La recente valutazione sull’erogazione dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) per l’anno 2023 pubblicata dal ministero della Salute, oltre agli ovvi ed attesi commenti positivi da parte di chi si è trovato premiato (Veneto, Toscana, Emilia-Romagna), è stata caratterizzata da una vivace e forte polemica da parte del presidente di Regione Lombardia, Attilio Fontana, che con linguaggio fortemente piccato ha bocciato senza mezzi termini tutto il processo di valutazione e si è risentito perché qualche giornale gli ha fatto rilevare che la sua Regione è stata retrocessa di una posizione (dal 5° al 6° posto) rispetto alla valutazione ottenuta l’anno precedente.
Immediata è stata la replica del ministero della Salute che, oltre a giudicare “male indirizzata” la protesta del governatore lombardo e “inopportuno” il linguaggio utilizzato, è entrato nel merito ribadendo che il sistema di valutazione non formula classifiche dei servizi sanitari delle Regioni, ma valuta la corretta erogazione dei LEA, e da questo punto di vista la Regione Lombardia – insieme a molte altre – è stata giudicata adempiente, cioè ha superato la soglia (punteggio 60 per ogni LEA) che separa i promossi dai bocciati.
Inoltre, aggiunge il ministero, “l’obiettivo del monitoraggio non è penalizzare le Regioni, ma assicurare ai cittadini l’erogazione delle prestazioni a cui hanno diritto” e “il Nuovo Sistema di Garanzia (NSG) costituisce uno strumento di valutazione che verifica – secondo le dimensioni dell’equità, dell’efficacia e dell’appropriatezza – che tutti i cittadini italiani ricevano le cure e le prestazioni rientranti nei LEA”.
Linguaggio e polemiche specifiche a parte, c’è della sostanza nelle critiche di Fontana o si tratta solo di una delle tante diatribe cui assistiamo ogni giorno su qualsiasi determinazione che caratterizza il governo della vita del nostro Paese?
Non c’è lo spazio in queste colonne per una adeguata discussione del processo di valutazione (Nuovo Sistema di Garanzia, NSG), ma qualche breve e sintetico elemento metodologico va fornito ai lettori che ci seguono.
Per ciascuno dei tre LEA sono stati individuati alcuni indicatori ritenuti rappresentativi:
– 6 per la prevenzione (copertura vaccinale pediatrica a 24 mesi per esavalente e MPR; controllo animali e alimenti; stili di vita; screening oncologici),
– 9 per l’assistenza territoriale (tasso di ospedalizzazione per diabete, BPCO e scompenso cardiaco, e di minori per asma e gastroenterite; intervallo chiamata-arrivo mezzi di soccorso; tempi d’attesa delle prestazioni con classe di priorità B; consumo di antibiotici; percentuale re-ricoveri in psichiatria; numero decessi per tumore in assistiti con cure palliative; anziani non autosufficienti nelle RSA),
– 7 per l’assistenza ospedaliera (tasso di ospedalizzazione totale; interventi per tumore maligno al seno eseguiti in reparti con volumi di attività superiore a 150 interventi annui; ricoveri a rischio di inappropriatezza; quota di colecistectomie con degenza inferiore a 3 giorni; over 65enni operati di frattura al femore entro 2 giorni; parti cesarei in strutture con più e meno di 1000 parti l’anno).
Per ciascun indicatore viene innanzitutto elaborata una specifica funzione di valorizzazione che, a partire dal valore dell’indicatore ed applicando criteri di penalità e di premialità, calcola un punteggio su una scala da 0 a 100.
Successivamente, tutti i singoli indicatori di una specifica area di assistenza vengono combinati insieme attraverso un sistema di pesi per produrre il valore complessivo dell’area espresso anch’esso in una scala da 0 a 100.
Questo valore rappresenta il risultato regionale per quello specifico livello, e per essere adempienti deve superare 60. Da ultimo vengono calcolati il totale di ogni Regione ed il totale nazionale, per monitorare l’andamento del Paese e dei suoi territori regionali nel tempo.
