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L’attivista non binary di nazionalità tedesca in aula per l’udienza preliminare del processo a Budapest, in cui ha rifiutato il patteggiamento. L’accusa è di aggressioni ai danni di militanti di estrema destra, come nel caso di Ilaria Salis. Oggi la nuova udienza
«Eccomi qui, incatenat* e accusat* in un paese per il quale io, in quanto essere umano non binario, come Maja, non esisto». Queste le parole di Maja T. durante il processo a suo carico iniziato a Budapest il 21 febbraio.
L* militante antifascista tedesc* di 23 anni è accusat* (l’asterisco è il modo in cui l’attivista parla di sé, ndr) dai giudici ungheresi di aver partecipato a un’aggressione nei confronti di estremisti di destra durante le manifestazioni del Giorno dell’onore – commemorazione annuale che riunisce migliaia di militanti di estrema destra da tutta Europa – di due anni fa, l’11 febbraio 2023, nella capitale ungherese. Le stesse accuse che sono state mosse all’italiana, oggi europarlamentare, Ilaria Salis.
Maja T. è stat* portat* in aula per l’udienza preliminare in manette e tenut* al guinzaglio da agenti armati della polizia ungherese. L’accusa è di essere responsabile di quattro aggressioni con ferite potenzialmente letali a militanti di estrema destra, per cui la pena potrebbe arrivare a 24 anni di carcere.
Il suo caso ha sollevato preoccupazioni sulle condizioni carcerarie e sulle garanzie processuali in Ungheria. Preoccupazioni già emerse con l’attivista italiana ed europarlamentare Ilaria Salis, che è stata detenuta per oltre un anno in condizioni degradanti prima di ottenere i domiciliari, per poi essere liberata in seguito all’elezione al parlamento europeo, in virtù della quale gode dell’immunità da deputata.
L’appello di Maja
Maja T. è stat* consegnat* alle autorità ungheresi dalla Germania il 28 giugno 2024, nonostante la Corte costituzionale tedesca avesse inizialmente bloccato la sua estradizione. Durante l’udienza a Budapest del 21 febbraio ha rifiutato la proposta di patteggiare una pena di 14 anni del pm ungherese: ora rischia fino a 24 anni di carcere.
Nel rifiutare il patteggiamento, Maja ha letto una lettera in cui ha raccontato delle sue condizioni di detenzione e ha lanciato un appello: «Non lasciatemi sol*. Il mio caso non riguarda solo me, ma tutti coloro che resistono contro il fascismo e l’ingiustizia».
Le condizioni di detenzione
Come persona non binaria con documenti maschili, Maja T. è reclus* in un carcere maschile. «Siamo qui riuniti per preparare un processo in cui sono già stato condannat*, in cui la detenzione è già l’esecuzione di una pena», ha detto.
Le condizioni di detenzione a cui Maja T. è sottopost* violano le regole penitenziarie stabilite dall’Unione europea, di cui l’Ungheria fa parte. Maja T. è in isolamento da oltre duecento giorni e le è consentito vedere gli altri detenuti per soli trenta minuti al giorno. «Non mi sono stati dati gli integratori vitaminici necessari o le visite mediche tempestive, non c’è luce sufficiente e cibo sano», ha continuato Maja, che ha anche sottolineato di essere stat* costrett* a spogliarsi davanti a decine di persone e che per tre mesi è stato ripres* nella sua cella da una telecamera appesa illegalmente.
Ha anche detto che cimici e scarafaggi, come la luce dei controlli orari, «tolgono il sonno». E che può vedere i suoi cari per due ore al mese dietro lastre di plexiglass. «Oggi sono qui e sto già subendo danni fisici e mentali. La mia vista si sta affievolendo e il mio corpo è esausto, mentre il carcere mi costringe a parlare da sol*, vietandomi un contatto sufficiente con i compagni di detenzione a causa della mia identità queer, il cui unico scopo è punirmi e impedirmi di essere viv*», ha detto.
Diritti violati
Maja ha precisato che ancora oggi non ha potuto visionare tutto il materiale del fascicolo che contiene le accusa a suo carico e che gli atti, in ungherese, non sono stati tradotti. «Avrei dovuto prepararmi da solo mentre i miei avvocati venivano ripetutamente respinti al cancello della prigione», ha detto.
«Non sono di casa in questo paese, né sono riuscit* a imparare la sua lingua. Ma so cosa fa ai suoi cittadini. Mi è stato tolto tutto con l’obiettivo di distruggermi come persona politica. Ma ho ancora le parole che scrivo e parlo, e non smetterò di farlo finché sarò e penserò», ha affermato Maja T.
La reazione di Ilaria Salis
Ilaria Salis ha condiviso su Instagram il video dell’ingresso di Maja T. in tribunale, esprimendo vicinanza all’attivist* tedesc*. «Il cuore mi esplode di rabbia e dolore. Ma nemmeno di fronte a questo trattamento degradante e indegno la dignità di Maja si piega. Siamo tutte con te. La Germania, dopo averla estradata illegalmente, deve ora riportarla subito a casa», ha scritto Salis.
Il caso dell’antifascista Rexhino “Gino” Abazaj
Non solo Maja e Ilaria Salis, tra le decine di persone accusate dall’Ungheria di aver preso parte all’aggressione ai neonazisti a Budapest durante i giorni delle manifestazioni per il “Giorno dell’onore”, c’è anche Rexhino Abazaj, detto “Gino”. L’Ungheria ne chiede l’estradizione.
L’antifascista italo-albanese, 32 anni, dal 12 novembre detenuto nel carcere di Fresnes in Francia, dopo essere stato fermato con un mandato d’arresto europeo emesso dall’Ungheria, è in attesa della decisione di un tribunale francese sulla richiesta di estradizione. Il 12 febbraio si sarebbe dovuta tenere l’udienza in merito, che si è tramutata nel diniego dei domiciliari a Gino da parte dei giudici francesi, e in un rinvio al 12 marzo.
La corte francese aveva richiesto all’Ungheria delle «garanzie effettive» volte a «proteggere [Abazaj] e garantirne il diritto fondamentale a non essere sottomesso alla tortura, a delle pene o dei trattamenti inumani o degradanti», specificando il luogo e le «condizioni concrete di detenzione» nel paese, che sono arrivate solo in una piccola parte e per di più il giorno prima dell’udienza. Gino, che rischia fino a 16 anni di carcere, nega le accuse che gli sono rivolte.
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