Donne palestinesi e israeliane si uniscono per la pace

Effettua la tua ricerca

More results...

Generic selectors
Exact matches only
Search in title
Search in content
Post Type Selectors
Filter by Categories
#finsubito

Contributi e agevolazioni

per le imprese

 



Da quasi un decennio, le donne palestinesi e israeliane formano una coalizione compatta contro il conflitto e le ineguaglianze, impegnandosi a instaurare un rapporto di fiducia e pace tra le diverse culture.

La sospensione del conflitto armato avvenuta a gennaio ha riportato la speranza tra palestinesi e israeliani. Tuttavia, poco dopo la firma dell’accordo, le milizie di Hamas sono uscite allo scoperto con uniformi e fucili d’assalto per ricordare agli abitanti di Gaza chi è al comando. Nel frattempo, i prigionieri palestinesi di ritorno verso le loro case verranno accolti da distruzione, caos e una terribile crisi umanitaria. In Cisgiordania invece, il governo israeliano ha avviato una violenta operazione militare nel campo profughi di Jenin. Ad aggravare ulteriormente la situazione si aggiunge l’intervento del presidente americano Donald Trump, il quale ha suggerito di allontanare tutti i palestinesi da Gaza, senza alcuna garanzia sul loro ritorno, per trasformarla in una sorta di “Riviera del Medio Oriente”, proponendo di fatto una pulizia etnica della Striscia.

È difficile costruire percorsi di pace nel Medio Oriente quando sia i leader locali che quelli globali continuano a sostenere la violenza. Ciò che realmente occorre è una nuova leadership abbastanza coraggiosa da ribaltare lo status quo con scelte radicali. Ma considerando l’attuale situazione, questa è destinata a restare un’utopia. Di conseguenza, è la società civile che deve assumersi la responsabilità di porre fine alla spirale di violenza inaugurando un’era  in cui israeliani e palestinesi trovano soluzioni congiunte alternative al conflitto. Ma pare esserci qualche segno di speranza, fortunatamente: qualcuno ha già iniziato a lavorare a questo progetto di pace.

Mutuo 100% per acquisto in asta

assistenza e consulenza per acquisto immobili in asta

 

Il 4 ottobre 2023, migliaia di donne appartenenti al movimento pacifista israeliano “Women Wage Peace” (WWP), insieme alla controparte palestinese “Women of the Sun” (WTS) si sono riunite per partecipare ai tavoli di  negoziazione dei rispettivi governi. Il loro messaggio era forte e chiaro: “Noi, madri palestinesi e israeliane, lottiamo per porre fine a questo continuo spargimento di sangue e ribaltare il destino delle due nazioni a beneficio dei nostri figli.” La pace tra Israele e Palestina è possibile: questo è il messaggio di solidarietà e resilienza che le donne, in massa, hanno voluto lanciare al mondo.

Tre giorni dopo, i terroristi di Hamas hanno attaccato i territori meridionali d’Israele, commettendo violenze di genere di ogni tipo. Tre membri della WWP, inclusa la co-fondatrice Vivian Silver, sono stati uccisi; il giorno seguente le forze israeliane sono entrate a Gaza, dando inizio a una delle guerre più sanguinose per il popolo palestinese, in cui il prezzo più alto lo hanno pagato donne e bambini. Circa un anno e mezzo dopo, quasi 40 membri di WTS hanno perso la vita a Gaza e in Cisgiordania.

Emarginate dalla società, escluse dalle negoziazioni, le donne israeliane e palestinesi sono le vittime principali di una guerra che non hanno mai voluto. Tuttavia, la collera di una madre non si ferma davanti a niente, nemmeno prospettive di morte e disperazione.

“Non si tratta di schierarsi a favore della Palestina o di Israele, ma di scegliere la pace, è questo è ciò di cui abbiamo bisogno”, afferma Fatima (il cui vero nome non è esplicitato per motivi di sicurezza), madre di quattro figli e membro di WTS. “Non vogliamo alimentare odio e vendetta. Abbiamo perso molte vite, a dimostrazione che la violenza genera altra violenza. È ora di mettere fine a questa carneficina e passare al dialogo e all’ascolto reciproco.”

