di Franco Torchia
Sono giorni molto difficili e pieni di tensione per le diplomazie europee ed occidentali.
Il ritorno di Trump ha messo in luce tutte le debolezze e divisioni dell’Unione europea.
La decisione del Presidente Usa di porre fine al conflitto in Ucraina ha dato una dura sferzata ai leader europei che sono ancora frastornati dalla rapidità e dai modi abbastanza grossolani e poco diplomatici di Trump.
Ma noi abbiamo sempre saputo che sarebbe successo per una serie di ragioni e l’abbiamo anche scritto più volte.
Primo, perché durante il suo precedente quadriennio Trump decise unilateralmente di abbandonare l’Afghanistan, senza averlo concordato con gli alleati, e di ritirare le truppe americane e della Nato (c’erano circa mille militari italiani) siglando una Pace con i talebani. La stessa cosa ha fatto in questi giorni telefonando a Putin e mandando una delegazione americana a Riad, in Arabia Saudita, per incontrare quella russa senza la presenza della Ucraina.
Secondo, perché le decisioni di questi giorni le aveva già annunciate durante la campagna elettorale.
In questi tre anni di guerra l’Unione europea è stata al traino delle decisioni americane anche quando si sono dovute emanare le sanzioni contro la Russia.
Da un anno è suonata la sveglia all’Europa ma si è fatto finta di niente ed oggi siamo rimasti con il cerino acceso e nessuno è in grado di sapere come bisogna spegnerlo.
Il problema vero è che la maggior parte degli europei speravano che i Democratici americani potessero vincere le elezioni per poter continuare con il solito gattopardismo dedito a comunicare che tutto cambia, nulla cambia.
Tutto però è andato diversamente !
Le elezioni le ha vinte Trump quasi a furor di popolo utilizzando vecchi slogan ripresi anche nella cerimonia di insediamento durante la quale ha parlato di nuova età dell’oro e minacciato di occupare la Groenlandia, di annettere il Canada e di riprendersi il canale della Manica.
A poche ore dal suo insediamento Trump ha firmato i primi decreti esplosivi revocando centinaia di provvedimenti della precedente Amministrazione, alcuni dei quali andranno ad impattare anche sulla politica estera americana.
In un solo mese, amoreggiando con Putin, è stato in grado di mettere in discussione gli equilibri internazionali, di spaccare l’Occidente, di maltrattare nella Sala Ovale il Presidente di un Paese che combatte per la libertà del suo popolo, di far saltare tutti i giochi e scoperchiare le ipocrisie della diplomazia.
I vertici internazionali di questi giorni e l’iniziativa della Gran Bretagna stanno dipingendo una nuova realtà politica continentale nella quale molti dei leader sono in una situazione di estrema debolezza compreso il francese Macron.
Era chiaro che, proponendosi di fermare la guerra, Trump non avrebbe più potuto inviare armi o aiuti finanziari a Kiev con la conseguenza che, nel giro di poco tempo, l’Ucraina avrebbe finito con il soccombere alla Russia.
Era nell’ordine delle cose !
L’Unione europea sembrava non essersene accorta e Trump ha sempre detto chiaramente che per lui contava soltanto il benessere dell’America e che si sarebbe anche ritirato dalla Nato lasciando la difesa del vecchio continente esclusivamente agli europei.
Abbiamo sempre fatto finta di niente come su nulla stesse accadendo.
Il resto è cronaca di questi giorni.
La temperatura è continuata a raffreddarsi prima durante l’incontro con Macron e poi con il Segretario di Stato Rubbio che ha fatto uno sfregio all’Alto rappresentante UE per la politica estera Kallas, molto critica verso la Russia, rifiutandosi di riceverla dopo averle fissato l’appuntamento. Quest’ultimo atto è stato chiaramente un forte segnale a Mosca.
L’agguato a Zelensky di fronte alle telecamere di tutto il mondo, cacciato in malo modo dalla Casa Bianca è stato un episodio raccapricciante che è stato chiaramente orchestrato per accontentare l’amico Putin e sbattere in faccia agli europei la sua determinazione per far cessare le ostilità alle sue condizioni.
Il vertice di Londra di tre giorni fa ha deciso per un immediato cessate il fuoco e convinto Zelensky a riallacciare i rapporti con Trump accettando le condizioni dettate dagli Usa per poter negoziare la pace con la Russia.
Durante il vertice si è preso atto delle ostilità del Presidente Usa nei confronti dell’Europa costretta da un sano realismo ad ammettere, con un bagno di umiltà, che la sicurezza dell’Ucraina e dell’intero continente non può realizzarsi senza la garanzia militare e finanziaria degli Stati Uniti.
Nel suo primo discorso al Congresso di stanotte Trump ha confermato la sua politica irruente per realizzare il “sogno americano”, la volontà di prendersi la Groenlandia, la guerra dei dazi, l’astio contro l’Europa per aver dato più soldi alla Russia per comprare gas e per aver “derubato” gli Usa.
E’ emersa quindi una situazione senza precedenti ed in tutta la sua drammaticità.
Non più quindi una semplice sveglia ma un vero e proprio terremoto capace di minare le fondamenta della civiltà occidentale.
Con il suo comportamento Trump ci ha messo davanti alla cruda realtà: difendersi o morire.
Forse sarebbe anche il caso di ringraziarlo per averci informato delle sue intenzioni!
I leader europei sono stati fulminati sulla via di Washington, dopo aver vissuto per decenni in un candido torpore presi come erano più da problemi politici interni e di sopravvivenza che dagli impegni derivanti dal ruolo di Capi di governo al servizio del popolo e delle generazioni future.
E ieri la Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen con un impeto di orgoglio europeo ha lanciato il ReaArm Europe, un piano di riarmo dell’unione europea di 800 miliardi di euro sul modello del NextGenerationEu.
Al di là delle polemiche strumentali dei pacifisti ad oltranza e dei politici che vogliono la difesa comune ma non il riarmo, come se la difesa si potesse fare con le noccioline, possiamo essere soddisfatti di questa decisione.
Forse se il momento non fosse grave, non sarebbe mai giunta l’ora di dare applicazione concreta a gran parte dei principi fondanti dell’Unione europea, una volta erano chiamati pilastri, fissati nei Trattati.
Il più importante oggi diventa proprio la politica di difesa comune.
Ricordiamo che già nel primo dopoguerra furono fatti i primi tentativi per istituire una politica di sicurezza e difesa comune e proposta una Comunità europea di difesa ma con la nascita della Nato ogni idea fu abbandonata e quello fu il più grande sbaglio commesso allora. Forse la guerra fredda sarebbe finita prima, la Nato non si sarebbe allargata ai confini della Russia e questa non si sarebbe sentita minacciata e forse anche il sogno di Gorbaciov di una casa comune europea si sarebbe avverato.
La Politica estera e di sicurezza comune è il secondo pilastro dell’Unione europea.
Oggi questo obiettivo diventa inderogabile.
Bisogna soltanto ritrovare la via maestra per trasformare la grande babele sostenuta dalla imponente ed inefficiente macchina burocratica che vive a Bruxelles nella Unione politica e culturale preconizzata nel Manifesto di Ventotene e nella Unione dei popoli auspicata prima ancora da Giuseppe Mazzini.
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