Nuovi Equilibri Globali: Diplomazia, Ricostruzione e Autonomia

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USA-UCRAINA, SI PUÒ TRATTARE

Durante il suo discorso sullo stato dell’Unione, il presidente Donald Trump ha riferito al Congresso degli Stati Uniti d’America, ricordando come il Paese intenda muoversi diplomaticamente al fine di arrivare a una intesa con la Russia che congeli il conflitto in Ucraina attraverso la firma sull’accordo per le terre rare, aggiungendo, nonostante l’alterco nato venerdí sera all’interno dello Studio Ovale della Casa Bianca, di aver ricevuto una lettera inviatagli proprio dal presidente ucraino Zelensky, che si è detto pronto a sedersi al tavolo dei negoziati con lo stesso Trump e Putin: “L’Ucraina è pronta a prendere parte ai negoziati per arrivare alla pace il prima possibile; nessuno la vuole più di noi”. A seguito di ciò il presidente americano ha poi ricordato di aver discusso con il presidente russo per concordare pertanto un cessate-il-fuoco. Al centro delle trattative in corso sarà l’intesa sui minerali, che sia Washignton che Mosca intendono sfruttare come cornice diplomatica su cui poi imbastire di conseguenza la tregua, essenziale per la sicurezza continentale. Certamente l’approccio oggi piú conciliante da parte degli ucraini nei confronti degli Stati Uniti sta nel fatto che proprio ieri mattina il tycoon ha affermato di aver sospeso l’invio di aiuti militari proprio a Kiev, per costringere Zelensky stesso a trattare.

GAZA, PIANO ARABO PER RICOSTRUZIONE

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I leader dei paesi arabi hanno approvato un piano da 53 miliardi di dollari proposto dall’Egitto per la ricostruzione della Striscia di Gaza senza alcuna evacuazione dei palestinesi residenti. Tale progetto si inserisce quale idea e risposta alternativa a quela già presentata suo tempo da Trump, il quale consigliava a Paesi arabi quali appunto Egitto e Giordania di accogliere i profughi palestinesi (circa due milioni), arabi anche essi, presso di loro, suscitando non poche ritrosie e di conseguenza il no categorico tanto di Il Cairo quanto di Amman, preoccupati che l’ingente flusso migratorio possa portare con se potenziali minacce terroristiche affiliate ad Hamas col tramite della Fratellanza musulmana sunnita. Il piano egiziano prevede il compimento della ricostruzione nel 2030: prima infatti sarà necessario rimuovere del tutto i detriti creati dai bombardamenti attuati dalle Forze armate di Israele (circa 50 milioni di tonnellate) e solo dopo bonificare l’area da eventuali esplosivi rimasti. Non solo, tale progetto sarà sostenibile con implementazione di nuove energie rinnovabili e, stando a quanto dichiarato, Gaza disporrà di aeroporto internazionale, un porto commerciale e un porto per la pesca.

SPAGNA, MADRID: ALLA CATALOGNA PIÙ AUTONOMIA

Il Partito socialista del primo ministro della Spagna Pedro Sánchez e il partito separatista di destra JxCat dell’ex presidente catalano Carles Puigdemont hanno depositato in parlamento un disegno di legge per la parziale cessione dei poteri in materia di immigrazione dal governo centrale di Madrid alla Generalidad de Cataluña (governo regionale di Catalogna). Secondo infatti Madrid deve essere Barcellona e quindi la Catalgna (in tal caso con la sua polizia regionale catalana) ad assicurare la gestione dei flussi migratori attraverso per esempio la sicurezza di porti, e aeroporti: il tutto però non può essere motivo di separatismo ma anzi è necessario che si agisca in cooperazione con le altre Generalitat iberiche. Tale forma di autonomia delegata pertiene alla Generalitat di Barcellona per quanto riguarda sia il controllo dei flussi migratori di ingresso via mare sia gli aspetti che interessano i rimpatri e i centri di detenzione per stranieri, anche per snellire le funzioni spettanti al governo centrale spagnolo, dunque Madrid. L’accordo tra socialisti e separatisti prevede inoltre che la Catalogna sarà investita dei poteri per erogare i permessi di soggiorno di lunga durata, di residenza temporanea e di residenza di lunga durata per stranieri, nonché per rilasciare loro i documenti d’identità. Dal Belgio, dove risiede in esilio autoimposto, l’indipendentista Puigdemont ha esultato: “Il nostro sistema politico e il nostro sistema istituzionale gestiranno un potere che solo gli Stati esercitano”.

UCRAINA, BRUXELLES: RIPARAZIONE CON FONDI RUSSI SEQUESTRATI

A seguito di quanto accaduto negli ultimi giorni tra Trump e Zelensky e del successivo summit dei paesi euroatlantici a Londra, Bruxelles intende serrare ulteriormente i ranghi contro Mosca, attuando un progetto che era già stato anticipato dalla commissione europea nei mesi precedenti e che ora dovrebbe trovare luce. Se infatti non sarà possibile sostituire completamente la forza militare americana nel continente europeo al fine di ripristinare la deterrenza nei confronti della Russia e nonostante un possibile aumento di spesa nella difesa dei paesi membri della Nato, l’Unione Europea correi ai ripari dell’Ucraina quantomeno dicendosi pronta a sostenerne la ricostruzione economica una volta concretizzata la tregua. Stando a quanto sostenuto dal Financial Times, Francia e Germania si direbbero favorevoli a convogliare in Ucraina i 200 miliardi di beni della banca centrale russa bloccati a inizio guerra, in modo da riempire in fretta il buco lasciato da Washington: i costi della ricostruzione ricadrebbero cosí indirettamente su Mosca, dando pertanto un’accelerata sull’esproprio degli asset russi, attualmente congelati in Belgio. È bene infatti ricordare che finora i capitali russi sequestrati sono serviti a ripagare i prestiti fatti dall’Unione a Kyiv, ovvero sia 3 miliardi, ma ora in ballo ci sarebbero quei 50 miliardi che sono stati già concordati durante il G7 della scorsa estate a Borgo Egnazia, cosí da poter sfruttare tutti i fondi congelati. Sempre secondo la celebre testata inglese, il recente scontro tra Stati Uniti e Ucraina, cosí come la dura retorica trumpiana verso i paesi europei, avrebbe destato molta preoccupazione nelle cancellerie dell’Europa occidentale: l’idea quindi maturata in quest’ultimo periodo lega il sequestro dei beni sopra citati all’eventuale violazione della tregua, posto che questa venga raggiunta nel minor tempo possibile e soprattutto che si dimostri duratura, configurandosi di conseguenza quale strumento di deterrenza europea nei confronti di Mosca.

 

 

 

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