Oltre il soffitto di cristallo per la pace

Esistono numerosi movimenti che si occupano di educazione, collaborazione e valorizzazione femminile, ma due si distinguono per il loro impegno per la pace. Il primo, Women Wage Peace (in italiano “Donne per la pace”), è il più grande movimento pacifista israeliano, quasi interamente al femminile. Fondato nel 2014, ha raggiunto quasi 44.000 partecipanti provenienti da tutta Israele (israeliani, palestinesi, ebrei, musulmani, drusi e beduini). Il secondo, nato nel 2022, è Women of the Sun, che, con 3.000 attivisti in Cisgiordania e Gaza, ha l’obiettivo di rafforzare la parte palestinese del movimento, cresciuta rapidamente.

Embed from Getty Images

Orna Ashkenazi, 67enne, madre, nonna e membro attivo di WWP sin dalla sua fondazione, ha dichiarato che ogni conflitto nel mondo, compresi quelli in Israele, è stato risolto con un accordo. «Non vogliamo la guerra», afferma. «Vogliamo raggiungere accordi reciproci tra palestinesi e israeliani attraverso negoziati tra i leader.»

Sebbene il conflitto colpisca tutti, le donne e le ragazze sono le vittime più vulnerabili, vittime soprattutto di disuguaglianze di genere, di stereotipi e norme persistenti. Nel 2024, il già preoccupante punteggio di Israele sull’uguaglianza di genere è peggiorato, facendo scivolare il paese al 91° posto su 146 paesi nel Global Gender Gap Index del World Economic Forum. In un contesto come questo, non sorprende che in Israele e Palestina siano proprio le donne a farsi sentire come le voci più potenti per il raggiungimento della pace.

Finanziamenti e agevolazioni

Agricoltura

 

Già nel 2023 e, quindi prima dello spostamento di massa di persone a causa del conflitto, le Nazioni Unite avevano riportato che il 29% delle donne palestinesi di età superiore ai 15 anni aveva subito violenza sessuale, fisica o psicologica almeno una volta nella vita. La violenza sessuale, perpetrata da entrambe le parti del conflitto – da Hamas il 7 ottobre e dall’esercito israeliano su detenute palestinesi – conferma i dati delle Nazioni Unite, i quali evidenziano come gli episodi di violenza politica contro le donne aumentino in media del 50% durante i periodi di conflitto armato. Un ulteriore fattore che contribuisce all’aumento della violenza di genere è la crisi economica, la quale rende le donne più vulnerabili allo sfruttamento sessuale e alle violenze da parte di familiari e coniugi, anch’essi traumatizzati dal conflitto stesso.

Indipendentemente dal fatto che si schierino pro-Palestina o pro-Israele, le donne sembrano essere escluse dal dibattito. «Ci hanno coinvolte in questo conflitto, ma nessuno ha mai chiesto se fossimo d’accordo», ha detto Fatima. «Stiamo pagando il prezzo di questa guerra e, per questo, meritiamo di essere sedute al tavolo delle trattative». Ashkenazi concorda e aggiunge che, se le donne israeliane, obbligate alla leva militare, possono combattere in guerra, «allora anche noi possiamo lottare per la pace».

Ventitré anni fa, le Nazioni Unite hanno adottato la Risoluzione 1325 per contrastare la marginalizzazione delle donne durante i conflitti armati. Focalizzandosi su pace e sicurezza, la risoluzione riafferma l’importante ruolo delle donne nella prevenzione e risoluzione dei conflitti, nei negoziati di pace, nella costruzione e nel mantenimento della pace, nelle risposte umanitarie e nella ricostruzione post-bellica. Sottolinea anche la necessità di una partecipazione equa e attiva delle donne in tutte le iniziative finalizzate al mantenimento e alla promozione della pace e della sicurezza.

Tuttavia, va sottolineato che, né Israele né la Palestina hanno adottato misure concrete per attuare la risoluzione. In Israele, la percentuale di donne nel governo è solo del 25%, un dato ben al di sotto rispetto a economie simili, come gli Stati Uniti (29%), la Spagna (43%) e l’Argentina (45%) nel 2023.

