Se definire la ”disoccupazione femminile” come «la più alta di sempre» è stato un errore di distrazione per Giorgia Meloni, presidente del Consiglio, l’occupazione femminile è certamente tra le più basse d’Europa.
Le statistiche Istat
Secondo un’anticipazione del Rapporto Cnel-Istat sull’occupazione femminile intitolato Il lavoro delle donne tra ostacoli e opportunità, nonostante durante lo scorso anno ci sia stata una crescita dell’occupazione femminile, il divario con l’Europa è ancora ampio.
Nel terzo trimestre 2024 il tasso di occupazione delle donne in Italia era a 12,6 punti di inferiorità rispetto alla media europea e francese, e oltre i 20 punti di differenza rispetto alla Germania, confermandosi in questo modo come valore più basso tra i ventisette paesi UE.
Inoltre, i nuovi dati Istat relativi all’occupazione e alla disoccupazione di gennaio, nonostante una crescita complessiva dell’impiego, puntano i riflettori ancora una volta sulla disparità di genere.
Il gender gap
Con un’occupazione femminile che si colloca al 53,5%, rispetto al 72% dell’occupazione maschile, il gender gap si conserva con un differenziale del 18,5.
A ribadirlo è anche il Rendiconto di genere 2024 presentato a fine febbraio dal Consiglio di Indirizzo e Vigilanza dell’Inps.
Il gap riportato delle statistiche Inps, già nel 2023, contribuiva a posizionare l’Italia tra gli ultimi paesi in Europa per equità occupazionale tra i generi, come riportato dall’EIGE (European Institute For Gender Equality).
Infatti, nonostante la popolazione femminile, italiana e straniera, sia più elevata della popolazione maschile, sia per contratti a tempo indeterminato che per contratti a termine, le donne hanno percentuali nettamente inferiori.
Il gender gap, specialmente nei contratti a tempo indeterminato per dirigenti e per figure di quadri, ossia figure di elevato livello gerarchico – un livello sotto alle dirigenze –, è ancora eclatante: solo il 21,1% delle donne ha un contratto dirigenziale contro il 78,9% dei colleghi uomini.
Stesso divario anche nei contratti da quadri, dove il genere femminile rappresenta il 32,4%, mentre quello maschile il 67,6%.
Distanze formidabili che ancora una volta allontanano le donne dai vertici dirigenziali e manageriali.
Quello che emerge dai dati contribuisce a delineare il campo di battaglia che migliaia di donne sono costrette ad attraversare, districandosi tra contratti part time e disparità salariale. E questo nonostante il livello d’istruzione femminile nettamente più alto.
Disparità retributiva
Il gap retributivo di genere, infatti, specialmente per il report 2024, rimane l’aspetto critico per eccellenza: sono oltre venti i punti percentuali che distanziano gli stipendi percepiti dalle donne dagli stipendi degli uomini.
La penalizzazione delle prime, difatti, si descrive particolarmente fra i principali settori economici: la differenza è pari al 20% nelle attività manifatturiere, 23,7% nel commercio, 16,3% nei servizi di alloggio e ristorazione, 32,1% nelle attività finanziarie, assicurative e servizi alle imprese.
L’unica ”vittoria” delle donne, statisticamente parlando, è nell’ambito dei lavori di cura e nella richiesta di congedi parentali.
Se la forte presenza femminile nei primi rende spontaneo interrogarsi su quale sia l’incidenza dello stereotipo della donna, quale ”madre e moglie”, i congedi parentali, come riportato dall’Inps, e richiesti da ben 14,4 milioni di lavoratrici rispetto ai 2,1 milioni di uomini, confermano lo squilibrio tra i generi nell’ambito familiare.
Ad impattare sul gender gap nazionale, come ennesimo marcatore di distanza con l’Europa, si aggiungono anche le disparità territoriali che nel trimestre 2024 descrivono nel Nord Italia la percentuale di donne occupate al 62,8%, che scende al 59,9% nel Centro e diviene poco più di un terzo nel Mezzogiorno (37,2%).
Non risulta difficile, a questo punto, immaginarsi cosa possa voler dire il mercato del lavoro per una donna del sud Italia.
Imprenditoria femminile
Non è migliore la statistica nell’ambito dell’imprenditoria. Infatti, come descritto dall’Inps nei dati più recenti, solo il 28,8% delle imprese è a conduzione femminile.
Le oltre un milione e 300 mila imprese femminili attive nel 2022 non bastano ad uscire dal meccanismo di sotto-rappresentazione femminile nei settori imprenditoriali.
Quasi 7 imprese su 10 sono di proprietà maschile, mentre per le imprese paritarie – la cui proprietà è equamente divisa ambo i sessi–, la percentuale è dell’1,6%.
Le imprese femminili, tra le altre cose, si caratterizzano in minoranza anche per il numero medio di dipendenti: il 14,1% delle imprese femminili tra i due e i nove dipendenti, contro il 16,8% delle imprese maschili.
Divario anche per le imprese con più di dieci dipendenti che posizionano al 2,8% le imprese femminili, rispetto al 5% delle imprese maschili.
I vertici irraggiungibili
Nonostante la competenza delle donne si stia espandendo a svariati ambiti, così come, in alcuni casi, la loro presenza, i vertici del potere, nonché i luoghi decisionali, sembrano essere ancora off-limit.
Le disuguaglianze occupazionali, oltre a rallentare la crescita professionale delle lavoratrici, le distanziano sempre di più dalle posizioni di vertice, continuando a riproporre la medesima visione maschile della politica e delle leggi.
Dal Rapporto Cnel-Istat, le donne coprono ancora solo una quota minoritaria dei seggi nel parlamento nazionale.
Nonostante la scalata di Giorgia Meloni – che, dati alla mano, rappresenta un’eccezione e non la regola -, in Italia, nel 2023, le parlamentari donne sono il 33,6%, questa volta in linea con la media dei paesi UE del 33,2%, ma lontano dalla Spagna (43,4%) e dai Paesi nordici, come Islanda e Svezia, che sono in testa alla classifica europea e vicini a una condizione di perfetto equilibrio con valori tra il 46 e il 47%.
– Leggi anche: Ottant’anni di voto alle donne: un diritto spesso dimenticato
Una mole di dati infinita che non fa altro che confermare il gender gap abituale, nonostante piccolissimi miglioramenti. Una cosa è certa: per l’Italia la parità di genere è ancora una meta lontana e per le donne la battaglia è ancora lunga.
Sitografia
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