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Mimesis, 2022
All Rights Reserved. Authorised translation from the English language edition published by Routledge, a member of the Taylor & Francis Group. La presente traduzione italiana è basata su quella di Rodolfo Rini, Laterza, Roma-Bari 1987. L’editore ha effettuato, senza successo, tutte le ricerche necessarie al fine di identificare gli aventi titolo rispetto ai diritti di traduzione. Pertanto resta disponibile ad assolvere le proprie obbligazioni.
Il presente saggio si propone di discutere se e a quali condizioni la cosiddetta “desistenza terapeutica” sia giustificabile dal punto di vista etico. Per svolgere questo compito si impegna in una preliminare chiarificazione della nozione stessa di “desistenza terapeutica”, mostrandone alcuni aspetti di problematicità e suggerendo di impostare la riflessione sulle scelte di fine vita non tanto a partire da ciò che si intende evitare, ma dagli obiettivi del progetto di cura. Le scelte di desistenza, e più in generale i percorsi di accompagnamento di pazienti alla fine della vita, vengono poi analizzati alla luce dei principi fondamentali della bioetica clinica (beneficenza, autonomia e giustizia), intesi come specificazioni delle esigenze del rispetto dovuto alla dignità di ogni persona. Tale analisi mostra a quali condizioni la desistenza, se unita alla contemporanea attivazione di modalità alternative di presa in carico delle persone malate, sia non solo eticamente giustificata, ma doverosa. Il percorso porta a delineare un approccio complessivo alle scelte di fine vita che può essere definito come “etica o strategia dell’accompagnamento”. Tale approccio si distingue nettamente sia da “accanimento terapeutico” e “abbandono terapeutico”, sia da prospettive di tipo eutanasico.
Rivista Internazionale Di Filosofia E Psicologia, 2013
Ricevuto il 1 febbraio 2013; accettato il 5 aprile 2013 █ Riassunto In questo lavoro intendo mostrare che il cosiddetto programma intenzionalista, secondo il quale gli aspetti qualitativi del mentale vanno ricondotti alle sue caratteristiche intenzionali, non funziona. Infatti, contrariamente a quanto pensava Brentano, la proprietà che costituisce la parte principale di tali caratteristiche intenzionali, l’intenzionalità, non è il marchio del mentale, né in senso propriamente brentaniano, per cui l’intenzionalità è la condizione necessaria e sufficiente del mentale, né in un senso annacquato recentemente difeso da Tim Crane, per cui l’intenzionalità è solo la condizione necessaria del mentale. Questo però non fa sì che essere mentale sia una mera categoria eterogenea. Può esserci infatti qualcos’altro che funge da marchio del mentale, cioè la coscienza, nel senso fenomenologico della proprietà di essere esperito. PAROLE CHIAVE: Intenzionalità; Coscienza; Intenzionalismo; Franz Brentano; Tim Crane █ Abstract Consciousness without Intentionality. On the Controversy About the Mark of the Mental -The aim of this paper is to show that the so-called intentionalist programme, according to which the qualitative aspects of the mental have to be brought back to its intentional features, is doomed to fail. For, pace Brentano, the property that constitutes the main part of such intentional features, i.e., intentionality, is not the mark of the mental, neither in the proper Brentanian sense, according to which intentionality is the both necessary and sufficient condition of the mental, nor in its “watered down” counterpart recently defended by Tim Crane, according to which intentionality is just the necessary condition of the mental. However, this does not mean that being mental is a merely heterogeneous category. For there may be another mark of the mental, i.e., consciousness, in the phenomenological sense of the property of being experienced.