Seppur Israele abbia avuto alcune donne a ricoprire incarichi ministeriali, come l’ex Primo Ministro Golda Meir (1969-1974), la maggior parte di esse è stata assegnata a ruoli tradizionalmente femminili, come il ministero dell’Istruzione, quello delle Comunicazioni e la direzione del Ministero per la Promozione dello Status della Donna, quest’ultimo incentrato sulla lotta contro la violenza di genere e la prostituzione. Questo ministero, però, è stato abolito dopo soli otto mesi, nel gennaio 2024. Al contrario, posizioni chiave per il processo di pace israelo-palestinese, come il ruolo di Ministro della Difesa, Ministro della Sicurezza Interna e Ministro delle Finanze, non sono mai state ricoperte da donne.

Fin dalla sua nascita, WWP ha posto l’attuazione della Risoluzione 1325 come obiettivo primario. «Nel conflitto e nella guerra in corso, non vediamo nemmeno una donna coinvolta nel processo decisionale», ha dichiarato Ashkenazi, riferendosi al gabinetto di guerra del Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu, ora dissolto.

Con l’introduzione del Political Alternatives Bill, WWP spera di rendere le soluzioni pacifiche una priorità, indipendentemente da chi è al potere. Il disegno di legge impone ai decisori nazionali, in coordinamento con i rappresentanti della società civile, di valutare alternative politiche per la risoluzione dei conflitti prima di ricorrere a opzioni militari. Inoltre, prevede l’assegnazione di tempo, fondi e personale per un’analisi approfondita delle soluzioni politiche e diplomatiche applicabili a conflitti di qualsiasi entità. Tuttavia, sotto il governo Netanyahu, la proposta è stata accantonata a tempo indefinito.

Finanziamenti e agevolazioni

Agricoltura

 

«L’attuale governo non si interessa del disegno di legge», sostiene Ashkenazi. «Serve un leader adeguato. In Israele, la maggior parte dei leader sono uomini ed ex comandanti dell’esercito. È arrivato il momento che anche persone al di fuori dell’ambito militare, e soprattutto donne, assumano ruoli di leadership.»

Anche in Palestina la presenza femminile in politica è minima, se non inesistente. Secondo l’Ufficio Centrale di Statistica Palestinese, la percentuale di donne elette o nominate nelle elezioni locali del 2021-2022 era pari al 21%. A quasi 16 anni dall’inizio del suo governo ininterrotto, l’esecutivo guidato da Fatah ha nominato 23 nuovi ministri nel marzo 2024, di cui solo tre donne. Inoltre, non risultano donne in posizioni chiave all’interno dell’OLP, l’organismo che rappresenta lo Stato di Palestina negli eventi e nelle istituzioni internazionali come le Nazioni Unite.

«Sappiamo che esiste [Risoluzione 1325 dell’ONU], ma viene applicata? No», afferma Fatima, sottolineando come, benché ci siano donne al governo, queste non rappresentino realmente le istanze delle elettrici. «Noi donne palestinesi non siamo libere di esprimerci come vorremmo a causa del predominio maschile e degli stereotipi che permeano la nostra società», spiega, facendo riferimento anche alle leggi palestinesi che considerano le donne sotto la tutela e la protezione degli uomini. Attraverso i programmi di WTS, che mirano a formare le donne palestinesi in ambito politico e imprenditoriale, «l’obiettivo è aumentare il numero di donne leader coinvolte nella politica: affinché ogni donna abbia una propria voce, possa farsi sentire e rivendicare i propri diritti», afferma Fatima. «Le donne penseranno due volte prima di andare in guerra, perché sappiamo bene quali sarebbero le conseguenze.»

Promuovere soluzioni differenti e inclusive

Ottenere la pace è davvero così semplice come aumentare le donne al potere? In base alle ultime ricerche dobbiamo almeno provarci. Infatti, un’analisi statistica del 2015 che ha preso in considerazione 182 accordi di pace. Ha dimostrato che includere le donne nel processo di negoziazione genera un 20% di probabilità in più che l’accordo duri almeno due anni e un 35% in più che sia a lungo termine. Perciò, coinvolgere le donne apre a prospettive diverse e promuove l’inclusività: fattori chiave per la risoluzione di problemi complessi.

“Di solito le donne sono quelle che guardano le cose in modo diverso rispetto agli uomini. Difatti, sono loro le più propense a scendere a compromessi quando c’è una discussione in famiglia. In realtà dovremmo farci sentire di più”.

