Quanto è in rosso il Vaticano

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La Santa Sede piange sempre più spesso miseria. Come sono messe le finanze del Vaticano? Affronta il tema il giornalista Federico Tulli sul numero 1/2025 di Nessun Dogma. Per leggere la rivista associati all’Uaar, abbonati oppure acquistala in formato digitale.


Esattamente un anno prima di abdicare da papa, nel febbraio del 2012 Joseph Ratzinger riunì a Roma i capi delle diocesi di tutto il pianeta. Qui, presso la Pontificia università gregoriana, la Santa sede aveva organizzato un simposio internazionale sulla lotta della chiesa cattolica contro la pedofilia nel clero, dal titolo “Verso la guarigione e il rinnovamento”, per istruire i vescovi su come affrontare le inchieste che da qualche anno stavano facendo emergere in tutti i Paesi a tradizione cristiana orrende storie pluridecennali di violenze e abusi di ogni genere su bambini affidati alle “cure” e all’educazione da parte di sacerdoti.

L’evento ebbe un ampio risalto mediatico ma nei fatti condusse a poco tanto è vero che l’11 febbraio 2013, fiaccato dagli scandali anche di natura finanziaria che gravavano sulla “sua” Chiesa, Ratzinger improvvisamente decise di scendere dal trono di Pietro. Benedetto XVI fece quindi un passo di lato e divenne papa emerito, lasciando il posto e i problemi da risolvere al suo successore.

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Uno di questi problemi emerse chiaramente dal simposio (ma ebbe scarsa attenzione dalla stampa italiana) e riguardava il rischio che la Chiesa finisse in bancarotta in assenza di adeguate contromisure.

A scoprire il nervo fu una ricerca del The National Catholic Risk Retention Group, un’organizzazione statunitense che si occupa di risk management ecclesiastico. Gli esperti del Tncrrg intervenuti al simposio raccontarono che, in base ai dati in loro possesso, nei soli Stati Uniti dal 1950 la chiesa cattolica aveva dovuto sostenere in termini di risarcimenti alle vittime di preti pedofili costi per 4 miliardi di dollari, molto spesso mettendo in vendita il patrimonio immobiliare per reperire le risorse necessarie.

E, cosa forse ancora più interessante, dal 1980 il danno economico e d’immagine provocato dalla pessima gestione dei casi di pedofilia era da stimarsi in 2,6 miliardi di dollari, in termini di mancate offerte volontarie. Cioè, testamenti, donazioni, e altri oboli di varia natura da parte dei fedeli.

Indignati e disgustati dagli scandali e dall’omertà, reticenza e complicità delle gerarchie ecclesiastiche, migliaia di cattolici nordamericani avevano cominciato a devolvere le loro offerte ad altre Chiese considerate da loro più credibili, affidabili e coerenti con la dottrina cristiana.

Un’emorragia che non ha riguardato solo gli Usa – dove peraltro negli ultimi 25 anni 15 diocesi hanno dovuto dichiarare bancarotta perché non in grado di affrontare i risarcimenti, e la sola diocesi di Los Angeles, che non è tra quelle fallite, ha versato alle vittime oltre 1,5 miliardi – basti pensare all’Irlanda dove durante gli 8 anni di pontificato di Ratzinger la popolazione cattolica è passata dal 69 per cento del 2005 al 47 per cento del 2010.

Oggi, nel 2025, dopo 12 anni di pontificato di Bergoglio, il trend messo a nudo dal National Catholic Risk Retention Group non sembra aver invertito la direzione. Questo è per lo meno ciò che si evince dal rendiconto dell’Obolo di San Pietro, il fondo della Santa sede presso cui confluiscono attraverso le diocesi di tutto il mondo le varie forme di offerte dei fedeli: collette nelle chiese, offerta diretta su conti dedicati, lasciti ereditari.

Stando all’ultimo rapporto pubblicato dal Vaticano, che si riferisce al 2023, le entrate sono state pari a 48,4 milioni. Di questi, 16,7 sono arrivati da Usa (13,6) e Italia (3,1), i due Paesi più generosi. Rispetto al 2022, le donazioni – al netto delle quote che le diocesi trattengono per coprire le proprie spese “di gestione” – sono aumentate di 5 milioni di euro ma per la Santa sede la soddisfazione non può che essere parziale.