Si tratta evidentemente di una metodologia molto complessa (e quindi di per sé sempre molto discutibile), dove sono tante le scelte da fare, i parametri da adottare, i pesi da selezionare, e così via, ed è facile immaginare che il risultato numerico finale dipenda proprio da tutto questo insieme di decisioni che devono essere prese: ogni diversa decisione può portare ad un risultato finale diverso.
Penso che Fontana, con la sua critica, volesse esprimere proprio questa complessità ed annessa arbitrarietà che caratterizza il percorso del NSG e di conseguenza il risultato numerico della valutazione. Si tratta ovviamente di verificare, ma non lo possiamo fare non avendo i dati di partenza, se l’applicazione di un percorso diverso, di parametri e scelte diverse, e così via, avrebbe portato a risultati sostanzialmente differenti da quelli prodotti dal NSG.
Ciò premesso, risulta facilmente comprensibile come, in una valutazione che contiene così tanti elementi di discrezionalità (nel senso di scelte specifiche da adottare) non abbia alcun valore e significato andare a vedere se da un anno con l’altro una Regione ha perso o guadagnato qualche punto, ed anche la vicinanza dei risultati di molte Regioni dice come con pochissima variazione nel punteggio finale si possano guadagnare o perdere posizioni nella eventuale classifica (che per altro il ministero non produce ma che è necessariamente indotta e calcolabile da chiunque una volta noti i punteggi delle tre aree delle singole regioni).
Fin qui la discussione interna alla metodologia di cui si è servito il NSG, ma la materia merita ben altre considerazioni, come le seguenti.
Sono sufficienti 22 indicatori (quelli selezionati ovvero altri ritenuti più idonei) per dare un giudizio complessivo sull’intera erogazione dei LEA o, peggio ancora, come appare (purtroppo) evidente nell’uso che ne viene fatto tutte le volte che la valutazione viene riproposta, se si vuole dedurre da questa valutazione la qualità (bontà, adeguatezza, funzionamento, …) di un intero servizio sanitario regionale?
Sono tantissimi, infatti, gli aspetti dei LEA che non vengono nemmeno sfiorati dalla valutazione, e risulta pertanto assolutamente pretenziosa e fuori luogo qualsiasi conclusione che abbia come oggetto un giudizio sulla reale erogazione dei livelli essenziali.
Ancora. Se, da una parte, è evidente che i valori che si allontanano dal valore massimo di 100 (che siano o meno sotto la soglia di 60, che ad ogni buon conto è una soglia del tutto arbitraria che non ha alcun riferimento reale con un giudizio positivo sulla erogazione dei LEA) dicono che in quella Regione c’è qualcosa che non ha funzionato, dall’altra, non c’è invece alcuna certezza che i valori sopra soglia siano indice di garanzia della erogazione dei LEA.
Sicuramente sono indice di avere riscontrato, nei 22 indicatori misurati, valori più elevati rispetto alle Regioni che hanno valori più bassi (e quindi funzionano come strumento per predisporre una classifica, per quanto parziale e discutibile), ma che ciò corrisponda ad avere garantito i Livelli Essenziali di Assistenza è tutto da dimostrare.
Se invece il NSG fosse ricondotto alla sola esigenza di distribuire fondi premiali del Fondo sanitario nazionale (circa 600 milioni, cioè una cifra irrisoria a fronte degli oltre 130 miliardi che costituiscono il FSN), allora non ci sarebbero soverchi problemi: ci sono infinite modalità per distribuire soldi alle Regioni ed il NSG potrebbe tranquillamente essere accettato come strumento per raggiungere questo obiettivo.
E da ultimo. Facciamo l’ipotesi estrema che tutte le Regioni raggiungano il massimo punteggio nella valutazione NSG: se consideriamo l’universalismo e l’equità nell’accesso, l’uguaglianza territoriale (e non solo), la qualità e gli esiti delle cure, la reale presa in carico del paziente fragile, l’appropriatezza erogativa, e così via, che solo in minima (per non dire trascurabile) parte sono incluse nel percorso valutativo, possiamo dire che i LEA siano effettivamente garantiti dal SSN? Credo che avere forti dubbi in proposito sia non solo legittimo, ma che corrisponda alla realtà molto di più che non l’ipotesi opposta.
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