Kurt Volker all’ISPI: Trump, l’Ucraina e il futuro della difesa europea 

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“Trump ritiene che l’unico modo per porre fine alla guerra sia quello di impegnarsi con Putin. Allo stesso tempo, sta facendo pressione su Zelensky poiché vuole che l’Ucraina riconosca che la sua capacità di resistere dipende in larga misura dal sostegno degli Stati Uniti. La sua strategia si basa sulla convinzione che fermare gli aiuti militari sia l’unica strada percorribile per far finire la guerra, altrimenti l’Ucraina continuerà a combattere all’infinito”. Nel giorno in cui l’Europa, riunita a Bruxelles per il Consiglio straordinario si interroga su difesa e sostegno a Kiev, Kurt Volker, già ambasciatore americano alla Nato e inviato speciale per l’Ucraina di Donald Trump durante il primo mandato è intervenuto all’ISPI per delineare la strategia dell’attuale amministrazione nel conflitto in corso. “Il negoziato si regge su quattro punti: stop al conflitto, perché Trump vuole porre fine ai combattimenti il ​​prima possibile; reciprocità: il presidente ritiene che Biden abbia fornito aiuti all’Ucraina senza garantire alcun beneficio tangibile per gli Stati Uniti; deterrenza: mira a proiettare forza per prevenire un’ulteriore escalation; dominio energetico: la sua strategia più ampia si concentra sul rendere gli Stati Uniti il ​​principale fornitore di energia al mondo”. In quest’ottica, secondo Volker l’accordo sui minerali “è più politico che economico”. Serve come messaggio che gli Stati Uniti e l’Ucraina “sono allineati” e rassicura gli americani che l’Ucraina sta “facendo la sua parte” fornendo una motivazione a lungo termine per il sostegno a Kiev. Quanto agli alleati, “il presidente ritiene che gli Usa abbiano fatto troppo per il Vecchio Continente – osserva – È molto ricco, ha capacità tecnologiche. È ora che cominci a prendersi cura di se stesso”. 

Pace attraverso la forza? 

Il presidente americano, intanto, non allenta il pressing su Kiev e dopo le armi interrompe anche la fornitura di intelligence, per portare Volodymyr Zelensky ad accettare l’accordo di pace. La nuova postura degli americani, non più al fianco degli ucraini, viene osservata con preoccupazione dagli europei tornati a riunirsi oggi a Bruxelles in un Consiglio Europeo straordinario. “Questo è un momento spartiacque per l’Europa e l’Ucraina come parte della nostra famiglia europea” ha detto la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen. “È anche un momento spartiacque per l’Ucraina. L’Europa affronta un pericolo chiaro e presente, e quindi deve essere in grado di proteggersi, di difendersi, così come dobbiamo mettere l’Ucraina in una posizione per proteggersi e spingere per una pace duratura e giusta. Vogliamo una pace con la forza, ed è per questo che oggi presento ai leader il piano di riarmo dell’Europa”. In punto stampa congiunto con il presidente ucraino e con il presidente del Consiglio europeo, Antonio Costa, von der Leyen ha presentato ai leader del Consiglio il piano ReArm Europe, che – ha spiegato – “prevede 800 miliardi di euro per equipaggiamento militare, dà più spazio fiscale ai Paesi per le spese militari e dà la possibilità di acquisti comuni a livello europeo”.  

Un Consiglio ‘di guerra’? 

Tra le misure previste nel piano in discussione oggi nella capitale belga, l’attivazione di una clausola di salvaguardia per permettere ai paesi membri di fare debito per le spese militari senza violare il Patto di stabilità e crescita che regola gli eccessi di spesa e la creazione di un nuovo strumento per finanziare investimenti in settori quali difesa aerea e missilistica, sistemi di artiglieria, missili, munizioni e droni. “Aiuterà gli Stati membri a mettere in comune la domanda e ad acquistare insieme. Ciò ridurrà i costi, ridurrà la frammentazione, aumenterà l’interoperabilità e rafforzerà la nostra base industriale di difesa”, ha affermato von der Leyen, aggiungendo che “con questa attrezzatura, gli Stati membri possono aumentare notevolmente il loro sostegno all’Ucraina. Secondo Reuters, tra i leader europei sta crescendo anche il sostegno al sequestro dei 300 miliardi di euro di beni russi congelati detenuti nell’Ue (principalmente in Belgio) da riconvertire in finanziamenti per la difesa e la ricostruzione dell’Ucraina. “È fantastico sentire che non siamo soli. E queste non sono solo parole. Lo sentiamo”, ha detto il presidente ucraino Zelensky arrivando a Bruxelles. 

Il momento della verità? 

In effetti, il caloroso abbraccio ricevuto dai leader europei a Londra lo scorso fine settimana, non avrebbe potuto contrastare in modo più netto con il trattamento ostile che Zelensky aveva subito nello Studio Ovale appena pochi giorni prima. Dai leader europei sono arrivate espressioni di sostegno e promesse di aumentare la spesa per la difesa e gli aiuti a Kiev. Tuttavia, alla luce del sempre più chiaro disimpegno americano, permane il timore che ancora una volta l’autonomia strategica del Vecchio continente rimanga fuori portata. L’Europa ha alle spalle una lunga storia di promesse vuote: anche nel consiglio odierno a tenere banco è stato il dubbio che l’Ungheria potesse allearsi con la Slovacchia nel tentativo di bloccare ulteriori sostegni all’Ucraina. Il premier ungherese Viktor Orban, tuttavia, sembra sempre più isolato nel percorso di indebolire la politica estera dei 27 che stavolta, a differenza del passato, sembrano essere concordi sulla natura esistenziale della minaccia. Come ha riconosciuto la presidente della Commissione europea “questo è il momento dell’Europa e dobbiamo essere all’altezza”.  Le prossime settimane e mesi saranno decisivi. Se saprà intervenire in difesa dei suoi valori, l’Unione emergerà più forte e unita che mai. Se non ci riuscirà, le previsioni sul futuro saranno inevitabilmente cupe.   

Il commento

di Antonio Villafranca, Vice Presidente per la Ricerca ISPI

“Tante volte si è (ab)usato il termine ‘storico’ per un Consiglio europeo. Questa volta però sembrerebbe proprio il caso di usarlo, non tanto per i risultati raggiunti quanto per la portata dell’ordine del giorno: il riarmo dell’Europa. Certo, per molti il ‘first best’ sarebbe una più piena iniziativa europea, piuttosto che un incremento dei budget nazionali per la difesa. Su una piena politica estera e di sicurezza europea c’è ancora molto da lavorare, ma l’aver optato per il ‘second best’ non cancella la portata storica del Consiglio di oggi.” 



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