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di Orio Giorgio Stirpe
Ieri, mentre ascoltava il principale notiziario serale norvegese, che ovviamente essendo in ostrogoto arcaico io non riesco a seguire se non in minima parte, mia moglie mi ha guardato con un sorriso e mi ha detto che il commentatore specialista di NRK (la RAI norvegese) stava dicendo esattamente quello che le avevo detto io mezz’ora prima sulle possibilità ucraine di continuare a combattere anche senza il sostegno degli aiuti americani. Ammetto di aver tirato un sospiro di sollievo: a volte nell’espormi al pessimismo cosmico dei media italiani mi vengono i dubbi. Poi in tarda serata mi addentro nell’informazione estera, e mi rinfranco. (Poi torno a chiedermi perché gli italiani non seguono mai i media internazionali, e mi ricordo del fatto che in Italia l’insegnamento dell’inglese è stato volutamente sabotato per almeno trent’anni di seguito… comincio a chiedermi se sia stato un fatto voluto.
Ciò premesso, come sfogo, torniamo a chiederci cosa vuole Trump.
Il discorso sullo Stato dell’Unione è stato poco illuminante: nessuna vera novità, a parte l’autocelebrazione e la conferma della funesta polarizzazione politica americana. Nel frattempo, il Canada ha risposto ai dazi e Trump ha annunciato di essere pronto a rispondere ala risposta canadese: una guerra commerciale vera e propria fra amici di antica data. Zelensky ha confermato la sua disponibilità a firmare il famoso accordo sulle terre rare – che aveva già fatto emendare ed era stato pronto a firmare il 28 febbraio – purché gli aiuti militari continuino. E naturalmente le istituzioni europee hanno annunciato il primo passo (per ora puramente finanziario, attendiamo quelli politici di cui questo era premessa indispensabile) per lo stabilimento di una difesa comune europea.
Alla luce di questi sviluppi, gli eventi del 28 febbraio assumono una prospettiva più chiara? Francamente sono ancora in dubbio, e mi viene da sorridere a tutti quei commentatori che proclamano le loro opinioni con una certezza disarmante: come se tutto fosse “ovvio”.
Secondo me il dubbio principale è se quanto accaduto nello Studio Ovale sia stato accuratamente pianificato per come si è sviluppato, oppure se la regia sia sfuggita di mano. Insomma: complotto o incompetenza?
La teoria del complotto è quella dell’”agguato”. Secondo tale teoria, occorreva colpire personalmente Zelensky, in quanto ostacolo all’accordo a tutti i costi che Trump vuole con Putin, e il contratto in sé era importante fino a un certo punto, o almeno poteva essere posposto. Ma in questo caso sarebbe stato un fallimento: Zelensky ne è uscito fortemente rafforzato in Patria e in Europa, e perfino presso metà opinione pubblica americana (l’altra metà lo osteggiava già da prima e ora lo osteggia ancora di più): la sua “rimozione” è stata esclusa perfino dall’opposizione politica interna ucraina, il cui capo ha confermato di volere le elezioni “60 giorni dopo la conclusione del conflitto”.
La teoria dell’incompetenza invece ci parla di un incontro organizzato male da entrambe le delegazioni (ovviamente le responsabilità maggiori ricadono sull’organizzatore ospitante), di un’esagerata provocazione di Vance e di un’eccessiva permalosità di Zelensky, seguite dalla prevedibile esplosione di Trump che richiede una costante adulazione per poter procedere mantenendo il buon umore. Ma in questo caso Trump avrebbe rinunciato in nome della sua vanità all’intero suo progetto di pacificatore portato avanti con tanta convinzione in campagna elettorale, il che appare abbastanza improbabile.
Comunque la rivoltiamo, la cosa rimane poco chiara, e probabilmente entrambe le teorie hanno un loro fondamento di verità. Sicuramente l’intenzione di Trump era di intimidire il suo interlocutore in una sottomissione pubblica davanti ai media, e molto probabilmente la cosa è sfuggita di mano per via dell’esagerazione di Vance. Altrettanto sicuramente nessuna delle due parti è rimasta soddisfatta di come sono andate le cose, e le rispettive diplomazie vere hanno lavorato febbrilmente nell’ombra a ricucire almeno in parte le cose per arrivare comunque al risultato voluto da entrambe: la firma dell’accordo da parte americana e il mantenimento/ripresa degli aiuti militari da parte ucraina.
