Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 5841 del 05 marzo 2025, si sono pronunciate sulla prima delle questioni proposte dalla fattispecie del mutuo solutorio.
Si ricorda che della questione oggetto della pronuncia in commento se ne discuterà ampiamente nel nostro prossimo webinar del 03 aprile 2025, “Il contratto di mutuo come “titolo del credito” e come titolo esecutivo – Le problematiche in sede esecutiva e nelle procedure di composizione della crisi”.
In particolare le SU hanno riconosciuto gli estremi della sussistenza della consegna per il caso in cui il mutuo avvenga a consolidamento di un finanziamento pregresso.
Come chiarisce il numero 14 della sentenza resta invece impregiudicata la questione se possa ritenersi rispettato il precetto del titolo esecutivo (art. 474 cpc) nell’ipotesi in cui la somma così “consegnata” sia stata immediatamente ripresa dalla banca e posta in deposito cauzionale ovvero in pegno irregolare.
Su questa seconda fattispecie si attende tuttora la decisione delle Sezioni Unite che non dovrebbe tardare visto che anche questa seconda fattispecie è stata esaminata nell’udienza del 18 febbraio scorso.
Con la presente sentenza, le Sezioni Unite hanno statuito il seguente principio di diritto:
«Il perfezionamento del contratto di mutuo, con la conseguente nascita dell’obbligo di restituzione a carico del mutuatario, si verifica nel momento in cui la somma mutuata, ancorché non consegnata materialmente, sia posta nella disponibilità giuridica del mutuatario medesimo, attraverso l’accredito su conto corrente, non rilevando in contrario che le somme stesse siano immediatamente destinate a ripianare pregresse esposizioni debitorie nei confronti della banca mutuante, costituendo tale destinazione frutto di atti dispositivi comunque distinti ed estranei alla fattispecie contrattuale. Anche ove si verifichi tale destinazione, il contratto di mutuo (c.d. mutuo solutorio), in presenza dei requisiti previsti dall’art. 474 cod. proc. civ., costituisce valido titolo esecutivo».
Le Sezioni Unite, dopo aver passato in rassegna gli opposti orientamenti, e rispondendo quindi positivamente al quesito sulla validità quale titolo esecutivo del mutuo solutorio, danno continuità all’indirizzo maggioritario.
Sul concetto di disponibilità giuridica delle somme nel mutuo solutorio
Preliminarmente, ricordano che il mutuo è un contratto reale, che si perfeziona, cioè, con la consegna (traditio) della cosa data a mutuo (res), la quale però, per essere tale, deve essere idonea a consentire il conseguimento della “disponibilità giuridica” della res da parte del mutuatario, per effetto della creazione, da parte del mutuante, di un autonomo titolo di disponibilità, tale da determinare l’uscita della somma dal proprio patrimonio e l’acquisizione della medesima al patrimonio della controparte, a prescindere da ogni successiva manifestazione di volontà del mutuante: non è necessaria la consegna materiale, ma è sufficiente che la res sia messa nella “disponibilità giuridica” del mutuatario.
Ed è proprio sul concetto di “disponibilità giuridica” delle somme erogate a titolo di mutuo che si concentra il problema giuridico nel caso del mutuo solutorio: è dall’immediata riappropriazione da parte della banca delle somme mutuate (carattere distintivo dell’operazione) che si origina infatti il dubbio se possa dirsi realizzata la messa a disposizione della somma mutuata, presupposto indispensabile della stessa qualificazione dell’operazione alla stregua di mutuo.
Per le Sezioni Unite, tuttavia, se di riappropriazione si tratta, ciò si postula che le somme siano prima transitate sul conto o, comunque, nella “disponibilità giuridica” del mutuatario.
È certo poi, prosegue la Corte, che l’accredito sul conto di per sé in altro non consiste se non in una operazione contabile, ma ciò non autorizza a “svalutare tale nozione come sinonimo di operazione fittizia o apparente“: con l’accredito delle somme sul conto corrente, il contratto di mutuo è da intendersi perfettamente concluso e la disponibilità giuridica della somma effettivamente conseguita; e ciò a prescindere dal successivo impiego delle somme, la cui destinazione è manifestazione di un differente interesse che sorregge un atto ulteriore, autonomo benché ovviamente dipendente dal primo, in quanto proprio dal primo reso possibile.
Pertanto, per le Sezioni Unite, “il sintagma mutuo solutorio non definisc[e] una figura contrattuale atipica, né diversa dal contratto tipico di mutuo. Esso ha piuttosto una valenza meramente descrittiva di un particolare utilizzo del mutuo.”
Se il mutuo solutorio costituisce una mutuo di scopo: la risposta delle Sezioni Unite
Per le Sezioni Unite il mutuo solutorio non è un mutuo di scopo: nel mutuo di scopo una parte si obbliga a fornire le risorse economiche necessarie per il conseguimento di una finalità legislativamente prevista o convenzionalmente pattuita ad un’altra parte, che si impegna non solo a restituire l’importo ricevuto, ma anche a svolgere le attività necessarie per il raggiungimento dello scopo.
In tal caso, nel mutuo di scopo, l’impegno assunto dal mutuatario si inserisce nel sinallagma contrattuale assumendo rilevanza sotto il profilo causale.
Nel mutuo solutorio, invece, l’uso della somma non attiene al momento genetico del contratto di mutuo e non ne caratterizza la causa, ma, quale elemento logicamente successivo, si colloca interamente su di un piano ulteriore e distinto: “ciò non sempre né necessariamente in senso cronologico, ma certamente in senso logico e giuridico, dal momento che proprio la disponibilità giuridica delle poste attive sul conto corrente consente l’imputazione giuridica ed economica dei movimenti contabili successivi“.
