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La candidatura di Brindisi a città della cultura è stata una occasione formidabile per valorizzarla e per ricomporre, guardando al futuro, tutte le sue potenzialità e le sue legittime ambizioni.
Mercoledì 12 la decisione.
Aldilà di quello che sarà l’esito della scelta finale ritengo che non vada disperso quanto fatto per la candidatura. Può essere la base e la piattaforma per un impegno corale per la rinascita e la nuova crescita di Brindisi. Un patto per la città.
Il sostegno dato e il lavoro fatto che ha coinvolto e impegnato molti, e tra questi i produttori brindisini di vino e il loro consorzio di tutela, deve continuare. Il mondo della vitivinicoltura ha dato il suo contributo sostenendo che il vino è cultura perché assieme alla scoperta dei vitigni e della loro storia si registra allo stesso tempo una traccia del passaggio di popoli, di tradizioni, di gusti e di usanze che parte anche dal vino stesso.
Brindisi assieme a Mesagne non solo costituiscono “l’areale della doc Brindisi” ma rappresentano il passaggio e l’insediamento prima dei messapi e poi dei romani. I primi portarono le viti, i secondi le estesero producendo i vini che venivano portati nel mediterraneo. Se questa è la storia, il presente e il futuro del territorio di Brindisi può trovare nella coltura e cultura vitivinicola un riferimento solido di sviluppo.
La città di Brindisi e il suo territorio agricolo hanno storicamente una vocazione vitivinicola. La presenza di varietà autoctone come il negroamaro, la malvasia nera, il susumaniello, il primitivo, ne fanno ancora un territorio ricco e dalle grandi potenzialità enoiche. Non a caso il vino di Brindisi era conosciuto e apprezzato ben oltre i confini locali e nazionali sin dai tempi dell’impero romano. Lo era in tutto il bacino del mediterraneo così come in epoche più recenti il vino di Brindisi è stato utilizzato in Francia come in altre regioni italiane per tagliare o sostenere vini di territori più conosciuti.
Brindisi deve recuperare e credere nelle sue potenzialità agricole e vitivinicole per dare così anche un contributo ad un suo nuovo e più sostenibile sviluppo. Dopo la crisi di questi anni e l’esaurimento dell’ormai obsoleto modello di sviluppo impostato sull’ industria di base (petrolchimica) e di servizio (energia da fossili) i contorni di un nuovo sviluppo possono avere anche nell’agricoltura e soprattutto nella vitivinicoltura un solido riferimento che nel passato aveva contribuito a fare la storia del vino e della sua economia.
Ciò non significa un ritorno al passato. Oggi la vitivinicoltura esprime modernità e innovazione.
L’art. 1 del Testo unico del vino che ha semplificato e riunito le norme del settore afferma testualmente: “La Republica salvaguarda, per la loro specificità e il loro valore in termine di sostenibilità sociale, economica, ambientale e culturale, il vino prodotto della vite, e i territori viticoli, quale parte del patrimonio ambientale, culturale, gastronomico e paesaggistico italiano, nonché frutto di un insieme di competenze, conoscenze, pratiche e tradizioni”.
Questo articolo della legge, anche ben oltre l’occasione della candidatura di Brindisi a città della cultura,può diventare il manifesto per rilanciare e valorizzare la vitivinicoltura brindisina e può contribuire ad un rinnovato e recuperato rapporto della città con la sua campagna.
L’identità del vino ha un valore paesaggistico, economico e non è solo un racconto da comunicare. L’identità è un percorso che affonda le radici nel passato e che si apre al futuro.
Brindisi, terra di antichi vigneti, alcuni dei quali ancora oggi si estendono sui terreni attraversati dai tracciati delle vecchie strade dell’Appia e della Traiana, ha un passato e un futuro nel settore. Ed oggi,dopo il riconoscimento Unesco delle strade dell’Appia Antica.
Brindisi può e deve recuperare e ricostruire il rapporto fondante tra città, mare e campagna.
La fase di uno sviluppo calato dall’alto richiede un ripensamento a cui ognuno deve dare il suo contributo.
Sinora l’agricoltura è stata la grande assente dal dibattito sullo sviluppo della città, se non per qualche richiamo superficiale e come corollario al solito elenco dei temi da affrontare.
Prendersi cura della città, del territorio, del paesaggio e ripartire dalla storia di Brindisi e del suo vino è l’impegno che produttori vitivinicoli, operatori turistici, mondo della ristorazione e associazioni culturali, possono assumere come contributo per superare le separazioni che si sono determinate in una città ricca di storia e di grandi potenzialità produttive. Aiutare la città a riscoprirsi per percorrere nuove strade per uno sviluppo sostenibile e autopropulsivo. Brindisi deve ritornare a credere in se stessa e nel suo futuro. Non si disperda allora l’entusiasmo e la progettualità della candidatura a città della cultura.
Se tutti quelli che hanno partecipato o sostenuto la candidatura fossero spinti e animati da una convinzione che è racchiusa in quello che fu l’appello di Kennedy al popolo americano: “non chiederti quello che il tuo paese può fare per te, chiediti cosa puoi fare tu per il tuo paese…”, Brindisi sarebbe diversa e diventerebbe più libera e autonoma.
In una città come Brindisi, se pur sfiduciata e quasi rassegnata per una delle più pesanti crisi della sua storia economica e sociale, si mettessero assieme esperienze, competenze, lavoro, impresa, volontà e orgoglio, si potrebbe dare e fare molto. E questo anche ben oltre la stessa candidatura a città della cultura 2027 che, se viene riconosciuta, tanto meglio.
Carmine Dipietrangelo
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