65° viaggio di solidarietà e speranza della Fondazione Santina in Kenya. “Non consultarti con le tue paure, ma con le tue speranze e i tuoi sogni”

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[Korazym.org/Blog dell’Editore, 08.03.2025 – Vik van Brantegem] – Mons. Luigi (Gigi) Ginami, Presidente delle Onlus Associazione Amici di Santina Zucchinelli e Fondazione Santina, è partito il 4 marzo 2025 per il 65° viaggio di solidarietà e speranza in Kenya, che ha come motto una citazione di Papa San Giovanni XXIII: Non consultarti con le tue paure, ma con le tue speranze e i tuoi sogni (segue il video promo). Svolgerà un programma intenso fino al 15 marzo 2025, accompagnato da Jimmy Katana, il Responsabile per Kenya, con il supporto di Padre Rolando. In occasione di questo viaggio, la Fondazione Santina inaugura a Msabaha tre nuovi pozzi. Di seguito riportiamo in suo primo report.

Report 65/1. Sabato 22 febbraio 2025

Scrivo dalla comoda scrivania di casa a Bergamo. Oggi è domenica 2 marzo 2025 e dopodomani un aereo mi porterà in Kenya. Le giornate precedenti i viaggi di solidarietà le amo trascorrere nella preparazione, nel silenzio e nella preghiera, quasi per concentrarmi e prepararmi bene alle giornate di sfida di Africa, durante le quali sarò chiamato a non consultarmi con le mie paure, ma piuttosto con le mie speranze ed i miei sogni, come diceva Papa Giovanni XXIII. Siamo nell’anno del Giubileo dedicato alla Speranza ed il primo viaggio del 2025 non poteva trascurare l’ingrediente della Speranza.

Sono appena rientrato dal Monastero di Montello dove nella Messa domenicale ho chiesto alle monache di clausura di pregare per me. Questa sera in parrocchia a Cenate Sopra, durante la Messa vespertina della domenica chiederò altre preghiere…

Nella mia memoria è ancora vivo e forte quello che mi è capitato circa una settimana fa, sabato 22 febbraio 2025, qui in cattedrale dove il 21 giugno 1986 sono stato ordinato prete. Il prossimo anno 2026 saranno 40 anni di vita sacerdotale. L’occasione mi è data dall’ordinazione episcopale di un mio “compagno di Messa”, Mons. Maurizio Bravi. Papa Francesco lo ha nominato Nunzio Apostolico e così ho assistito alla sua ordinazione episcopale presieduta dal Segretario di Stato, il Cardinale Pietro Parolin. La struttura liturgia della celebrazione è molto simile a quella dell’ordinazione sacerdotale e la presenza dei miei condiscepoli ordinati con me sacerdoti nel 19986 e presenti al Sacro Rito mi fa ritornare con la memoria, l’immaginazione ed emozione a quel magnifico giorno, che per me rimane di carattere indelebile, tatuato nel profondo del mio cuore, il giorno più bello di tutta la mia vita, il giorno per il quale ancora oggi vivo.

Noi sacerdoti spesso siamo presi dagli incarichi che svolgiamo e magari ci identifichiamo con essi a tal punto, che quando vengono meno, sembra andare in crisi addirittura la nostra identità. Spesso il nostro “fare” lo identifichiamo con il nostro “essere” ed in alcune occasioni rischiamo anche il paradosso, persi i prestigiosi titoli, di guardare il nostro vivere con lo sguardo sull’“avere” con domande del tipo: cosa faccio domani se non ho una sicurezza economica?

A tutto ciò, più passano gli anni e più sembriamo enfatizzare, molto più delle persone laiche, la paura per la nostra salute. Allora in quella bellissima cerimonia è proprio Papa Giovanni XXIII a chiedermi: “Ma tu Don Gigi ti confronti con le tue paure del fare, dell’avere o della salute o piuttosto sui Sogni e la Speranza del sabato 21 giugno 1986?” In quella data la Chiesa mi dice che mi è stato dato il “carattere presbiterale indelebile”. Questo è il vero senso del mio “essere”, vivere cioè in Persona Christi.

