Tutti in periferia appassionatamente, ma il centro chi se lo ricorda? – Primocanale.it

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Va bene le periferie. Il vero mantra di questa campagna elettorale extra lunga, che chissà dove ci porterà. Il candidato e reggente Pietro Piciocchi le cavalca con la sua giunta itinerante di ascolto e di grandi propositi equilibratici, dopo otto anni nei quali il focus erano grandi opere e la città intorno al porto.

La candidata nuova Silvia Salis le proclama come il territorio della sua campagna elettorale, che sarà anche diversa da come la immaginiamo, ma intanto picchia lì in un programma di intervento nelle zone genovesi dove si vive peggio, dove la qualità della vita non è quella dei depliant turistici e delle classifiche del “Sole 24 ore” e dove nei lustri precedenti, ma non recentemente, il centro sinistra ha preso sberle epocali, perfino dalla Lega e non solo, dai Cinque Stelle, allora in corsa vincente da soli.

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Genova è grande e le periferie, che qualcuno vorrebbe chiamare in altro modo, la allungano molto. Pensate che la nostra città ha più chilometri di Milano e ci credo, se viaggi da Fiorino, sopra Voltri, a Apparizione quanta strada fai?
Però è sbagliato dedicarsi solo a questi quartieri e delegazioni, che un tempo non erano Genova ( attenzione che nel 2026 compiremo 100 anni di assorbimento completo della città nei suoi quartieri e varrà la pena di celebrare), annunciando che si deve lavorare per rispettare e costruire il “policentrismo”.

Lo dice un po’ ingenuamente Piciocchi, dimenticando, ma era troppo giovane per ricordare, che la città policentrica se l’erano inventata quelli della prima giunta rossa di Fulvio Cerofolini, Giorgio Doria e Luigi Castagnola, i socio comunisti al governo dal 1975.
E avevano diffuso questo concetto costruendo i poli abitativi e i nuovi centri urbani, compiendo operazioni che ci hanno segnato profondamente e spesso male. Begato , che proprio Piciocchi ha giustamente demolito nella sua Diga, era uno di questi tentativi di delegare l’urbanizzazione ai quartieri più decentrati.

Ma quante altre “diffusioni” policentriche, sulle alture di Prà, di Voltri, in Valpolcevera, a san Biagio, tra una discussione e altra con Riccardo Garrone, che aveva ancora lì la sua raffineria Erg e a Molassana alta e perfino al Colle degli Ometti!
Volevano dare una dignità urbana a quanto era stato prima slegato dalla crescita di Genova e poi maltrattato nei processi spesso duri e violenti dell’edilizia a tutti i costi e dell’industrializzazione potente che aveva riempito il mare e distrutto i gioielli delle spiagge da Cornigliano ( ante guerra), a Pegli, a Prà, Voltri e indirizzato la Valpolcevera, tra grandi fabbriche, depositi e appunto raffinerie, a un destino “secondario” rispetto al resto della urbanizzazione post bellica, quando la popolazione cresceva impetuosamente con le immigrazioni interne.

Come è finita lo sappiamo, a partire dalle macerie di Begato e dai tentativi di cambiare il destino delle due vallate, la ValPolcevera che un grande dirigente di Assindustria, ex uomo chiave delle aziende IRI, Stefano Zara aveva cercato di definire come una possibile Ruhr genovese e la Val Bisagno, invasa un po’ a casaccio da una grande distribuzione non di qualità, tra le sue vecchie funzioni di servizio.
Ora siamo da capo e si cavalcano territori un po’ stravolti da tanti cambiamenti, da ferite profonde, come quello di Certosa, dopo il crollo del Ponte Morandi, la sua ricostruzione e ora i cantieri della Metropolitana, che la tengono in ostaggio.
Qui la gente soffre molto di più che altrove, perché non ci sono più le fabbriche, il nuovo lavoro è spesso povero, le infrastrutture, a parte qualche raro caso, sono rimaste le stesse, le scuole sono quelle di un tempo e solo il prode Carlo Castellano ci sta provando con il suo nuovo Liceo Tecnologico, che è un tentativo di riscattare non solo l’istruzione, ma anche la dignità dei luoghi.

