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L’11 marzo il Banco Bpm farà tappa a Verona per il road show sul territorio voluto dall’Ad Giuseppe Castagna per mostrare i “muscoli” e ringalluzzire gli addetti dopo l’offensiva di Unicredit. Ma la partita per la banca erede di Popolare Verona, Novara, Lodi e San Geminiano e San Prospero a Modena è più complessa di un’offerta di scambio per di più definita dal mercato un po’ stretta di maniche. Il Banco è azionista al 5% di Monte Paschi, alleato nella privatizzazione parziale col gruppo Caltagirone (8%) e Delfin (quasi il 10%), la holding della famiglia Del Vecchio che controlla Essilux e partecipazioni importanti in Unicredit (2,7%) e, soprattutto, Generali (9,9%).
Quella su Siena infatti potrebbe essere solo una mossa propedeutica per l’obiettivo grosso, Generali. E il futuro del Banco e di Unicredit (dove fondazione Cariverona è ancora azionista importante con circa l’1%) per molti osservatori passa proprio dal Leone di Trieste, vecchio pallino dell’ingegnere di Cementir e dei giornali come Messaggero e Gazzettino che ha in portafoglio l’8% della compagnia.
Dopo il tentativo di scalata di qualche anno fa, Caltagirone ci sta riprovando oggi con una manovra a tenaglia che ha dalla sua alleati di ferro come Delfin e il beneplacito del governo, azionista all’11,7% di Mps e detentore di un jolly che potrebbe sparigliare le carte di questo complesso risiko bancario, il golden power. In sintesi, alla Meloni & Friends non va l’intesa sulla gestione del risparmio con i francesi di Natixis messa in piedi dall’Ad di Generali, Francois Donnet. E quindi vedrebbe di buon occhio la cordata dei “patrioti” per cambiare l’Ad francese e dare un assetto nazional popolare al Leone. A sparigliare le carte però ci si è messo Andrea Orcel, Ad di Unicredit, comprando un 5% di Generali con in tasca probabilmente contratti derivati per arrivare al 10%.
Donnet avrebbe incontrato Orcel per portarlo dalla sua parte nella prossima assemblea di Generali prevista per il 24 aprile (anticipata dall’8 maggio con gran disappunto di Caltagirone e alleati). L’assise ha all’ordine del giorno il rinnovo del cda, quindi la poltrona di Donnet. Che ha dalla sua i fondi esteri poco entusiasti di vedere la cordata italica guidata dall’immobiliarista-editore al comando. Quel 10% di Unicredit sarebbe il cemento giusto per alzare il muro contro Caltagirone e Delfin, che partono oggi dal 18%.
Orcel però nei giorni scorsi ha fatto anche il giro delle sette chiese a Roma, incontrando fra l’altro il capo gabinetto della presidenza del consiglio Gaetano Caputi. Sarebbe ingenuo non pensare che in quel vertice non si fosse parlato di golden power e dei destini del Banco. Magari mettendo sul piatto una sorta di scambio: io appoggio la cordata dei patrioti per Generali e voi mi date il via libera all’offerta di scambio su Bpm non utilizzando il golden power e sgombrando il campo dall’interesse nazionale.
Subito dopo questa offensiva diplomatica poi sono iniziate a spuntare le considerazioni del tipo se l’offerta dovesse arrivare solo al 50% del Banco la fusione sarebbe a rischio, le sinergie si abbasserebbero a un miliardo contro costi di integrazione per 2, e si potrebbe cedere anche la società di gestione del risparmio Anima (che controlla il 4% circa di Mps), per la quale Castagna ha celebrato un’assemblea a fine febbraio per alzare l’Opa a 7 euro per azione, per un valore totale di 1,1 miliardi. Mossa che rende l’offerta di scambio da 14,5 miliardi di Orcel meno allettante (ora il Banco in Borsa ne vale circa 15), costringendolo probabilmente a un rilancio.
Ma a preoccuparlo di più è la contrarietà alla sua scalata che emerge a livello politico, con la frenata del Ministero dell’economia di Giancarlo Giorgetti (Lega, ancora importante nel Nord dove il Banco Bpm tra Verona, Novara, Milano e Lodi, ha forti radici): l’esecutivo preferirebbe mantenere un equilibrio nel sistema bancario nazionale ed evitare l’eccessiva concentrazione di potere nelle mani di pochi istituti, l’indiscrezione che sa di scomunica.
Soprattutto alla luce dell’offensiva della “rossa” Bper su Popoalre Sondrio un altro polo bancario oltre a Unicredit e Intesa non sarebbe male, par di capire. Anche se alle viste c’è anche l’offerta di Mps per Mediobanca. E la volontà dei francesi del Credit Agricole di salire dal 9,9% al 19,9% del Banco con annessa richiesta autorizzazione alla Bce. Insomma, un bel, ginepraio che rischia di lasciare Orcel con troppi fronti aperti (c’è anche la tedesca Commerzbank) e tanta incertezza.
Per ora il mercato lo segue e la capitalizzazione in Borsa di Unicredit è arrivata quasi ai livelli di Intesa, oltre 80 miliardi, e gli investimenti sono in attivo dopo la lievitazione dei titoli, ma l’incertezza geopolitica globale che ha già portato cali dei listini non consiglia di camminare troppo sul filo, soprattutto di non mettersi contro a due governi: Berlino e Roma. Dunque non è esclusa una ritirata strategica, magari tenendo fermo solo il caposaldo in Generali per avviare future sinergie con chi vincerà la partita del cda e del controllo, arrivando a prendersi il gioiellino di famiglia, quella Banca Gnerali che produce utili a raffica e ha in cassaforte i risparmi di tanti imprenditori del Nordest e non solo. Di sicuro c’è un aspetto: per Castagna questa è la sfida della vita (da Ad), per Orcel invece un passaggio della sua partita a scacchi aggressiva per la supremazia europea. Ma troppi nemici non fanno sempre tanto onore. Anzi.
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