Da Parigi a Polignano la sfida dello chef stellato pugliese Martino Ruggeri

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A farlo tornare a casa, benedetto dal sole pugliese, «la validità del progetto e la voglia di creare luoghi che siano aperti a tutti». Far stare bene i clienti, insomma, sarà la priorità assoluta, come accade nella sua “Maison” di Parigi. Martino Ruggieri, due stelle Michelin nella capitale francese in meno di due anni, ha avviato l’avventura pugliese con l’apertura del primo dei quattro ristoranti del gruppo “Grotta Palazzese” che fa capo all’imprenditore Modesto Scagliusi. Il calendario è stabilito: “Casanova” ha aperto i battenti sabato scorso, domani sarà la volta della grotta nota in tutto il mondo, il 10 e il 15 maggio, infine, apriranno rispettivamente la “Maison” e il beach club. Mentre la base operativa resta a Parigi – “il prossimo autunno la “Maison Ruggieri” riaprirà con una veste tutta nuova nel centro della capitale francese” – il vincitore del “Bocuse d’Or 2019” ha finalmente fatto il grande passo, quello da tanti atteso per anni: tornare in Puglia, a Polignano a Mare nello specifico, investendo qui energie e visioni. Una sfida, quella sposata dallo chef originario di Martina Franca (Taranto), avvincente e impegnativa, in una terra «che ha bisogno di più fine dining possibile, con quattro ristoranti diversi che si scambieranno idee e persone».

Martino, come mai hai deciso di tornare a casa?

«Il progetto è veramente serio. Mi sono sentito al sicuro per la l’affidabilità. Se una persona, che ha costruito il suo luogo per vent’anni, ti dice “ti consegno le chiavi di questo posto, fallo crescere e portalo in giro per il mondo”, c’è poco da starci a pensare. Tre strutture completamente diverse in cui potermi esprimere in modo differente e poi la Maison. Io non faccio consulenze, non ne ho mai fatte e non mi interessano. Ho sposato questo progetto perché è in linea con il mio stile di vita e il legame che ho con Parigi».

Quando in Puglia si parla di cucina “pugliese” si alza la bandiera della tradizione. Calarti in questo contesto territoriale, ti fa pensare a una qualche possibilità di dialogo tra i due registri gastronomici: gourmet e popolare?

«È la domanda più sensata che mi hanno rivolto da quando sono arrivato. Quando penso alla cucina pugliese, spero che questa cosa della tradizione vada avanti. Però, in tutta sincerità, io non vedo che va avanti. Io non devo rivisitare, in quanto chef, quello che fanno mia mamma e mia nonna. Il problema della Puglia, così come di altre regioni, sta tutto nella rivisitazione. Se vado a cena o a pranzo in una trattoria pugliese, perché ho voglia di mangiare i piatti della tradizione, ad esempio le orecchiette o la carne al fornello, queste pietanze dovrebbero essere preparate come tradizione vuole. Il problema sorge quando in cucina c’è qualcuno che vuole fare il creativo con la tradizione e questa cosa non va assolutamente bene. Se tradizione e creatività si mischiano, non va mai bene».

Il concetto è chiaro. Ci fai qualche esempio?

«Quando vedo queste cose a tavola, giuro, posso impazzire. La gente a volte pensa che io non mangio o che sono troppo critico. Non è assolutamente così; quando vado al ristorante, invece, spengo il cervello, faccio tesoro delle persone che sono insieme a me e mi godo il momento. Un esempio? Uno dei miei dessert preferiti (io sono ghiotto di dolci) è il tiramisù. Mi chiedo: per quale motivo si deve destrutturare questo dolce, separando i savoiardi, aggiungendo il cocco e così via? Queste ricette sono così da sempre; chi sei tu per cambiarle? Se un turista sogna una pasta al pomodoro all’italiana, ecco, deve poter mangiare quella. Le verve creative lasciamole ad altri luoghi. Io, per dire, non sono ancora così maturo per replicare i piatti che prepara mia madre, con lo stesso amore che ci mette lei per chi cucina, e quindi non mi cimento a farli».

Come vedi il futuro del fine dining in questa terra?

«Fondamentalmente non lo vedo. Nel senso che non sono stato ancora a mangiare da nessun mio collega, o comunque ci sono stato tanti anni fa. Non voglio giudicare o comprendere, magari domani avrò un’opinione personale più precisa su determinate realtà. In generale, penso che il fine dining in Puglia sia di essenziale importanza, anche più di prima. Anzi, più ce ne sono e meglio è, se vogliamo portare questa regione a un livello maggiore. Dobbiamo lavorare per permettere al turista che viene a trovarci di restare più di due, tre giorni, offrendogli delle alternative gastronomiche valide. Il mio modo di vedere il fine dining è il ritorno del cliente. Succede a Parigi, dove il 94 per cento della mia clientela torna con una media di una volta al mese. Ed è quello che desidero per questo progetto di polignanese dove, ribadisco, non svolgo una consulenza, ma lavorerò per creare luoghi che siano aperti a tutti».



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