L’Europa si riarma spinta dall’anti-trumpismo
La brutalità formale di Donald Trump sembra aver ridato fiato all’europeismo convalescente, quasi allettato dopo la Brexit, dopo la crisi dei due Paesi “motori” dell’Ue, Francia e Germania, dopo il sostanziale fallimento dell’austerità ereditata da Angela Merkel, dopo l’imprudente Green Deal e dopo lo scoppio della guerra in Ucraina. Ma come capita a un malato improvvisamente richiamato ad alzarsi, dopo un febbrone debilitante, l’Europa sembra sbandare, assumendo atteggiamenti incoerenti con tutto il suo passato recente, e soprattutto con la sua natura.
Sarà poca cosa, ma ogni decisione europea è frutto di un organismo che gli europei non hanno votato, se non con percorsi indiretti. In Italia ci siamo lagnati per anni del parlamentarismo proporzionale e opaco, che consentiva di tracciare percorsi di governo sostanzialmente elaborati nelle segreterie di partito. In Europa sta accadendo lo stesso. A prescindere che abbia ragione o torto l’allarme rosso è stato lanciato da Ursula von der Leyen, priva di un mandato diretto, eletta da equilibrismi politici non sempre dichiarabili, e gravata da molte ombre del recente passato (come la secretazione sui rapporti con le case farmaceutiche durante il Covid).
Il brutto e cattivo Trump gigioneggia dall’alto del suo cospicuo consenso elettorale, che in democrazia qualcosa vale. Ma questo europeismo generato dall’anti-trumpismo è un buon consigliere per il futuro degli europei? Stiamo assistendo a una serie di paradossi che dovrebbero suscitare qualche domanda in più rispetto all’orgoglioso programma ReArm Europe e alle sue possibili conseguenze.
Un primo paradosso è che la leadership di questo sussulto europeista al riarmo sia stata assunta da chi ha lasciato l’Unione pochi anni fa. Londra e il suo primo ministro hanno iniziato a suonare il piffero che gli europei – quelli seduti sugli alti scranni di Bruxelles e Strasburgo – sembrano aver gradito, dimenticando in una notte il dramma della Brexit. Mentre la Germania si dibatte in una crisi politica ed economica senza precedenti, l’altro protagonismo effervescente è quello di Emmanuel Macron, che ha molti buoni motivi per far dimenticare l’impasse in cui è caduta anche la Francia, prima e dopo le elezioni. Questa Europa affannata, scomposta, divisa vuole far credere – nelle decisioni del suo vertice selezionato da una democrazia indiretta che farebbe orrore a chiunque abbia un minimo di sensibilità da terza Repubblica italiana – di essere unita a favore dell’Ucraina e contro Putin.
Papa Francesco ebbe modo di dire più volte che la terza guerra mondiale è già iniziata, tanti sono i focolai e i conflitti accesi. Il ReArm Europe è benzinaio o pompiere?
Le cifre sono da capogiro: 800 miliardi di euro per produrre armi, di cui 150 prestati dall’Ue agli Stati membri. Un nuovo super-Pnrr, che dopo aver negato finanziamenti per infrastrutture stradali, perché indirettamente inquinanti, oggi si rivolge tutto alle armi. E ogni Paese europeo investirà il 2,5% del proprio Pil per produrre caccia e tank. Nessuno dei due veicoli risulta essere a propulsione elettrica. E’ paradossale che il Green Deal sia stato stracciato di fatto dalla scelta del forsennato riarmo in una manciata di giorni, dopo anni di gestazione durante i quali è stata affossata l’intera filiera automotive europea e regalata la leadership dell’industria al servizio delle energie rinnovabili alla Cina. Si dirà, come ha detto l’ineffabile Ursula, che in tempi eccezionali l’Europa deve dare segnali eccezionali. L’emergenza bellica ha cancellato quella energetica e ambientale.
Da un suicidio a un altro? Quanto consuma un caccia o un tank? Quando Trump ha detto che avrebbe fatto tutti i suoi distinguo sui percorsi di decarbonizzazione è stato tacciato di irresponsabilità e incoscienza. Oggi forse ci dimentichiamo che il riarmo europeo finirebbe per seppellire ogni progetto di sostenibilità energetica o ambientale.
Incoerenza necessaria per andare in guerra? Incoerenza inevitabile per far decollare una soggettività europea mai esistita dal dopoguerra, quando il Vecchio Continente non ha potuto che accettare di vedersi diviso tra l’influenza Usa e quella Urss. Con il crollo del muro di Berlino non è nata l’Europa, è finita l’Urss. E oggi sarà l’Ue affarista e mercante, a mettere la museruola a Putin? Cina, Stati Uniti e Russia (e magari tra poco anche India) – nell’ordine – dovrebbero temerla, perché è disposta a imporre ai suoi Stati membri di ridurre il welfare e di aumentare le armi?
Per il 19 marzo è atteso il Libro bianco sul futuro della difesa europea, subito prima del Consiglio europeo ordinario. C’è poco più di una settimana per disinnescare un programma osannato dal mainstream – in testa a tutti i grandi media – e votato a creare una economia di guerra di cui non si sentiva il bisogno. C’è chi si augura una grande Svizzera (un’altra paradossale idea), in questo angolo di mondo, carico di storia, di arte e di cultura, ma ormai decentrato rispetto a ogni tavolo di confronto dell’economia e della politica internazionale.
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