Colloquio con la quinta presidente del paese, che non riconosce il voto di ottobre e cerca di coordinare le forze di opposizione al governo di Sogno Georgiano: «Sono attivamente coinvolta nelle manifestazioni perché la società considera che io sia ancora la legittima presidente»
La quinta presidente della Georgia è tranquilla e disponibile. Per rilasciare interviste ha affittato un ufficio dietro un hotel di Tbilisi. Salomé Zourabichvili è in prima linea contro il governo di Sogno georgiano. Da mesi cerca di attirare l’attenzione internazionale sulla sua persona e sulle centinaia di migliaia di manifestanti che in questi 100 giorni sono scesi in piazza per protestare contro l’autoritarismo del partito di Bidzina Ivanishvili e contro il premier Irakli Kobakhidze.
Prima di incontrarla, sono già i membri del suo staff, accoglienti e particolarmente premurosi, a spiegarci le posizioni principali della loro capa: la Russia sta occupando il 20 per cento della Georgia, la popolazione del paese è sempre stata europea e così via. Ancor di più, per far capire meglio con chi stiamo per parlare ci raccontano come Zourabichvili sia la nipote di Niko Nikoladze, storica figura dell’indipendentismo georgiano.
Le proteste e la repressione
A ogni modo Zourabichvili non pensa ai suoi avi ma al presente. Al massimo al recente passato. Non ha riconosciuto l’esito delle elezioni di ottobre e di conseguenza non ritiene legittimo né il parlamento nato da quel voto, né tantomeno la figura di Mikheil Kavelashvili, indicato dall’assemblea come nuovo presidente. «Sono attivamente coinvolta nelle manifestazioni perché la società considera che io sia ancora la legittima presidente», ci spiega.
Ieri, nella centesima notte di protesta, a Tbilisi sono sfilate migliaia di persone. «Ma le proteste non sono organizzate da me, né da partiti politici. Sono molto spontanee. Riflettono la società. E non c’è un unico leader, il che le rende molto più resistenti alle repressioni», continua a dirci Zourabichvili. Le forze di sicurezza, o presunte tali, infatti, hanno usato il pugno duro, aggredendo in più di un’occasione i manifestanti, ma anche i giornalisti ed esponenti politici.
Sono centinaia gli arrestati, spesso malmenati e poi detenuti per qualche giorno. Come Zviad, 34 anni, un lavoro in una multinazionale, che ci racconta il suo arresto a gennaio. Non aveva fatto nulla, era solo in strada a protestare. È rimasto in carcere per 10 giorni, dove per fortuna non ha subito violenze. Ma altri ragazzi non hanno avuto lo stesso trattamento. Molti di loro sono giovani, magari ben istruiti.
Per Zourabichvili «la speranza del partito al governo è di spingerli a lasciare il paese, loro che ne sono la parte più vivace. Sono critici e rompiscatole (“pain in the ass”), il governo invece è contento di accogliere giovani russi, felici di vivere in un’autocrazia un po’ meno autocratica della Russia». Il malcontento verso fasce di emigrati russi è ben presente in Georgia.
Alla repressione nelle strade si accompagna una stretta liberticida delle autorità. «La legislazione è sempre più repressiva, limita la libertà di manifestare e di esprimersi. Dipendenti pubblici vengono licenziati solo per dei post su Facebook», denuncia ancora la politica francese naturalizzata georgiana.
Le proteste quindi vanno avanti. L’obiettivo, nella testa di Zourabichvili, è tornare al voto: «Stiamo entrando nel quinto mese di crisi. Il governo non sta governando. Sta solo reprimendo». «L’unica via pacifica per uscirne sono nuove elezioni. Più aspettiamo, più avanza la crisi economica. Il turismo sta diminuendo, proprio ora che stiamo entrando nella stagione turistica», ci racconta. Il suo sguardo fisso è emblematico della sua risolutezza e riflette le spille sulla sua giacca rosa.
La stoccata all’Ue
Certo, non si può andare avanti solo con le manifestazioni. Le opposizioni e Zourabichvili vorrebbero un maggiore impegno dei paesi europei. «Penso che potrebbero fare di più, anche se siamo stati molto supportati», ammette. Vorrebbe che la Georgia fosse più sotto i riflettori, perché oggetto di una guerra ibrida russa. «Ciò che accade qui dovrebbe interessare tutti per il loro bene», ci spiega riferendosi all’Europa.
Poi l’affondo, simile a una presa di coscienza: «Questa Europa, con 500 milioni di abitanti, dovrebbe essere in grado politicamente di portare la Georgia almeno al tavolo per discutere di nuove elezioni. Se non può ottenere ciò, allora è molto difficile parlare di una potente politica estera dell’Ue».
Lo spettro Ucraina
Non c’è solo l’Europa. A dicembre, alla riapertura della cattedrale di Notre Dame a Parigi, è riuscita a incontrare brevemente Donald Trump. Non ha avuto però rassicurazioni. «Era troppo presto. Il mio obiettivo era dirgli “non dimenticate la Georgia perché potrebbe diventare un problema”». Zourabichvili è consapevole che il dossier ucraino è la priorità, ma spera che la trattativa tra il presidente Usa e Vladimir Putin vada oltre: «Penso che qualsiasi trattativa seria dovrebbe coinvolgere tutti i territori occupati dalla Russia. Non puoi lasciare che Mosca continui a occupare territori in Georgia se vuoi avere una pace duratura». «Siamo l’altra faccia della medaglia della guerra in Ucraina» conclude.
Nei prossimi mesi sono previste elezioni locali. Le opposizioni potrebbero contendere qualche città a Sogno georgiano. Specie quelle più grandi, come Tbilisi. «Cercherò di coordinare le forze di opposizione», ma «deve esserci una qualche negoziazione, con un mediatore terzo, per stabilire condizioni minime per elezioni libere» e «devono tenersi in contemporanea anche nuove elezioni parlamentari», spiega Zourabichvili. Perché l’obiettivo, in fondo, è sempre quello.
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