare pubblico rappresenta una sfida maggiore, evidenziando un potenziale significativo per interventi di efficienza energetica».
In sintesi, lo studio evidenzia che, sebbene l’Italia abbia compiuto progressi nell’efficienza energetica, esistono opportunità significative per migliorare, soprattutto attraverso l’adozione di tecnologie digitali avanzate come l’intelligenza artificiale, al fine di allinearsi meglio agli standard europei e raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione.
Dati e intelligenza artificiale al servizio dell’efficienza: le ESCo come abilitatori della transizione digitale Il ruolo delle ESCo nell’integrazione di soluzioni digitali avanzate per ottimizzare i consumi energetici, con gli esempi di Trigenia e Tecno Esg
Il ruolo delle ESCo si è evoluto: non solo soggetti abilitatori della transizione energetica, ma anche guide nella transizione digitale che è funzionale alla seconda. «È fondamentale adottare un modello data-driven e avere competenze specialistiche verticali», secondo Claudio Colucci, ad di Tecno Esg, che è cesciuta nel tempo, investendo nelle competenze e nella scalabilità del business.
«Nel 2021 abbiamo presentato un progetto per il Polo della Sostenibilità: un ecosistema virtuoso di competenze per affiancare le aziende clienti nella loro transizione complessiva. Abbiamo investito in competenze e in asset organici e, sul fronte delle operazioni straordinarie, abbiamo realizzato sette acquisizioni dal 2018. Oggi disponiamo di una struttura solida in termini di completezza dell’offerta e profondità del servizio. Ciò ci ha permesso di creare un ecosistema con stakeholder chiave come università, finanza e partner tecnici. Non possiamo essere tuttologi, ma dobbiamo fare sistema».
«Le ESCo sono i competence center della transizione». Massimo Catania, amministratore delegato di Trigenia, che nel percorso evolutivo è diventata un’azienda tecnologica, ben oltre una semplice ESCo, non ha dubbi: «le ESCo possono promuovere la cultura della sostenibilità: questo è un ruolo strategico per il Paese ed è anche la sfida più complessa. Lavoriamo con le PMI, ma è difficile farle passare da un modello basato esclusivamente sul payback economico a un ragionamento sulla riduzione dell’impronta carbonica e sul futuro ambientale». Ci vuole una rivoluzione culturale che Trigenia sta provando a guidare anche con operazioni ad hoc. «Lo scorso anno – continua Catania -e anche quest’anno, abbiamo promosso il Trigenia Award per sostenere giovani artisti, ai quali abbiamo dato un tema: la rigenerazione. Le ESCo sostengono i giovani artisti e questi, con le loro opere, diffondono la cultura della sostenibilità. Diamo eco a queste idee». E sarà sempre più importante man mano che la Gen Z prenderà le redini dei consumi.
«I giovani sono molto più sensibili rispetto alla nostra generazione, e questa onda ci porterà a occuparci della sostenibilità in modo serio», dice Catania. «Già oggi in parte succede. Seguiamo un’azienda che è una B-Corp e che oggi fa investimenti in sostenibilità a prescindere dal ritorno economico, perché vende il suo prodotto, il caffè, a tre volte il prezzo della concorrenza. La cultura fa la differenza, più della tecnologia».
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