Il 19 febbraio scorso Jeffrey Sachs ha tenuto una mirabile conferenza alla sede del Parlamento europeo, nella cornice dell’incontro “The Geopolitics of Peace”, seguita da una batteria di domande – e di risposte capaci di risvegliare il cuore di molti da questo sonnambulismo che sta spingendo l’Europa ad armarsi in ordine sparso e folle, alla guerra contro la Russia.
Vi prego, ascoltate quest’uomo che supplica l’Unione europea di darsi una politica estera indipendente e una difesa comune, certo, ma soprattutto una Costituzione – e la memoria di ciò per cui l’Unione era nata. Che l’invita ad aprire subito, in autonomia, un tavolo di negoziati di pace con la Russia, senza supplicare Trump di essere ammessa al suo commercio. Che vede nella spaventosa confusione fra Unione Europea e Nato, le quali di fatto hanno agito come fossero una cosa sola negli ultimi trent’anni, la tragedia peggiore della nostra storia. Che ripete con dolcezza, con anti-kissingeriana profondità d’amore per l’Europa dell’Est cui appartengono sua moglie, ceca, e i suoi figli e nipoti, la battuta di Kissinger: essere nemici degli Usa è pericoloso, ma esserne amici è fatale”.
Chi è Jeffrey Sachs? Molti lo sanno: economista e analista politico, già consigliere economico di Gorbaciov nel 1990 e 1991 e, prima, della Polonia, il primo paese a instaurare un governo non comunista nel 1989, poi di Leonid Kravchuk, presidente dell’Ucraina, nel 193-94; aiutò a introdurre e stabilizzare la nuova moneta dell’Estonia, fu consulente anche in ex Jugoslavia, Special Advisor all’Onu dai tempi di Khofi Annan e attualmente di Antonio Guterres, già direttore dello Earth Institute for Sustainable Development a Columbia University dove ancora insegna, autore fra l’altro del recente A New Foregn Policy – Beyond American Exceptionalism (2020). Già – qualcuno si chiederà – non era l’uomo che ha rovinato con politiche liberiste di austerità mezza Europa dell’Est oltre ad aprire la via agli oligarchi in Russia?
Nel libro, ma anche nella conferenza, si difende da queste accuse. Cito dal libro. Le misure per l’Unione sovietica prevedevano «una sorta di Piano Marshall che aiutasse Gorbaciov a ricostruire e ammodernare la sua economia in base a principi di mercato…L’Unione Sovietica avrebbe dovuto ricevere un cospicuo finanziamento….mentre attuava le sue riforme politiche e la democratizzazione. Il piano fu rapidamente bocciato dalla Casa Bianca nell’estate del ’91. Gorbaciov fece un fervente e dettagliato appello al G7 di Londra nel luglio del ’91. Quando l’appello fallì, tornò a casa e si trovò il tentato golpe in agosto». Eppure, alla Polonia tutto questo era stato concesso. «Alla Polonia, sì. Alla Russia, niet».
Ascoltate questo discorso, si trova facilmente in rete. Trentasei anni e più di esperienza diretta degli eventi si srotolano davanti a noi, da lasciarci increduli di fronte a questa testimonianza in prima persona dell’«oceano di ferocia e idiozia» (copyright Altiero Spinelli) che ha sommerso il lume acceso da Michail Gorbaciov, da lui definito «il più grande statista dei nostri tempi». Ed è di Gorbaciov l’idea dominante in questa lezione, quindi la cito direttamente dall’ultimo libro dello statista sconfitto, La posta in gioco (2020): «Nella politica mondiale odierna non c’è compito più importante e complicato di quello di ristabilire la fiducia fra la Russia e l’Occidente». E Gorbaciov intendeva in primo luogo l’Europa, che sognava una, libera e democratica da Lisbona a Vladivostock. Questa idea, Sachs l’aggiorna: «L’Occidente collettivo? Non esiste». E come dubitarne, ascoltando le memorie di quest’uomo che ha vissuto in prima persona le angosce e le speranze degli europei dell’Est e dei Paesi baltici. L’unipolarismo statunitense comincia nei primi anni ’90. Dick Cheney e altri ci credevano letteralmente: il mondo è degli US ormai e faremo quello che ci pare. Nel 1997 Brzezinski pubblica La grande scacchiera: il primato americano e i suoi imperativi geostrategici. Non un semplice libro, ma «la descrizione pubblica del progetto americano» per i trent’anni a venire. Brzezinski, «uomo gentile», non aveva capito niente. Credeva impossibile l’alleanza con altre potenze, da parte della Russia, che «ha solo vocazione europea». Per questo il piano era di bloccarla, questa vocazione. Lui «sapeva», come gli strateghi americani «che praticano la teoria dei giochi: non parli all’altra parte. Non ti informi, non discuti. Lo sai».
Chiavi del progetto erano la Georgia e l’Ucraina, ultima Thule dopo l’espansione a Est della Nato (e dell’Unione europea, come fosse la stessa cosa). Alla faccia dell’impegno preso con Gorbaciov in cambio della riunificazione tedesca, non un pollice a est di Berlino. D’altronde, tutto quello che gli Usa sanno dell’Europa viene dal Regno Unito, sorride Sachs. È ancora la dottrina di Lord Palmerston e della guerra di Crimea del 1853. Privare la Russia di status internazionale bloccando l’accesso al Mar Nero. «Da questo punto di vista, nulla cambia da Bush a Clinton a Obama a Trump1 a Biden. Ma è così anche in Kosovo e South Sudan. Progetti americani, non guerre tribali autoctone. Chiunque c’è stato l’ha visto. E lui c’è stato: perfino a Nairobi, più e più volte. E Israele? Risale al primo governo Netanyhau, 1996 la strategia anti-russa in Medio Oriente. Il progetto di annessione dei territori occupati è lì da 25 anni, lo trovate in rete col Clean Brake Report.
Nel 2002 sono gli Stati Uniti a uscire unilateralmente dal Trattato sulla riduzione dei missili balistici, e porre fine al framework per il controllo delle armi nucleari. Dopo l’allargamento alla Nato degli stati baltici e di altri quattro paesi, Romania Bulgaria Slovenia e Slovacchia, nel 2007, a Monaco, Putin dice basta. Ma nel 2008 gli Usa invitano ad entrare nelll’Alleanza atlantica Georgia e Ucraina. Nel 2014 Sachs vola in Ucraina: ascoltate i dati su quanto gli americani avevano pagato per il regime change ai danni di Janukovic. Nel 2022, quando pochi giorni dopo l’inizio dell’invasione russa si profila la possibilità di un negoziato, Sachs vola ad Ankara, per vedere con i propri occhi. È in contatto con i funzionari statunitensi e britannici, parla con tutte le parti. Non è per averlo sentito dire in giro, che ci spiega perché Zelensky abbandona unilateralmente il negoziato, a documento accettato da Putin e Lavrov. Boris Johnson aveva dichiarato in gioco l’egemonia occidentale. Forse un milione fra morti e mutilati di entrambe le parti, per questo.
Jeffrey Sachs si rivolge ai parlamentari europei. La limpidezza del suo pensiero ci rende nativa la lingua in cui lo esprime. Che qualcuno lo ascolti.
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