Ho avuto l’occasione di conoscere e frequentare per alcuni anni Papa Giovanni Paolo II. Un giorno mi chiese: “Dimmi Don Gigi, quale è per te il giorno più importante della mia vita?” Subito, senza pensare, nella foga della mia giovinezza rispondo: “Il giorno in cui è diventato Papa!” Il Santo Padre sorride e mi dice con un silenzioso cenno della testa no… Arrossisco e rispondo subito: “Il giorno in cui è diventato Vescovo!” Giovanni Paolo II sorride e con un segno della testa mi dice nuovamente di no e precede altre mie risposte facendosi serio e risponde: “Vedi Don Gigi, questa mattina nella cappella della casa nella quale vivi con altri sacerdoti, hai celebrato la Messa, anche io ho celebrato la Santa Messa in cappella, ma ricorda questo io e te, carissimo, questa mattina eravamo durante la celebrazione liturgica  in Persona Christi, e ricorda vi è molto di più essere in Persona Cristi che essere solo Vicario di Cristo. Il giorno più bello e santo della mia vita. Era il 1° novembre 1946”. Divento rosso e ricorderò sempre la data perché Papa Giovanni Paolo II scrisse in latino sul mio Vangelo: “Cum benedictione Joannes Paulus PPII, 10-11-1994”, era un giovedì.

Quella frase è per me la Reliquia di un Santo a pagina 720 del mio The greek New Testament comperato all’Università Gregoriana di Roma, all’inizio dei miei studi il 16 ottobre 1982, era un sabato.

Sabato 22 febbraio scorso in cattedrale mi è venuto in mente quell’incontro con San Giovanni Paolo II e mentre pregavo con i tanti sacerdoti e vescovi convenuti, mi veniva alla mente anche un altro fatto, un libro che avevo letto diverse volte. Infatti, quello che accadde in quel giorno, il1° novembre 1946, in una Polonia devastata dalla Seconda Guerra Mondiale, terminata da poco più di un anno, San Giovanni Paolo II lo ha consegnato ad alcune pagine di Dono e mistero, il suo primo libro autobiografico, pubblicato nel 1996 nell’imminenza del 50° di sacerdozio.

Luogo dell’ordinazione fu la cappella privata degli arcivescovi di Cracovia. Momenti centrali di quella liturgia furono la prostrazione a terra in forma di croce, mentre le poche persone presenti cantavano il Veni, Creator Spiritus, e l’imposizione delle mani da parte del vescovo. Ecco le sue parole prese da quel libro: “Mi rivedo, così, in quella cappella durante il canto del Veni Creator Spiritus e delle Litanie dei Santi, mentre steso per terra in forma di croce, aspettavo il momento dell’imposizione delle mani. […] C’è qualcosa di impressionante nella prostrazione degli ordinandi: è il simbolo della loro totale sottomissione di fronte alla maestà di Dio e contemporaneamente della piena disponibilità all’azione dello Spirito Santo, che discende in lui come artefice della consacrazione. […] L’imposizione delle mani è continuazione del gesto già praticato nella Chiesa primitiva per indicare il dono dello Spirito Santo in vista di una determinata missione”.

Quelle parole mi hanno accompagnato durante il Sacro Rito dell’ordinazione episcopale di Mons. Bravi e così in quelle due ore ho cercato di rivivere profondamente la mia ordinazione sacerdotale. Ero vestito con i sacri paramenti bianchi, nascosto dietro il coro e vicino a me assorto in preghiera vi era Don Davide, il mio Vicario Generale… Ho trascorso attimi di intensa preghiera e commozione, come il canto del Veni Creator Spiritus, delle Litanie dei Santi, della Sacra Unzione con l’olio del Crisma ed il momento che più mi ha colpito è stato il momento della Consacrazione, quando il Cardinal Parolin ha alzato il calice del vino, uno splendido calice in oro appartenente al tesoro del duomo di Bergamo, forse il pezzo più prezioso. Mentre ripeto le parole della Consacrazione, dico tra me: “Quel calice, quel calice, quel calice! L’ho usato anche io nel giorno della mia Prima Messa, ed oggi come allora il vino per la “transustanziazione” diventa il Sangue di Gesù: non è importate se le misteriose parole sono proferite da un Cardinale o da un semplice prete come me, come diceva Papa Giovanni Paolo II: ora vivo in Persona Christi ed è proprio a partire da qui, che devo capire chi sono, non per quanto faccio, quanto ho in tasca o la salute che godo, ma unicamente perché la mia vita per un grande regalo di Dio, ha la responsabilità sovrumana di vivere nella Persona di Cristo”.

