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L’8 marzo è la giornata internazionale delle donne, un’occasione per ricordare le lotte portate avanti per la rivendicazione dei loro diritti. Una memoria storica andata perduta negli ultimi decenni poiché nonostante la legislazione per la parità di genere abbia fatto passi da gigante dai primi decenni del 1900, le disuguaglianze tra uomini e donne sono ancora molto evidenti.
Da inizio 2025 sono già 5 i femminicidi registrati in Italia che macchiano in maniera indelebile anche l’anniversario dell’8 marzo di quest’anno. Abbiamo fatto il punto con le presidenti dei centri antiviolenza, Linea Rosa, Demetra ed Sos donna, centri che, anche nel 2024 hanno purtroppo registrato un aumento del numero di donne che hanno chiesto loro aiuto.
BAGNARA (LINEA ROSA): «VIOLENZA, FENOMENO SOMMERSO»
Nel 2024 Linea Rosa ha accolto 448 donne portando a oltre 9200 le donne che si sono rivolte all’associazione dall’apertura. «Numeri importanti che indicano un’emersione del fenomeno e non un aumento della violenza – ha sottolineato Alessandra Bagnara, presidente dell’associazione. La violenza contro le donne è un fenomeno diffuso, oscuro, antico, trasversale tra i diversi status sociali, spesso tollerato e rappresenta una violazione dei diritti della persona. Un fenomeno che in Italia registra un sommerso fino al 90%, ma negli ultimi cinque anni c’è stato un miglioramento rispetto alla sua incidenza e una maggiore consapevolezza da parte delle donne, soprattutto giovani. Si tratta di un problema sociale complesso con manifestazioni multiple; alcune molto visibili come la violenza fisica, e altre difficilmente rilevabili come il linguaggio e le battute sessiste, gli stereotipi o i micromaschilismi. Violenza sottile nascosta nella nostra quotidianità che conformano la cultura patriarcale che rende possibile tutte le altre forme di violenza. Purtroppo, poi, aumentano i casi di violenza assistita dai figli. In una società dove la donna fatica a sedere in posti apicali, ha poca rappresentanza in politica e continua a dover scegliere tra famiglia e lavoro le istituzioni devono ancora lavorare molto». Se si interviene con norme specifiche e separate per le donne (per le madri, per chi ha esigenze di cura), si creano di fatto dei ghetti che penalizzano le donne: un esempio per tutti, il part time “solo” per le madri, impedisce qualsiasi carriera. Sarebbero più produttive norme utilizzabili da tutti, uomini e donne, in circostanze diverse e diverse fasi della vita (cura, studio, anzianità, malattia, disabilità) per moltiplicare le opportunità per tutti, aumentare la condivisione della cura tra uomini e donne anche se per un po’ saranno ancora le donne le principali beneficiarie. Se le aziende adottassero in modo diffuso le pratiche di conciliazione penso si avrebbero risultati sorprendenti».
Linea Rosa accoglie le donne mettendole al centro di un percorso studiato per rafforzare la loro autodeterminazione e spronarle e seguire le proprie scelte. «Il nostro, come quello di molti centri antiviolenza italiani, è un approccio di genere caratterizzato dalla libertà di scelta e di autodeterminazione delle donne che vi si rivolgono. Tra i diversi tipi di sostegno quello legale e alla genitorialità, orientamento professionale e abitativo, consulenze psicologiche, nonché la mediazione culturale e linguistica. Il nostro lavoro necessità di continuo confronto fra le operatrici, formazione e approfondimento sul tema della violenza di genere e solo attraverso un lavoro di rete che coinvolge tutti i soggetti che operano sul territorio (enti, istituzioni, privato sociale, cittadini e cittadine) è possibile accompagnare le donne nel percorso di uscita dalla violenza».