Prestito condominio

per lavori di ristrutturazione

 

Una sessione di empowerment per le donne nei rifugi di Gaza condotta da Women of the Sun nel maggio 2024. (Instagram: Women of the Sun)

Mentre gli sforzi per realizzare la pace sono essenziali per la situazione attuale, il lavoro a lungo termine del WWP e della WTS si concentra sulle donne che stanno guidando il futuro. “Le donne sono coloro che crescono ed educano le nuove generazioni. Perciò, se educhiamo le donne palestinesi, l’impatto ricadrà sull’intera comunità e non solo sui ragazzi e sulle ragazze del loro nucleo familiare” dichiara Fatima. Inoltre, aggiunge che la WTS adottando un approccio olistico per le sfide che le donne palestinesi devono affrontare, ha attuato diversi programmi inerenti alla guarigione del trauma e al sostegno psicologico, oltre a un programma educativo chiamato “Empower Her”, che offre alle donne palestinesi gli strumenti necessari a rivestire ruoli di leadership all’interno delle loro comunità e sul posto di lavoro.

Nel 2023, per quanto riguarda le donne palestinesi, c’è stato un aumento dei tassi di iscrizione nella formazione primaria e secondaria. Tuttavia, secondo i dati della Nazioni Unite, le donne hanno scarso accesso alla forza lavoro. Infatti, meno di un quinto di essa (17,2%) è costituita da donne palestinesi, impossibilitate a uscire di casa senza un compagno maschio. Inoltre, Fatima spiega che “L’indipendenza economica è essenziale per far sentire la propria voce”.

Nel tentativo di modificare la legge, la WTS insegna alle donne a realizzare prodotti con materiali riciclati. In questo modo, dichiara Fatima, “si può lavorare anche da casa, avere un reddito e acquisire un’indipendenza economica, perché questo è quello che vogliamo.” La WTS aiuta le donne a commercializzare e vendere i propri prodotti online, in cambio di una percentuale sul profitto. Inoltre, le invita anche a partecipare ai bazar e alle iniziative internazionali con la WWP.

Il progetto più significativo è il programma congiunto Women Building Bridges, che si concentra sulla gestione delle acque reflue e unisce leader religiosi e ambientali di Israele e Palestina per trovare soluzioni congiunte a problemi condivisi. Fin dal 1967, durante la guerra dei sei giorni, la scarsità d’acqua ha avuto un impatto significativo sulla strategia politica e sulla diplomazia tra Israele e le nazioni confinanti. Con la caduta di Assad, la conquista israeliana della zona cuscinetto con la Siria ha avuto un impatto significativo sulla situazione idrica, Il bacino del fiume Giordano, infatti, una delle tre principali fonti d’acqua di Israele e Palestina, si estende in tutta l’area.

Inoltre, il controllo di Israele sull’acqua nei territori occupati ha imposto varie restrizioni all’accesso alle fonti idriche per i palestinesi. “I palestinesi, soprattutto le donne, devono affrontare la mancanza di acqua, dato che in Cisgiordania e nella striscia di Gaza non vi è abbastanza acqua per ricoprire le necessità di tutti i cittadini”, spiega Fatima.

Ciò che è stato messo in secondo piano dai governi Israelo-palestinesi è la soluzione ai problemi di gestione e spreco dell’acqua. Come è avvenuto per i processi di pace, le donne riprendono da dove gli uomini hanno lasciato. “Stiamo cercando di risolvere un problema che riguarda entrambi. Noi respiriamo la stessa aria, beviamo la stessa acqua e il nostro obiettivo è vivere in una zona ecologicamente sana” dichiara Ashkenazi.

Microcredito

per le aziende

 

Sebbene ci siano già dei programmi riguardanti il riciclo e il riutilizzo delle acque reflue, il progetto congiunto tra la WWP e la WTS vuole trovare soluzioni innovative a problemi comuni. “Israeliani e Palestinesi vogliono realizzare un progetto su come migliorare l’ambiente, come la gestione dell’acqua o creando parchi comunitari” aggiunge Ashkenazi. Inizialmente i due gruppi dovevano incontrarsi faccia a faccia, ma a causa della guerra si sono riuniti su Zoom.