MI aiutano molto le parole del Vangelo lette nella festa della Cattedra di San Pietro e splendidamente commentate dal Cardinal Segretario di Stato: “Gesù disse loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente»”. L’intuizione di Pietro per opera dello Spirito Santo è un flash sulla mia vita, sulle mie paure, ed è esigente richiesta di confrontarmi sempre con le mie speranze ed i miei sogni e non con le mie paure.

E qui è proprio il ricordo di Don Davide a darmi coraggio. Anche Don Davide anni fa ha scritto una frase, che mi è di ispirazione nella mia Sacra Scrittura logora di anni, La frase scelta da Don Davide è questa: “Signore tu sai tutto, tu sai che ti amo!” E quella frase, scritta da lui anni fa, riviveva con una potenza profetica in quella cerimonia da capogiro.

Ho trascorso così due ore potenti, di grande valore spirituale per me, e nella verifica della sera con Emanuele, Marzia e Blanca, ho detto con convinzione che sicuramente il momento più bello del sabato appena trascorso con loro è stato proprio il Sacro Rito.

Giunge così il momento dello scambio della Pace ed in quel momento prendo tutte due le mani di Don Davide e dico a Lui: “Don Davide, oggi ho rivissuto la forza della celebrazione della mia ordinazione sacerdotale avvenuta tanti anni fa. Ma! Ora sento prepotente il desiderio di rinnovare nelle tue mani le promesse fatte nelle mani del vescovo in quel giorno. Porta le mie promesse al Vescovo Francesco. Don Davide mi guarda diritto negli occhi e mi dice: “Don Gigi, grazie per il bene che fai ai più poveri e sconosciuti, continua con forza a fare questo, prego per te!”

Con molta emozione nel cuore ricevo Gesù Eucaristia e mentre bevo dal sacro calice in oro ricordo la mia Prima Messa con quel calice e guardo nei primi banchi, cercando come allora il volto n lacrime per la gioia di mia madre Santina e poi… la sento forte nel cuore e mi ricordo una frase scritta da lei nella mia Bibbia che dice così: “Carissimo Luigi, il sacerdozio è un dono totale a Dio. Vivilo con la preghiera intesa che è l’arma segreta del sacerdote. Ama Lui nelle persone ammalate e sole, aiuta la gioventù a conoscerlo e ricordati di studiare e non perdere tempo. La tua mamma che ti vuole tanto bene”. Era il giorno di Natale, giovedì 25 dicembre 1986… ero prete da alcuni mesi.

Proprio con queste sante parole di mia madre mi preparo a partire per il Kenya, con l’intento di attuarle accompagnando la nostra opera di carità con la preghiera e amando Lui nelle persone ammalate e sole, facendoLo conoscere con l’annuncio ai giovani e studiando molto la mia presenza in Africa prima di partire.

La celebrazione liturgia finisce e Don Pietro mi viene a trovare a casa. È un prete eccezionale, figlio di una donna eccezionale che si chiamava Ada, molto simile nella fede a Santina. Il Cardinale Pietro Parolin a casa di Don Gigi? No, non il cardinale, ma il prete esempio ed amico. Non voglio costruire un profilo di parte su chi sia Pietro Parolin, lascio la parola al Direttore de L’Eco di Bergamo, Alberto Ceresoli, che scrive – introducendo una sua bellissima intervista al porporato per il suo giornale – un trafiletto che vale la pena riportare: “Solo dopo averlo incontrato di persona si capisce perché, al di fuori del protocollo, preferisca farsi chiamare semplicemente «Don Pietro». Perché il Segretario di Stato, Sua Eminenza il Cardinale Pietro Parolin, è la quinta essenza dell’umiltà, di chi è convinto che quello è e che rappresenta, «è» perché Qualcun Altro lo ha voluto per lui, dentro quel «disegno» che Dio ha per ciascuno di noi. Il suo è quello di servitore della Chiesa universale, un prete fortemente ancorato allo spirito diocesano della sua Vicenza (è nato a Schiavon, un piccolo Comune ad una ventina di chilometri dalla città di Fogazzaro e Piovene), ma con la «testa» nel mondo, di cui segue – non senza angosce e preoccupazioni – le difficili sorti, in un momento storico particolarmente tortuoso, con l’umanità che troppo spesso, e con troppa leggerezza, lambisce il baratro di un conflitto nucleare. Sull’insegnamento di San Paolo, «spera contro ogni speranza», sapendo in cuor suo che la Verità e la Giustizia, alla fine, avranno la meglio. Ma aspettare non basta, bisogna che l’uomo si faccia esso stesso promotore di Verità e di Giustizia, attingendo al Vangelo e agli insegnamenti della Chiesa che – cita Papa Giovanni XXIII – «continuerà ad essere per tutti la fontana di acqua fresca del villaggio». Particolarmente incline all’accoglienza, al dialogo e all’ascolto, «Don Pietro» tesse ogni giorno invisibili fili di speranza per far sì che i popoli che animano la Terra – tutti i popoli – possano non solo convivere in pace e godere di pari opportunità di crescita, ma vedersi garantiti i diritti civili più elementari. Pur essendo uno «snodo» fondamentale nelle questioni diplomatiche più scottanti del pianeta, il Cardinal Parolin sta sempre un passo indietro rispetto alle luci della ribalta, preferendo muoversi per favorire incontri e incentivare mediazioni. Preoccupato della crisi dei valori che ha investito il mondo occidentale, sprona l’Europa ad essere sé stessa per poter continuare «ad avere un posto centrale nelle sfide geopolitiche del nostro tempo», recuperando le radici storiche e culturali dei popoli europei. Tutti temi che il Cardinal Segretario di Stato (a Bergamo il 22 febbraio per ordinare vescovo Monsignor Maurizio Bravi, Nunzio Apostolico in Papua Nuova Guinea e Isole Salomone) tocca nell’intervista che segue, una delle pochissime che concede e per la quale L’Eco di Bergamo gli è profondamente grato”.

