A Bruxelles, il Consiglio straordinario per la difesa ha mostrato un nuovo scenario europeo. Ne abbiamo parlato con Luigi Chiapperini, generale di Corpo d’Armata dei Lagunari in quiescenza, membro del Centro Studi dell’Esercito, già comandante dei contingenti nazionali in Kosovo, in Libano e in Afghanistan.
Generale, l’Europa deve difendersi?
«La difesa dell’Europa è divenuta inderogabile e necessaria. Ci siamo svegliati bruscamente mentre sognavamo di non assistere più a guerre nel nostro continente. Era un sogno che durava da quasi 80 anni, interrotto dall’aggressione della Russia ai danni dell’Ucraina, una minaccia che potrebbe coinvolgere altri Paesi europei come quelli baltici e la Moldova. In futuro potrebbe arrivare al cuore dell’Europa poiché senza un argine solido che lo contenga, un aggressore tenterebbe di ottenere quanto più territorio possibile. Ma le minacce per l’Europa non si fermano qui. Pensiamo ad esempio all’Iran e ai suoi missili balistici e agli attacchi dei loro alleati Houthi nel Mar Rosso o alla stessa Russia che, insieme alla Repubblica Popolare Cinese, ha già messo piede in Africa. La loro presenza non solo economica ma anche militare nel continente africano rappresenterebbe una ulteriore minaccia alla quale dobbiamo iniziare a pensare».
Qual è la situazione attuale dell’assetto difensivo europeo?
«Sinora i Paesi europei, sia come membri dell’Unione Europea che singolarmente, hanno pensato al loro strumento militare come un qualcosa di ancillare rispetto a quello statunitense, con gli Usa che da decenni guidano la Nato assicurandogli la maggior parte delle risorse economiche e militari. Pertanto noi europei non ci siamo preoccupati di spendere quanto avremmo dovuto, pur sottoscrivendo più volte l’impegno di raggiungere il 2% dei Pil nazionali per colmare alcune carenze capacitive. Un aspetto che riguarda in particolar modo l’Italia, che con tutti i governi degli ultimi anni, quindi di differenti colori politici, non ha mantenuto le promesse fatte nei vari vertici Nato. Le conseguenze nefaste, che in alcuni settori risultano drammatiche specialmente nell’esercito italiano, si vedono. Come europei, non siamo riusciti neanche a sviluppare una politica estera e di difesa veramente comune. Le singole nazioni, chi più chi meno, hanno forze armate che, se messe tutte insieme, rappresenterebbero sulla carta uno strumento militare di tutto rispetto. Ma non è sufficiente poiché, in caso di disimpegno statunitense, non disporremmo non solo di alcune capacità basiche di cui parlavo, come ad esempio la componente corazzata, ma anche di altre di tipo strategico che sono quasi tutte in mano agli Usa.
Cosa strategicamente dovrebbe fare l’Ue?
«Rendersi il più possibile autonoma politicamente e militarmente. Entrambi gli aspetti non sono facili da conseguire. I veti di alcuni Paesi e le decisioni all’unanimità indeboliscono politicamente l’Unione. Forse bisogna pensare a una governance più flessibile e meno vulnerabile al fuoco amico di Paesi come ad esempio l’Ungheria e la Slovacchia. Dal punto di vista militare bisogna iniziare a realizzare forze armate comuni. Ripeto però che la condizione necessaria per poter poi impiegare dette forze è la concretizzazione di una politica estera e di difesa veramente unica, che non sia “comune” solo di facciata come lo è attualmente. Perché altrimenti la necessità di dover fornire risposte rapide e decise alle crisi internazionali come quella in Ucraina, spingerebbe alcuni Paesi europei a costituire coalizioni di volenterosi, come sta già avvenendo con l’iniziativa britannico-francese per l’Ucraina».
Chi dovrebbe avere il comando e i soldati di chi sarebbero?
«L’indirizzo strategico sarebbe nelle mani del vertice politico dell’Ue che, come dicevo, va però individuato sotto una nuova forma. Quella attuale non consente decisioni rapide che invece le moderne operazioni militari richiedono. Ci sarebbe un comandante supremo militare, alla stregua di quello Nato attuale, con il suo quartier generale (che, aggiungo, esiste già anche se all’ombra di quello dell’Alleanza Atlantica) e comandi e forze dipendenti, anche questi già esistenti. Ogni nazione dovrebbe contribuire proporzionalmente ai fattori demografici ed economici, come avviene già oggi in ambito Nato. Riguardo all’Italia, non si può non concordare con quanto dichiarato dal capo di Stato maggiore dell’Esercito Carmine Masiello il quale ritiene fondamentale incrementare di 20-30 mila unità i ranghi della componente terrestre per affrontare le sfide di oggi e di domani in ambito nazionale, Nato e Ue. Ciò che invece mancherebbero, come evidenziavo, sono le capacità militari strategiche».
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