Annali della Facoltà di Scienze della Formazione Università degli Studi di Catania, 2021
* r. loredana Cardullo ha scritto il paragrafo 3.1; tutto il resto del lavoro si deve a myriam lazzaro. 1 r.l. Cardullo, La “cura di sé” come prima tappa del progresso spirituale dell’uomo nei commentari neoplatonici all’Alcibiade primo, in «bollettino della società filosofica italiana», 231 (2020), p. 10. Questa differenziazione tra cura del corpo e cura dell’anima è stata riaffermata, in epoca contemporanea, in ambito bioetico. uno dei principi su cui si fonda questa forma di etica applicata è proprio la distinzione tra il curare, espresso dal verbo to cure-che indica un intervento medico rivolto al paziente al fine di rimuovere i sintomi che uno stato di malattia procura-e il prendersi cura, to care,-che denota, invece, un atto di cura rivolto alla persona nella sua interezza, che supera e va oltre la cura medica, interessando tutte le dimensioni coinvolte nel benessere umano. 2 Ibidem. 3 Ibidem.
Svolgimento del processo G.N., dipendente della IMEF s.r.l. dal 1.3.1999, era stato licenziato in data 7 marzo 2003 per essere stato sorpreso nel magazzino dove si svolgevano i lavori appaltati alla IMEF s.r.l. dalla Enichem s.p.a. (nella specie rifacimento della copertura con bitume della volta del magazzino) mentre si trovava su un ponteggio all’altezza di 15 metri senza aver agganciato al cavetto predisposto la cintura di sicurezza, pur indossata. Impugnato il licenziamento il Tribunale di Siracusa, in esito all’istruttoria, ne accertava la legittimità respingendo le domande proposte nei confronti della IMEF s.r.l.. La Corte d’appello di Catania, invece, accogliendo l’appello proposto dal lavoratore riformava la sentenza e dichiarava l’illegittimità del licenziamento ordinando la sua reintegrazione nel posto di lavoro e condannando la società al risarcimento del danno ed alla ricostituzione della posizione assicurativa e contributiva, ai sensi della L. n. 300 del 1970, art. 18. Riteneva la Corte territoriale che il comportamento contestato al dipendente, date le misure apprestate dalla società, non poteva essere ritenuto così grave da determinare la risoluzione del rapporto di lavoro in tronco. Osservava, infatti, il giudice d’appello che, dall’istruttoria svolta, era emerso che la IMEF aveva dotato i suoi dipendenti di cinture di sicurezza inferiori al metro che non consentivano ai lavoratori di muoversi in quota tra un punto di aggancio ed un altro e richiedevano al lavorato-Il rifiuto di adempimento della prestazione da parte del lavoratore, può ritenersi conforme a buona fede -in applicazione del principio “inademplenti non est adimplendum” ex art. 1460, secondo comma, cod. civ. -e trovare giustificazione nella mancata predisposizione di misure idonee a tutelare l’integrità fisica del prestatore di lavoro, escludendo la legittimità del licenziamento comminato a suo carico, solo quando questi abbia preliminarmente provveduto ad informare la controparte circa le misure necessarie da adottare ovvero ad evidenziare l’inidoneità di quelle in concreto adottate.
2020
[To Quote: Astone, G. (2020), «Sull’accelerazione sociale dell’oblio. Esperienze senza tempo per un’etica dell’immanenza», Lo Sguardo – Rivista di Filosofia, vol. 29, n. II, pp. 111-139]. Abstract: In this paper the assumption of human memory’s ‘rates of obsolescence’ will be discussed, taking into account the perspectives of Paul Virilio, Hartmut Rosa and other thinkers of the Social Acceleration Theory. Before this, obsolescence as a concept will be introduced by a reformulation of the Walter Benjamin’s dyad of human experience between Erlebnis and Erfahrung. Through the article, a critical attitude will be directed against a projectable model of human temporality in the contemporary age, represented by the notion of ‘selfmanagement’. In the end, an alternative experience of time, provisionally defined as ‘microucronic experience’, will point out examples of an ethics of immanence expressed by different social agents. Keywords: Social Acceleration Theory, Event, Immanence, Erlebnis, Erfahrung, Micro-utopias, Micro-uchronias, Social Temporalities
2017
Comitato scientifico A D B, G G, F P, F S, A S, M V © Centro Nazionale Studi Manzoniani via Morone, . Milano Autorizzazione del Tribunale di Milano n. del febbraio - STUDI G C L’ARGOMENTAZIONE MORALE NELLA «STORIA DELLA COLONNA INFAME»
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