«Una spiaggia senza mare si chiama deserto», a Fiumicino la protesta contro il porto crocieristico

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Nel 2022 la Fiumicino Waterfront, controllata dalla Royal Caribbean, ha acquistato il terreno circostante il faro. Manca l’autorizzazione del ministero dei beni culturali, senza la quale i lavori non potrebbero iniziare. La mobilitazione è stata convocata dopo che, nella notte tra lunedì 3 e martedì 4 marzo, sono stati installati dei jersey in cemento

«Una spiaggia senza mare si chiama deserto» è la scritta che campeggia sul grande cancello che separa il piazzale dal vecchio faro di Fiumicino.

Sono le 10.45 del mattino, e la piazza inizia a riempirsi di gente. Gli organizzatori del presidio, riuniti nel comitato Tavoli del porto, stanno disponendo ombrelloni e teli mare a terra, trasformando lo spazio in una sorta di spiaggia simbolica.

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L’appuntamento è fissato per le 11, nel piazzale poco fuori dal centro della città. La mobilitazione è stata convocata dopo che, nella notte tra lunedì 3 e martedì 4 marzo, sono stati installati dei jersey in cemento lungo la spiaggia. Sopra di essi sono state montate delle grate, rendendo impossibile l’accesso al mare, a meno che non si scavalchi.

«Non abbiamo ricevuto alcuna comunicazione ufficiale su questa operazione» racconta David Di Bianco, portavoce del Comitato Tavoli del Porto di Fiumicino. «Hanno fatto tutto di notte, quasi avessero qualcosa da nascondere. Già nei giorni scorsi avevamo notato i blocchi e temevamo che stesse per succedere qualcosa».

«Non appena sono comparsi i jersey, abbiamo cercato di capire cosa stesse accadendo». Le spiegazioni ricevute, però, non sono state soddisfacenti: «Ci hanno detto che i blocchi sono stati messi per motivi di sicurezza. Ma non esistono informazioni pubbliche a riguardo» conclude di Bianco.

L’area interessata, quella del vecchio faro, è stata inclusa nei lavori previsti per il Giubileo. L’obiettivo è la costruzione di un porto crocieristico.

Nel 2022 la Fiumicino Waterfront, società controllata dalla Royal Caribbean, ha acquistato il terreno circostante il faro, che ha un’ampiezza di 55mila metri quadrati di terreno e 988mila metri quadrati di specchio acqueo. Il progetto prevedrebbe 800 posti barca e due attracchi per navi da crociera.

Il comitato Tavoli del Porto, dove si riuniscono una ventina di collettivi e associazioni, si oppone a questa grande opera trovandola impattante sia dal punto di vista sociale sia ambientale.

A gennaio, il ministero dell’Ambiente ha dato il via libera, a oggi manca ancora l’autorizzazione di quello dei beni culturali, i lavori dunque non potrebbero ancora cominciare. I cittadini però vedono nella deposizione dei jersey in cemento il simbolo della volontà di accelerare i lavori. «Senza l’autorizzazione del ministero però non possono farlo» conclude di Bianco.

«Stanno smantellando gli spazi. Ora ci hanno tolto la possibilità di andare in spiaggia. Il mare è salute, è benessere. Viviamo già in un territorio circondato da grandi opere inquinanti e ora ci vogliono togliere anche l’unico spazio di libertà che ci resta. È inaccettabile» racconta Gigi, un attivista del Collettivo No porto.

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La giornata del 9 marzo ha proprio questo scopo: creare consapevolezza su ciò che sta accadendo a Fiumicino e su quello che potrebbe succedere con la realizzazione del porto.

Dopo il presidio di Bianco guida le persone verso la spiaggia dove sono stati poggiati i blocchi di cemento per mostrarli a tutti.

Al di là delle grate il litorale è presidiato da pattuglie di polizia. C’è però un lembo di terra su cui si può sostare indisturbati. Nella prima parte di spiaggia, dove ci sono bilancioni dei pescatori, palafitte che sono state occupate e che sono diventate un polo di ritrovo per tutti gli abitanti di Fiumicino e per chi viene da fuori.

I partecipanti al presidio si disperdono, chi si abbandona sulla sabbia. Chi scavalca la grata per andare a fare il bagno. E chi sale sul Bilancione – delle strutture in legno sopraelevate – dove il collettivo Lima ha preparato il pranzo.

Altri osservano la situazione a distanza dalla palafitta di Attila che abita sul Bilancione blu da oltre dieci anni, quando ancora la sabbia non c’era, e si batte per evitare la realizzazione del porto crocieristico di Fiumicino. «Questo posto è bellissimo, sembra un set cinematografico, qui ci hanno girato di tutto», commenta Attila.

Sotto le strutture dei bilancioni, il malcontento si mescola alla voglia di resistenza. «Siamo arrabbiati perché manca creatività politica» dice Stefano di Nallo un abitante di Fiumicino. «Non c’è immaginazione nel pensare a soluzioni diverse».

Anche Rebecca abita a Fiumicino, è francese ma si è trasferita in città diciotto anni fa. «La cosa che mi interessa di più è la sostenibilità. Questa spiaggia prima non esisteva» racconta, indicando la sabbia sotto i piedi. Cinque anni fa, l’acqua arrivava fino agli scogli e i bilancioni, come i trabocchi abruzzesi, erano sospesi in alto sulle palafitte. Poi hanno costruito la diga e la sabbia si è accumulata, creando un lido. «Noi ci siamo adattati, e ora questo è diventato un luogo di incontro e di condivisione. Qui organizziamo tantissime cose».

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«La vera domanda da porsi – conclude Rebecca – è: di cosa ha bisogno chi vive qui?».

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