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Queste cifre infatti sono molto lontane dal denaro che confluiva nell’Obolo durante il pontificato di Ratzinger. Per farsi un’idea, nel 2007 venivano rendicontati circa 57 milioni di euro (80 milioni di dollari) pari a 66 milioni di oggi; e nel 2013, a conferma di una progressiva diminuzione delle entrate, i milioni erano scesi a 55,7 pari a 57 milioni di oggi.

A rallentare l’emorragia concorrono i proventi finanziari realizzati dalla remunerazione del patrimonio mobiliare e immobiliare della Santa sede. Nel 2023 la cifra, che concorre ad alimentare il Fondo dell’Obolo, è stata pari a 3,6 milioni di euro. Ciò significa che nel 2023 l’Obolo di San Pietro è stato pari complessivamente a 52 milioni di euro, a fronte di 109,4 milioni di uscite. Soldi, questi, impiegati per concorrere al «supporto delle attività» dei 68 dicasteri «a servizio della missione apostolica del Papa» (oltre 90 milioni sui 370 in totale spesi per la Curia) e per finanziare i progetti di assistenza diretta ai più bisognosi in diversi Paesi del mondo (circa 13 milioni).

Nel 2023 si è dunque verificato uno sbilancio di oltre 50 milioni che è stato coperto dal Fondo dell’Obolo, una sorta di cassa continua del papa di cui non si conosce l’entità complessiva e che nel 2022 era stato implementato con 11 milioni (la differenza tra entrate e uscite dell’Obolo). Sta di fatto che la contrazione delle offerte dei fedeli non sembra dar segnali di rallentamento, mentre dall’altra parte crescono le spese per sostenere «le necessità della Chiesa universale» e (in misura molto minore) «supportare le iniziative in favore dei più bisognosi».

Per cercare di rimediare a questa situazione, evitando quanto più possibile di intaccare il Fondo, la Santa sede si è particolarmente concentrata sulla valorizzazione commerciale dello sterminato patrimonio immobiliare e mobiliare, al contempo avviando una sorta di spending review.

In particolare papa Francesco, a conferma della situazione poco florida dei conti del Vaticano, prima nel settembre del 2024 ha inviato una lettera ai cardinali che guidano i vari dicasteri, manifestando la necessità di tagliare le spese, garantire «una gestione trasparente» e «attuare sinergie tra gli enti che hanno un budget più florido con quelli che hanno meno soldi». E poi, solo un mese dopo, per dare un segnale tangibile di svolta, ha stabilito un taglio del 10% dello stipendio dei capi della Curia.

Queste misure appaiono davvero poca cosa ma c’è un rischio reale che i conti in rosso possano provocare un terremoto Oltretevere? Si tratta di un’ipotesi piuttosto remota. Già nel 2022 più della metà delle entrate complessive dell’Obolo (pari a 107 milioni) erano state garantite dalla vendita di immobili di proprietà del Fondo, cioè della Santa sede, e dagli interessi maturati sui titoli e le obbligazioni.

Al momento la strategia di valorizzare il patrimonio mobiliare e immobiliare appare quella più efficace, se non l’unica, per raggiungere l’obiettivo di “deficit zero” stabilito da Bergoglio alla fine del 2024 dopo che i costi di gestione dei 68 dicasteri della Curia nel solo biennio precedente erano aumentati di quasi 133 milioni.

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Stando al bilancio dell’Apsa, l’organismo economico che si occupa della gestione del patrimonio della Santa sede, da questo punto di vista le fondamenta vaticane appaiono piuttosto solide. Nel complesso l’Apsa gestisce un tesoro di circa tre miliardi di valore, suddiviso tra titoli azionari, obbligazioni, quote di fondi e oltre 5mila immobili di proprietà (di cui 1.200 fuori dall’Italia).

E questo immenso patrimonio nel 2023 ha fruttato al papa 37,9 milioni, al netto delle imposte versate all’Italia (9 milioni tra Imu e Ires), tra proventi finanziari, affitti e operazioni immobiliari. Il pontefice, dunque, da questo punto di vista può dormire sonni tranquilli. Ma ci resta il dubbio sul fatto che vendere palazzi e titoli per salvare i conti possa salvare la faccia di una Chiesa che da un lato predica “povertà” e dall’altro spende oltre 370 milioni per gestire i suoi ministeri e 13 milioni per «sostenere i bisognosi» di tutto il mondo.

Federico Tulli

 


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