Aumentano le denunce e gli accessi nei centri pugliesi, ma quello della violenza di genere resta una piaga ancora difficile da debellare. Come ha spiegato il prefetto di Lecce, Natalino Domenico Manno, ricordando le misure tutorie e dispositivi di vigilanza attivati a Lecce per le vittime: «Peggio di Milano, mai visto una cosa del genere». Anche nel territorio barese, come ha spiegato il questore Massimo Gambino: «Un intervento delle forze dell’ordine su tre in media riguarda casi di violenza di genere e domestica, reati che non sono in calo ma aumentano le denunce».
Secondo gli ultimi dati disponibili del dipartimento Welfare della Regione, relativi al 2023, si è registrato in Puglia un incremento notevole dei nuovi accessi ai centri antiviolenza, 3.000, il numero più alto rilevato dal 2014 ad oggi, con 740 unità in più rispetto all’anno precedente. Tale crescita denota sicuramente l’emersione di un fenomeno, spesso subdolo e nascosto. Scendendo nel dettaglio l’89% delle vittime è rappresentato da donne italiane, Le più “esposte” sono le coniugate e le conviventi (43%), seguono le donne nubili (30%) e le donne separate/divorziate (27%). Per quanto riguarda le fasce di età, la percentuale più alta è compresa tra i 30 e i 49 anni. La tipologia di violenza prevalente è quella psicologica (45%), seguita da quella fisica (44%), e dallo stalking (4%). Le donne che si rivolgono ai centri antiviolenza spesso riferiscono di aver subito violenze multiple. Fra gli autori delle violenze figurano prevalentemente il partner e l’ex partner, due tipologie di autori che rappresentano complessivamente circa l’82%; se a questa aggiungiamo il dato cha fa riferimento all’area dei “parenti” (10%), si raggiunge una percentuale complessiva legata alla sfera familiare del 92%. Sul totale delle donne seguite dai centri antiviolenza, nel 2023 ha denunciato il 44,3% con una riduzione di 3,6 punti percentuali rispetto all’annualità precedente.
Sicuramente un freno è dato dalla paura delle numerose difficoltà da affrontare, che rappresenta un deterrente malgrado il pieno sostegno dei centri antiviolenza: tempi lunghi dei procedimenti, situazioni di vittimizzazione secondaria, spesso legate ai percorsi giudiziari per l’affidamento dei figli nella fase di separazione, percezione di scarsa protezione anche a seguito di reiterate segnalazioni e/o denunce, sensazione di essere poco credute oltre che poco protette rispetto ai loro aguzzini. Più o meno stabile il tasso di ritiro della denuncia che si attesta al 2,3%. Le donne allontanate per motivi di sicurezza e messe in protezione presso le case rifugio di primo livello sono state 138 (120 nel 2022). Il 54,3% delle donne accolte nel 2023 ha figli e di questi 112 sono minorenni che, come il più delle volte accade, seguono le madri in casa rifugio. «Senza dubbio – ha continuato il prefetto di Lecce – a seguito dell’episodio gravissimo dell’omicidio di Giulia Cecchettin, c’è stato un cambio di passo e la sensibilità è migliorata. Penso tuttavia che ci sia un fattore culturale da considerare e anche qui dobbiamo impegnarci».
La rete pugliese di assistenza è estesa: sono 30 i centri antiviolenza tra pubblici e privati. Oltre le sedi dispongono di circa 90 sportelli di ascolto disseminati nei diversi territori. Ci sono poi due case rifugio di emergenza per rispondere al bisogno immediato di avere sicurezza e durante questo periodo le donne vengono rese consapevoli sul percorso da intraprendere insieme alle operatrici. Sette case rifugio di I livello ad indirizzo segreto nel caso in cui la valutazione del rischio sia elevata; dieci case rifugio di II livello per la semi-autonomia e l’accompagnamento verso la piena indipendenza. Il dipartimento della Regione Puglia ha inoltre stanziato 850.000 euro e per sostenere le donne nel loro percorso verso l’autonomia e l’indipendenza sociale, lavorativa ed economica. «Il nostro impegno è garantire a ogni donna vittima di violenza – spiega Valentina Romano, direttrice del dipartimento Welfare della Regione – non solo protezione immediata, ma la possibilità di ricostruire la propria vita. Ogni percorso di autonomia è un investimento di giustizia sociale e di libertà. Nessuna donna deve sentirsi prigioniera della violenza: la comunità è al suo fianco per accompagnarla verso un nuovo inizio».
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