Rimane il problema di cosa voglia veramente Trump.
Facendo il punto sulla situazione, è ormai evidente che lui vuole sostanzialmente aprire una trattativa a qualsiasi costo, ma non ha nessuna idea di come portarla a conclusione. Ha idea di come comportarsi se riesce a farla partire: con prepotenza, probabilmente con entrambe le parti, ma chiaramente soprattutto con la parte che percepisce come la meno forte. Il punto è che l’esito finale gli interessa poco: soprattutto gli preme di apparire come la figura dominante nella trattativa. Una questione di marketing.
Allo scopo di imporre la propria figura e di soddisfare il proprio elettorato (che lo sostiene con piena convinzione), è disposto a sacrificare rapporti consolidati da molti decenni, giocando su uno scenario del quale è assolutamente convinto. Uno scenario che vede lui padrone dell’America, e l’America padrona del mondo così come lo era negli anni ’50. In questo scenario, ripulito dell’ingombro rappresentato dai rapporti diplomatici e illuminato solo da quelli finanziari, crede ciecamente di poter intimidire politicamente ed economicamente tutti gli altri attori mondiali, ciascuno nella misura corrispondente alla posizione che gli attribuisce sulla “scala alimentare” del pianeta in base al suo scenario.
Il problema sorge nel momento in cui lo scenario di Trump viene a corrispondere largamente con quello di Putin. In entrambi gli scenari, infatti, l’Ucraina è molto più debole sul campo rispetto alla Russia e solo l’aiuto americano l’ha aiutata a sopravvivere finora, mentre l’Europa è del tutto impotente.
Il fatto è che lo scenario è sbagliato. Sul campo, Ucraina e Russia sono in stallo; la Russia non sta affatto vincendo, ed è solo la sua propaganda che sta cercando di convincerci del contrario; e se l’Ucraina è riuscita a imporre lo stallo a quello che dovrebbe essere “il secondo esercito del mondo” è anche (forse soprattutto) grazie al sostegno europeo. È assolutamente ragionevole che Putin cerchi di nascondere questa realtà, ma lo è assai meno che Trump non la voglia vedere, e che per non vederla oltre a mentire a sé stesso (millantando aiuti americani in misura mai fornita) arrivi a licenziare in tronco le gerarchie militari che sostengono (come noi in Europa) la realtà di una Russia assolutamente in crisi.
Un’Amministrazione americana prigioniera di uno scenario virtuale fasullo ma supportato dal Regime russo è estremamente preoccupante. Ancora più preoccupante è il fatto che l’elettorato che l’ha mandata al potere creda fermamente a sua volta in tale scenario. La conseguenza di questo fatto è che l’America di fatto ha così cessato di essere un alleato completamente affidabile.
Sotto questa Amministrazione, l’America non è più un “amico ed alleato”, come ci si è sempre definiti in ambito occidentale dagli anni ’50 ad oggi, nella consapevolezza che fra tanti “amici ed alleati” l’America era quello di riferimento; l’America diventa un socio in affari, e per di più un socio poco affidabile e del tutto privo di scrupoli. Per questa Amministrazione, l’Alleanza diventa un ambito in cui si fanno affari; fra questi affari rientra la sicurezza, e l’America è disposta a “vendere” ad un prezzo ben preciso la sua protezione, rimarcando comunque che l’offerta è limitata perché ha altri affari del genere dall’altra parte del pianeta. Nell’ottica di Trump, i suoi “clienti” dovrebbero contendersi al rialzo i servizi di sicurezza che lui offre. Il Pentagono si trasforma in una sorta di Blackwater al suo personale servizio. Se poi i clienti sono meno prosperi di Europa o Giappone, l’offerta si trasforma in ricatto, come con l’Ucraina… Con la richiesta aggiuntiva in questi casi del dovuto “rispetto”, proprio come fa il mafioso quando chiede il “pizzo”.
Ovviamente in questa ottica fa comodo che esista una minaccia immanente che renda l’offerta di sicurezza appetibile: di qui la necessità di mantenere il Regime russo in grado di rappresentare una minaccia da una parte del mondo, mentre la Cina la rappresenta dall’altra. Perché combattere i Regimi autoritari, se questi diventano utili agli affari?
Con buona pace per i grandi principi: la Torcia della Statua della Libertà è stata gettata via.
Qualcuno dovrà raccoglierla.
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