SOMMA CAIATI (DEMETRA): «C’E’ MAGGIORE CONSAPEVOLEZZA»
L’8 marzo è il giorno in cui, più di altri, si punta il dito contro il concetto distorto di rapporto affettivo che è possesso e dominio, ma la strada non è né breve né semplice. «Purtroppo per questo cambiamento servirà molto tempo che pare procrastinare il raggiungimento degli obiettivi che 30 anni fa ci sembravano a portata di mano- ha commentato Nadia Somma Caiati, responsabile del centro lughese Demetra donne in aiuto. Il momento storico è complesso: ci sono Paesi che negano alle donne il diritto di curarsi, come in Afganistan o dove si può morire per un velo che lascia scoperti i capelli, come accade in Iran. Il cambiamento ci sarà se con le giovani generazioni, verranno decostruiti stereotipi e pregiudizi, e si rifletterà sulla sessualità e sul sogno d’amore. Purtroppo la subalternità delle donne si regge anche sulla loro povertà, il precariato, la disoccupazione».
E parlando di educazione sentimentale e di come l’inasprimento delle pene non sia sufficiente per arrestare la violenza, Somma Caiati spiega come «nelle giovani generazioni si sta prendendo coscienza delle questioni di genere anche legate alla costruzione, molti ragazzi cominciano a rifiutare ruoli imposti anche se, sulla base di sondaggi realizzati nelle scuole, gli stereotipi resistono ancora. Nelle scuole i ragazzi ci chiedono di parlare della violenza delle donne contro gli uomini, eppure gli uomini sono vittime di violenza commesse, nella stragrande maggioranza dei casi, da altri uomini. Vanno stimolate riflessioni sulle ricadute negative che il sessismo e ciò che resta del patriarcato, hanno sugli stessi uomini. Ma non è facile capire come raggiungere e coinvolgere le nuove generazioni di uomini».
Anche i «numeri» di Demetra sono in aumento: lo scorso anno sono state accolte 127 donne, 65 italiane e 58 straniere (di 4 non è stata rilevata la cittadinanza) con un aumento del 20% rispetto al 2023 e alla media degli anni precedenti. Sono state ospitate 14 donne e 14 minori.
«Dopo il femminicidio di Giulia Cecchettin abbiamo assistito ad un aumento delle richieste di aiuto da parte delle donne in tutti i centri antiviolenza dell’Italia. Segno di cambiamento: rispetto al passato le donne che riescono a riconoscere la violenza in tempi più brevi e sanno anche dove e a chi chiedere aiuto. Per questo è fondamentale sostenere e finanziare i luoghi che accolgono donne con o senza figli che vivono situazioni di maltrattamento».
DAL PANE (SOS DONNA): «TANTE NUOVE FRAGILITA’»
«Per i centri antiviolenza, l’8 marzo è tutti i giorni perché lottiamo quotidianamente contro le disuguaglianze e la violenza del sistema patriarcale, al fianco delle donne che accogliamo, in un’ottica di sorellanza e relazione tra donne». Con queste parole Silvia Dal Pane, presidente del centro faentino Sos donna spiega come l’8 marzo non sia una festa. «Il contrasto alla violenza di genere e al fenomeno del femminicidio sono una responsabilità collettiva, che non può ricadere sui soli centri antiviolenza ma deve riguardare tutta la società. Credo che il femminicidio possa essere contrastato con la prevenzione e sensibilizzazione sul fenomeno, la formazione dei soggetti parte della rete antiviolenza a tutti i livelli e una maggiore tutela delle donne che subiscono violenza e dei/delle loro figli/e. In quest’ottica, da vent’anni Sos Donna promuove laboratori di prevenzione nelle scuole di ogni ordine e grado del territorio dell’Urf e al termine di questo anno scolastico prevediamo di incontrare più di 2000 studenti/esse».
Da Sos donna l’impegno delle operatrici e delle volontarie si è ampliato perchè «alle problematiche relative alle situazioni di violenza subita, si aggiungono altre fragilità, fra cui emergenze abitative e mancanza di possibilità lavorative.
Rispetto al 2023 si è verificato un aumento circa dell’20% dei contatti di donne presso il Centro antiviolenza Sos Donna – Servizio Fe.n.ice di Faenza. La complessità dei nuovi casi ha confermato la necessità di lavorare in rete con le Forze dell’Ordine, il Servizio sociale e gli avvocati. Le nostre operatrici cercano di indirizzare le donne verso i servizi più adatti per tentare di dare una risposta alle questioni più urgenti, mantenendo costante il percorso di ascolto e accoglienza con ciascuna di loro».
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