Va bene, quindi, le periferie, ma a me vecchio cronista un po’ anche logorato da questi corsi e ricorsi sembra che questa parola d’ordine cancelli un’altra emergenza più ombelicale. Che è il centro di Genova, di cui non si parla mai. Non i quartieri residenziali con il loro glamour, se c’è ancora, ma proprio il cuore di Genova, da Brignole a Principe, tanto per intenderci.

Dove i processo di pedonalizzazione, lanciato a fine anni Ottanta, da uomini coraggiosi, come Paolo Odone e quella sua squadra dell’Ascom, si inventarono il Quadrilatero, partendo da via Cesarea, si è fermato. Certo hanno levato le auto da San Vincenzo, poi da via Garibaldi e da san Lorenzo, Ma il resto galleggia in tanti propositi abortiti anche un po’ goffamente, come il kiss and buy di qualche mese fa.
Il centro è quello di sempre, anzi peggio, perché Piccapietra, costruita nei Sessanta e diventata per un po’ il cuore scintillante della modernità, è ora desertificata e ci vuole il coraggio della Banca Passadore a sopraelevare la sua sede e rilanciare , una specie di nuova cattedrale nel deserto delle chiusure e degli abbandoni, tra ex Rinascente, ex Moody e ex grande shopping nelle gallerie intorno a galleria Mazzini e Corvetto.
Proprio Corvetto dilaniata da cantieri necessari, ma eterni, confinante con i giardini perduti di Villetta di Negro e Acquasola, problemi irrisolti, dalle giunte rosse di Cerofolini e quelle di oggi di Bucci-Piciocchi.

Chi pensa al centro, dove arrivano fiumi di turisti dal Porto Antico, su per san Lorenzo e ai carruggi ( e quello è un altro tema..)?
Ma non bisognava riscattare piazze e piazzette, piantare alberi, dare un senso e impedire scempi in piazza Matteotti e anche a De Ferrari, salvata solo dal palazzo della Regione e dai suoi scintillii, spesso invase da baracche, baracchette, tende e tendoni.
Quando c’è un nuovo intervento urbanistico viene da mettersi le mani nei capelli, come davanti alla Banca Passadore, dove hanno creato quel giardinetto con quattro alberi-spinaci e lasciano la piazzetta, il tetto dell’autosilo, con molti negozi chiusi, in attesa solo del Mercatino di San Nicola tra l’Immacolata e Natale.

Davanti al Carlo Felice suonano artisti di strada e va bene per loro, ma non si può mai organizzare niente di più, per ricordare che quello è il tempio della musica, a fatica ricostruito dopo decenni di dubbi.
Di lato al palazzo della Costa Crociere, via XII Ottobre, grande “marca” marittima di Genova e della Liguria, i senza tetto sono insediati spesso, come i punka bestia davanti all’ex negozio di Bagnara Sport, dove giustamente c’è un negozio per animali e un inevitabile supermercato, per carità utilissimi nelle loro funzioni, ma con ex Moody e ex Rinascente, dove puoi vedere le vetrate a pezzi e l’abbandono all’interno, dopo cinque anni dalla chiusura, lo spettacolo non è invitante.

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Sicuramente le periferie sono anche serbatoi di voti, mentre il centro è vecchio e stanco, abitato spesso da anziani, con una rete commerciale oramai strangolata dall’e commerce e dagli outlet ovunque, invasa da un traffico spesso sregolato e senza parcheggi, mai costruiti da tutte le giunte che si sono succedute in secula seculorum. Ma la bellezza della città sta anche qua e la prova della lungimiranza di chi amministra è anche qua, nelle previsioni di cambiare con piani certi, di chiusure, di pedonalizzazioni, di costruzione di parking, di gestione delle reti commerciali adeguate ai tempi e alla turisticizzazione sempre più cavalcante.
E allora viva le periferie, ma non dimenticatevi il cuore di Genova.



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