“La mozione di sfiducia sulla vicenda Almasri? Mi lascia indifferente. Il modello Albania per costruire carceri: settemila posti in più”

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La notizia della sentenza della Cassazione sul caso Diciotti che condanna l’Italia a risarcire gli immigrati rimasti, nell’agosto del 2018, nove giorni bloccati al largo delle coste italiani su disposizione dell’allora ministro Salvini, arriva nel bel mezzo di una chiacchierata con Carlo Nordio e il ministro della Giustizia non nasconde il suo stupore per questa ennesima sentenza dal sapore politico: «Sono perplesso. In Africa milioni di individui ambiscono a entrare in Italia in modo illegale. Se dovessimo risarcirli tutti le nostre finanze andrebbero in rovina».

Ministro, sulla sua testa c’è una mozione di sfiducia da parte dell’opposizione per la gestione del caso Almasri, il generale torturatore libico arrestato in Italia e subito rimpatriato, non peggiori la sua situazione.

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«Glielo dico sinceramente».

Prego.

«Non solo non sono per nulla preoccupato, ma la cosa mi lascia totalmente indifferente».

Lo dirà anche in Parlamento il giorno della votazione su di lei?

«Intanto lo dico a lei. In aula spiegherò puntualmente le mie ragioni, non ho proprio nulla di cui dovermi scusare o pentire».

Qualche anticipazione?

«Il mio rispetto per le istituzioni me lo impedisce».

Lei giovedì ha partecipato all’incontro definito «storico» tra il premier Giorgia Meloni e i vertici dell’Associazione nazionale magistrati. Da allora lei non ha detto una parola. Anche qui massimo riserbo?

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«Le posso dire che le posizioni del governo e dell’Anm sulla riforma della giustizia sono state chiarissime».

Direi inconciliabili.

«Appunto, nell’incontro ognuno è rimasto sulle sue posizioni. La nostra è che il progetto di riforma costituzionale non viene assolutamente toccato».

Qualcuno invece ha parlato di vostre aperture.

«Non confondiamo. Un conto è il progetto di riforma costituzionale che non viene assolutamente toccato, altro è discutere su una serie di punti che ci sono stati presentati e che in verità stanno a cuore anche a noi, tipo la carenza di organico sia di magistrati che di personale amministrativo, i problemi di edilizia carceraria, quello dei suicidi in carcere».

Tutte cose di cui si parla da tempo, ma solo parla…

«Le annuncio che per la prima volta dalla fondazione della Repubblica, entro il 2026 colmeremo tutti i vuoti d’organico: abbiamo in corso cinque concorsi che andranno a colmare i 1500 posti vacanti».

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Sulle carceri ci torneremo. Stiamo sulla riforma tanto contestata.

«Sono più che fiducioso che andrà in porto senza intoppi. Su questo sia il governo che la maggioranza parlamentare sono granitici. Io spero entro l’estate, ma certamente entro la fine dell’anno l’iter sarà completato».

Sì, però poi si andrà al referendum.

«A prescindere che è impensabile avere la maggioranza qualificata nelle due Camere necessaria essendo una riforma costituzionale per evitarlo, io sono assolutamente favorevole a sottoporre comunque una legge che riguarda una materia così delicata al giudizio degli italiani».

Saggio ma rischioso, soprattutto su materie così tecniche.

«Non credo sia questo il caso. Primo perché essendo un referendum confermativo non serve il quorum dei votanti che quello sì avrebbe potuto essere un problema. Secondo perché la materia è soltanto apparentemente tecnica. In realtà si chiederà agli italiani se vogliono una magistratura più efficiente e trasparente nel suo governo e nelle sue dinamiche interne. Non mi sembra un quesito incomprensibile ai più».

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I magistrati non staranno con le mani in mano, stanno già preparando una campagna referendaria agguerrita e come noto non godono di cattiva stampa.

«Più che legittimo. Io ho sempre avuto forte perplessità sugli scioperi della magistratura da magistrato non ne ho mai fatti – non sulla sua libertà di parola. Quello che auspico è che il dibattito sia contenuto in termini civili e razionali. Gli slogan tipo si vuole mettere la mordacchia ai magistrati o una riforma punitiva non hanno alcuna aderenza alla realtà del testo della riforma. I processi alle intenzioni invece che ai fatti non sarebbe corretto, soprattutto da parte di magistrati che per mestiere devono attenersi agli atti».

Mi sembra una pia illusione.