È vero, Don Pietro, come Alberto ci dice che si fa chiamare, è sempre un passo indietro alle luci della ribalta ed è proprio così che entra in casa mia, dopo aver avvisato il Vescovo Francesco: “Eccellenza, vado da Don Gigi a bere qualcosa, a che ora è la cena, faccio in tempo?” Il Vescovo Francesco amabilmente risponde: “Eminenza, manca un quarto alle sette e la cena è alle sette e mezza, vada pure e non si preoccupi; io accompagno il nuovo vescovo in seminario”.

Apriamo la porta di casa. Blanca, Emanuele e Marzia hanno gli occhi increduli e pieni di luce con la bocca spalancata per vedere di persona Don Pietro. Si siede, parliamo della celebrazione liturgica, parlo del bellissimo calice che mi ha stregato e mostro a lui il mio calice della mia Prima Messa con gli anelli di mio papà e di mia mamma. Parliamo del suo viaggio recente in Burkina Faso, del mio viaggio prossimo in Kenya e di tutta la nostra attività caritativa. Ha parole semplici e cordiali per tutti noi, per Blanca che ha preparato il rinfresco, per Emanuele e Marzia. Il tempo scorre rapido, parliamo dei bambini dell’Adasm di Bergamo per i quali avevamo insieme registrato un videomessaggio, si ricorda perfettamente…

E mentre parliamo dell’intervista, mi viene in mente un ricordo di lui, appena lasciato il Vaticano. Gli dico: “Don Pietro, mi ricordo che sabato 12 febbraio 2022 nel tuo ufficio di Roma mi hai scritto una frase sulla mia Bibbia, ancora oggi è per me incisa nel cuore lo guardo e lentamente ripeto le parole del versetto di 1Pt 5,7: “Gettando su di lui ogni vostra preoccupazione, perché egli ha cura di voi”. Il cardinale mi guarda e lentamente mi dice: “Questa frase mi è spesso di aiuto ed incoraggiamento come penso lo sia per te in questa tua vita e della vita di Fondazione Santina che presiedi”.

Il nostro ricordo va al Papa ammalato, ci raccogliamo in preghiera e Don Pietro ci dà la benedizione, stringe la mano agli amici e lo accompagno in terrazza dove si gode una stupenda vista su Città Alta. Il cardinale rimane stupito. Parlo di quando ero piccolo e giocavo in questi incantevoli borghi, e della gioia di essere ritornato qui in Città Alta, ed essere così ancora più vicino agli ultimi.

Scendiamo con l’ascensore, ci salutiamo con viva cordialità, sale in macchina, in seminario lo attendono per la festa. E noi, io, Emanuele, Marzia e Blanca abbiamo la festa nel cuore, quella festa che sa creare Don Pietro, un uomo che vive non per il ruolo che occupa, non per le ricchezze e neppure per la salute. È un uomo che vive per una data, domenica 27 aprile 1980: la data dalla quale vive in Persona Christi. E questo è molto di più che ricoprire l’incarico di Segretario di Stato di Sua Santità…





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