Non vi sono pertanto ragioni che possano giustificare, per le Sezioni Unite, la stigmatizzazione del mutuo solutorio in termini di nullità negoziale: la destinazione, ancorché immediata, delle somme mutuate ad estinzione di esposizioni pregresse, non presenta di per sé carattere di intrinseca illegittimità, essendo anzi espressione di un principio di ordine pubblico, e risultando peraltro tipizzata dal legislatore per alcune figure di finanziamento.
Sul mutuo solutorio quale atto in frode ai creditori: i chiarimenti delle Sezioni Unite
Le Sezioni Unite ricordano che certamente, in concreto, il mutuo solutorio può mascherare un atto in frode ai creditori o un mezzo anomalo di pagamento, ma per la Corte “tale finalizzazione dell’operazione rileva però sotto il profilo dell’inefficacia (revocatoria ordinaria o fallimentare), non dell’invalidità, non verificandosi alcuna violazione di norme imperative: gli atti negoziali pregiudizievoli nei confronti dei terzi (per abusiva erogazione del credito o in frode ai creditori) non sono illeciti né nulli, ferma restando la tutela risarcitoria nei casi di colpevole concorso dell’ente mutuante nel dissesto del cliente finanziato“.
Infatti, un conto è la qualificazione anche solo astratta dell’operazione negoziale e, quindi, il giudizio sulla validità di quest’ultima, altra cosa è l’abuso che di un istituto le parti possono farne, al fine di ledere la par condicio creditorum: a ciò si rimedia non tramite una tutela reale, che elimini dalla realtà giuridica, attraverso la sanzione della nullità, il contratto, ma attraverso ulteriori strumenti garantiti dall’ordinamento, come la revocabilità del pagamento, o l’inefficacia delle garanzie abusivamente concesse.
La Corte analizza poi la specifica questione della stipulazione di un contratto di mutuo con la contestuale concessione d’ipoteca sui beni del mutuatario, che però non risulti destinata a procurare a quest’ultimo un’effettiva disponibilità delle somme, essendo egli già debitore in virtù di un pregresso rapporto obbligatorio con la stessa banca, non assistito però da garanzia reale: in tal caso, per le Sezioni Unite, tale operazione è revocabile, in presenza dei relativi presupposti, in quanto diretta (i) ad estinguere con mezzi anormali la precedente obbligazione e (ii) a costituire una garanzia per il debito preesistente, per cui il vantaggio conseguito dalla banca non è nella stipulazione del negozio in sé, ma nell‘impiego del contratto di mutuo solutorio per la ristrutturazione di un passivo almeno in parte diverso.
Se il mutuo solutorio è anche un mutuo fondiario
Qualora il mutuo solutorio contratto sia fondiario, la sua finalizzazione al ripianamento di debiti pregressi non può in ogni caso per le Sezioni Unite configurare causa di nullità del contratto per mancanza di causa o la sua risoluzione per inadempimento.
Anche per il mutuo fondiario – che, ricorda la Corte, si caratterizza per la concessione da parte delle banche di un finanziamento garantito da ipoteca di primo grado su un bene immobile, con un limite di finanziabilità fissato all’80% del valore degli immobili offerti in garanzia – lo scopo del finanziamento esula dalla causa del contratto, rappresentata, al contrario, dall’immediata disponibilità di denaro, a fronte della concessione di una garanzia immobiliare ipotecaria, e dall’obbligo di restituzione della somma erogata.
Anche in questo caso, per la Corte il mutuo fondiario contratto non è un mutuo di scopo, poiché non impone una specifica destinazione del finanziamento concesso, né vincola il mutuatario al conseguimento di una determinata finalità e l’istituto mutuante al controllo dell’utilizzazione della somma erogata; bensì si qualifica nella specificità in funzione della possibilità di prestazione, da parte del mutuatario che sia proprietario di immobili, di garanzia ipotecaria.
Conclusivamente, le Sezioni Unite ribadiscono l’indirizzo maggioritario, per cui la destinazione delle somme mutuate al ripianamento di pregresse esposizioni, ancorché immediato e realizzato attraverso una mera operazione contabile “di giro”, non toglie, ma presuppone, che il mutuo si sia perfezionato con l’accredito delle somme sul conto corrente: pertanto, il contratto nella ricorrenza dei requisiti di cui all’art. 474 C.p.c., costituisce valido titolo esecutivo.
Mutuo solutorio e mancanza di consenso dei correntisti all’operazione “di giro” automatica
Pur precisando che trattasi di verifica in fatto, quella relativa alla circostanza se effettivamente il consenso non fosse stato prestato dai correntisti (circostanza negata nel caso di specie dalla sentenza impugnata), le Sezioni Unite rispondono altresì alla questione se sia corretto ritenere che il ripianamento delle precedenti passività soddisfi il requisito della disponibilità giuridica della somma a favore del mutuatario, anche nel caso in cui tale ripianamento sia eseguito dalla banca autonomamente e immediatamente con operazione di giroconto, senza il consenso dei correntisti.
La Corte ricorda che la movimentazione in uscita di somme dal conto corrente bancario operata in assenza di disposizioni in tal senso dell’intestatario, è una “condotta illecita aggredibile, se del caso, dall’interessato, in sé e per sé, con i rimedi restitutori e/o risarcitori appropriati (fermo restando che di contro occorrerebbe anche considerare il venir meno dell’effetto estintivo delle pregresse esposizioni e l’insorgere dell’obbligo di restituire comunque le somme messe a disposizione), ma resta pur sempre fatto distinto dal mutuo e dalla erogazione delle somme che lo ha perfezionato attraverso l’accredito; l’eventuale illiceità di quell’atto non può valere a elidere la realtà effettuale del fatto che lo precede, vale a dire l’accredito e la disponibilità giuridica delle somme che con esso si determina.”
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