Mantenere viva la speranza

Mentre WWP e WTS, nel contesto dell’attuale conflitto, hanno ottenuto un ampio sostegno a livello internazionale, nelle loro comunità locali il consenso è meno diffuso. “Collaborare con i nostri partner di WWP non è così semplice”, ha dichiarato Fatima. Pur trovando straziante la situazione a Gaza, non pensa neanche per un istante di arrendersi. Per lei è fondamentale che le donne continuino a lottare per la pace.

“Tra la comunità palestinese e israeliana esiste un divario enorme”, ha spiegato, riferendosi al muro di 700 chilometri che separa la Cisgiordania da Israele. “I nostri figli non conoscono alcun israeliano, se non i coloni che incontrano o i soldati armati. Eppure, viviamo sulla stessa terra. Se non avviamo un dialogo, la violenza non potrà che aumentare.”

Tuttavia, nei territori palestinesi, collaborare con gli israeliani è spesso malvisto. Le continue interruzioni di corrente, la violenza dei coloni e i blocchi imposti da Israele rendono ancora più difficile il lavoro di WTS. Fatima sa che la pace è un obiettivo lontano, ma è convinta che qualcuno debba continuare a perseguirlo.

“Se perdo la speranza, come posso trasmetterla agli altri?” ha detto. “Come madre, mi alzo anche quando sono stanca. Sorrido anche quando sono triste e auguro ai miei figli una buona giornata. Dobbiamo infondere in loro la speranza che il domani sarà migliore. È questo il nostro compito, come madri e come donne.”

Ashkenazi concorda. “Dobbiamo restare ottimisti, perché la speranza è l’ultima a morire”, ha affermato. Poi ha ricordato Silver, la cofondatrice di WWP, uccisa a Be’eri all’età di 74 anni. “Era molto più di una di noi: era una donna di pace. Per questo sento il dovere di portare avanti il suo lavoro, per lei e per tutti.” Nel 2024, un rifugio umanitario a Gaza è stato intitolato a Silver per onorarne la memoria. “Ovunque ci sono persone buone”, ha aggiunto, “e sono certa che la maggior parte di loro desidera la pace.”

La dignità e la determinazione di WWP e WTS sembrano non avere eguali. Se i tentativi politici di pace si sono rivelati altalenanti, queste organizzazioni, con il loro approccio intergenerazionale e dichiaratamente femminile, si sono avvicinate più di chiunque altro all’obiettivo. Il loro appello congiunto per la pace, il Mother’s Call, ha ricevuto il sostegno di personalità come Meryl Streep e Papa Francesco.

Sconto crediti fiscali

Finanziamenti e contributi

 

Entrambe le associazioni chiudono il 2024 con una doppia candidatura al Premio Nobel per la Pace e al Premio Sakharov per la libertà di pensiero. Segnali che, forse, la comunità internazionale sta finalmente prestando maggiore attenzione agli attori civili della pace, anziché concentrarsi sui governi autoritari che la ostacolano. “Gli accordi di pace dovrebbero venire da chi vive su questa terra, non dai governi”, ha sottolineato Fatima.

Se alle donne di Israele e Palestina fosse riconosciuto un ruolo più attivo, la pace potrebbe finalmente diventare realtà? Nelle condizioni attuali, adottare un approccio di genere nella risoluzione del conflitto sarebbe una risorsa preziosa. “La cosa più importante è guardare avanti, non indietro”, ha detto Fatima. E prima di concludere l’intervista, Ashkenazi ha aggiunto: “Spero che la prossima volta potremo raccontare la vita in tempo di pace.”

Fonte: Waging Nonviolence

https://wagingnonviolence.org/2025/02/israeli-palestinian-women-work-together-for-peace/

Traduzione di Luca Castelletti, Unicollege per il Centro Studi Sereno Regis


Miriam Gradel

Miriam Gradel è una giornalista internazionale che si occupa di iniziative, movimenti e tecnologie che danno potere ai cittadini e sfidano lo status quo. Ha lavorato in precedenza per l’Associated Press ed è appassionata di innovazione open-source.

Mutuo 100% per acquisto in asta

assistenza e consulenza per acquisto immobili in asta

 



Source link

***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****

Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link

Source link