«Vedremo, mi limito a dire che meno astiosa sarà la campagna elettorale meno impattante e umiliante sarà la sconfitta di chi la perderà».

Intanto arrivano al pettine altri nodi che riguardano la giustizia, dalla riforma della prescrizione al tetto temporale alle intercettazioni.

«Io posso parlare a nome del governo, non del Parlamento che sta discutendo di questi temi rispetto ai quali certo abbiamo dato il nostro contributo. Ovviamente so che queste riforme, compresa quella che riguarda la custodia preventiva, sono in dirittura di arrivo e la cosa mi fa piacere».

Certo la sua idea di togliere alle Procure il controllo diretto della polizia giudiziaria non sta contribuendo a rasserenare il clima.

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«Si tratta di una enorme bufala messa in giro da alcuni giornali che son peraltro recidivi nel diffondere notizie non vere. Non solo non ho mai pensato, e di conseguenza detto una cosa del genere, ma resto sorpreso e stupito come una associazione seria come l’Anm possa cadere in una trappola del genere: sarebbe bastato leggere il testo della riforma per vedere che non si tocca l’articolo 106, quello che stabilisce che la polizia giudiziaria risponde direttamente alla procura».

Intanto in Consiglio dei ministri proprio in queste ore varate un disegno di legge per introdurre il reato di femminicidio.

«Non è tanto un problema di aggravamento di pene, che già sono alte, ma un segnale di attenzione anche culturale a questo fenomeno odioso e devastante».

Certo, ma l’omicidio è già punito.

«Vero, ma noi abbiamo fatto un altro ragionamento».

Quale?

«Che il femminicidio sta all’omicidio come il genocidio sta alla strage. Nel senso che il genocidio non colpisce a caso, vuole colpire una specie, una etnia, una categoria di esseri umani e lo stesso vale per il femminicidio che colpisce una donna in quanto tale. È un segnale di attenzione verso un soggetto debole che negli ultimi anni, aimè, ha avuto una serie di aggressioni che va al di là della statistica ordinaria degli omicidi».

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Immagino lei sappia che il mondo liberale non vede con entusiasmo lo spacchettamento dei reati. Un omicidio è un omicidio.

«Conosco queste perplessità, ma il diritto penale segue in realtà dovrebbe precedere quelli che sono i fenomeni nuovi di una società. Mentre alcuni reati diminuiscono e addirittura potrebbero non avere più senso, altri emergono. Pensiamo un po’ di anni fa ai reati relativi all’inquinamento, più di recente quelli alle frodi informatiche che hanno soppiantato le rapine in banca per il semplice motivo che in banca non c’è più il cash. Ma c’è di più».

Tipo?

«Introducendo una fattispecie autonoma di reato si evitano tutte le tematiche connesse al gioco di attenuanti e aggravanti che invece ci sarebbero state se avessimo introdotto solo delle aggravanti specifiche».

Tutto chiaro, ma la moltiplicazione di reati porterà più giustizia?

«I reati si possono anche sottrarre. Una volta era reato l’adulterio, poi è stato tolto. Lo stesso vale per la bestemmia. E comunque mi lasci dire che al di là dell’effetto giuridico c’è un segnale culturale e un effetto dissuasivo, deterrente. Prenda il caso del cosiddetto reato Rave party che abbiamo introdotto all’inizio del nostro mandato e che tante polemiche ha sollevato. Da allora non c’è stato bisogno di applicarlo perché i fenomeni illegali di quei raduni non si sono più verificati».

Torniamo al problema delle carceri. È un fatto: stanno scoppiando, situazione insostenibile e incivile.

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«È vero, ma mi faccia fare una premessa: nel nostro Paese, con i vincoli idrogeologici, culturali, artistici e paesaggistici che ci sono costruire carcerii è cosa difficilissima. Non mancano né i soldi né la volontà, mancano gli spazi. Per questo abbiamo preso un’altra strada».

Quale?

«Voi giornalisti lo avete chiamato il modello Albania: piccole strutture modulari sicure e confortevoli facili e veloci da costruire e da controllare. L’altro giorno sono stato a San Vito al Tagliamento a inaugurare il cantiere di una di queste strutture che sorgerà al posto di una vecchia caserma rasa al suolo. Tra poco più di un anno potrà ospitare fino a trecento detenuti».

Obiettivo?

«C’è un commissario

straordinario incaricato di individuare le aree che ogni quindici giorni fa il punto con la presidenza del Consiglio. Pensiamo entro due o tre anni di aumentare la capacità ricettiva del sistema carcerario di settemila posti».



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