Meloni e le domande al Mef su dettagli e condizioni delle spese militari: l’Italia potrebbe arrivare a 50 miliardi di euro

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di
Marco Galluzzo

Le domande al Mef e a Bruxelles. Oggi il Consiglio Ue

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Mentre il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti avanza riserve molto critiche verso Bruxelles, verso il piano, giudicato «frettoloso», di riarmo che in queste ore la Commissione diretta da Ursula von der Leyen sta definendo, e che oggi in Consiglio illustrerà ai 27 Stati membri, Giorgia Meloni ha chiesto una scheda e delle proiezioni al Mef proprio sui vari scenari di un’accelerazione sulle spese militari che avrebbero un via libera da parte delle autorità comunitarie.

Anche senza entrare nei particolari delle interlocuzioni delle ultime ore fra Mef e Palazzo Chigi, già il fatto che ci sia uno scambio di dati e calcoli significa che nel governo si è accesa un’attenzione sui dettagli e sui risvolti, non solo finanziari, delle risorse di cui potrebbe godere l’Italia in un spettro di investimenti per la Difesa tanto ampio quanto al momento pieno di interrogativi.




















































Le cifre dicono infatti che Roma potrebbe arrivare ad avere risorse fresche sino a 50 miliardi di euro, nei prossimi mesi, per una serie di investimenti produttivi ampi, dalla ricostituzione degli stock di armi prosciugati dagli aiuti all’Ucraina all’acquisto diretto sul mercato di capacità militari che possono essere girate a Kiev, sino all’opzione di rafforzare il nostro sistema di Difesa, con la possibilità di progettare consorzi industriali per colmare i gap strategici (in termini di intelligence, sorveglianza aerea, logistica, artiglieria e mezzi terrestri e marini) accumulati negli anni. Restano però al momento dei dubbi sui perimetri, sulla cornice finanziaria e sugli obiettivi reali consentiti da Bruxelles.

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La prudenza di Meloni, in queste ore, in cui non ha ancora ufficialmente commentato l’accelerazione della Commissione, si deve dunque non solo a ragioni di politica interna. Se Matteo Salvini, che ieri ha ricevuto un sostegno politico, più che tecnico dal ministro dell’Economia del suo partito, in una riunione della Lega, continua a battere contro il progetto di riarmo Ue, a Palazzo Chigi si restituisce in primo luogo la soddisfazione della premier per lo scatto europeo. Sono misure e tecnicalità che l’Italia chiede da anni, investimenti per cui ci battiamo da decenni, almeno se guardiamo allo scorporo delle spese militari dal Patto di Stabilità, quindi il giudizio del governo nel complesso non può che essere positivo. Soprattutto nella cornice dei rapporti con Washington, di cui Meloni è ben consapevole: nella telefonata di sabato con Donald Trump, Meloni ha trovato, rispetto ai suoi tentativi diplomatici, la chiusura del presidente Usa, sia sull’allargamento all’Ucraina dell’ombrello della Nato, almeno dell’articolo 5, sia sulla possibilità di convocare un vertice Europa-Usa.

Quindi, gli investimenti servono, ma esiste anche una cautela, che è quella che passa in queste ore negli scambi fra Palazzo Chigi e Mef. In primo luogo Meloni ha bisogno di avere risposte, e oggi a Bruxelles in parte arriveranno, su molti dettagli tecnici, finanziari e non solo. L’Europa ci consente di spendere, ma a quali condizioni? È la prima domanda. Sul lato finanziario, poi, la cautela di Meloni è legata ai piani di rientro, trattandosi alla fine di prestiti, capacità finanziarie che andranno comunque restituite per non gravare sul debito pubblico italiano: in quanti anni il piano di rientro sarà definito? Domande che a Palazzo Chigi ancora non hanno risposta.

Seconda cautela e forse anche perplessità di Meloni: cosa possiamo fare con tutto questo denaro? Che cosa possiamo comprare? Un conto che si tratti solo di investimenti produttivi, dunque acquistare armi o colmare gap industriali, ma pagare gli stipendi per farlo potrebbe essere escluso. Sembrano sottigliezze, ma a Palazzo Chigi serve una chiarezza precisa, che probabilmente emergerà in parte oggi, e in altra parte nel Consiglio del 20 marzo. Sono tutti interrogativi che in Italia hanno un peso maggiore rispetto ad altri Stati della Ue, almeno rispetto alla mole del nostro debito pubblico.

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6 marzo 2025 ( modifica il 6 marzo 2025 | 08:11)

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