Il leader della Lega trumpeggia e attacca l’Ue per il piano di riarmo (e non solo). Il ministro degli Esteri ribatte: “Noi a favore di ReArm. La linea la do io e la premier. Poi ognuno pensi quello che vuole”. Oggi il Consiglio europeo
Mentre nell’aula dei gruppi parlamentari della Camera Matteo Salvini torna a trumpeggiare, attaccando “l’idiozia” di Bruxelles e il piano di riarmo europeo, praticamente negli stessi istanti e a pochi metri di distanza, l’altro vicepremier Antonio Tajani è incalzato dai cronisti in Transatlantico. E ribatte: “La linea la dà la premier e il ministro degli Esteri. Siamo favorevoli alla proposta di von der Leyen”. Tensioni e turbolenze nel governo, mentre Giorgia Meloni vola oggi a Bruxelles per il Consiglio europeo.
Sul tavolo la premier troverà ReArm Europe, il piano da 800 miliardi di euro proposto dalla presidente della Commissione europea per aumentare le capacità di Difesa dei 27 paesi Ue. Martedì sera Meloni aveva riunito a Palazzo Chigi i suoi vice in vista di un passaggio europeo che, tra Donald Trump e Ucraina, potrebbe essere cruciale. Ma se l’obiettivo della presidente del Consiglio era quello di placare, o almeno nascondere, i dissidi interni alla sua maggioranza quando si parla di politica estera, la strada da fare è ancora molta. E se ne riparlerà al suo ritorno dal vertice europeo.
Perché intanto la giornata di ieri ha fatto emergere plasticamente, un’altra volta, tutte le differenze tra il leader di Lega e Forza Italia. Punti di vista che per molti versi appaiono inconciliabili. Salvini, per esempio, spiega che Trump è “un’opportunità. Lo dico senza servilismo né tifoseria”. Ma soprattutto, aggiunge nel corso del convegno organizzato dalla Lega dal titolo “Interesse nazionali e scenari globali”, che “l’Italia deve avere paura dell’idiozia di alcuni che comandano in Europa, non dei dazi degli Stati Uniti”. Per il leader leghista l’Ue dovrebbe tornare a essere “una comunità di eguali, come era la Comunità economica europea”. Prima ancora, per denunciare nuovamente la deriva bellicista, aveva detto anche che “l’interesse nazionale non è fare alcune decine di miliardi di debito per andare a comprare all’estero nuovi armamenti”. Ed è perplesso, in questo senso, anche il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti che dice no a un piano “fatto in fretta e furia senza una logica”.
Prese di posizione che di lì a poco spingeranno Tajani (anche lui oggi a Bruxelles per un vertice Ppe e per incontrare von der Leyen) a chiarire: “Se questo governo non fosse europeista, e filoeuropeo, io non ne farei parte. La linea la diamo io e la presidente del Consiglio. Poi ognuno pensi quello che vuole”. Tiè. Il ministro degli Esteri – che ieri a Milano ha partecipato alla prima tappa della conferenza per la ricostruzione dell’Ucraina, prima di tornare a Roma per un question time – ha quindi confermato il sostegno al piano von der Leyen, che non significa essere guerrafondai, ma vuol dire rafforzare la sicurezza e pure la Nato: “Siamo favorevoli alla Difesa europea, il sogno di De Gasperi e Berlusconi. L’abbiamo sempre detto. Il quadro proposto dalla presidente della Commissione va bene, poi vedremo l’applicazione pratica, domani si discuterà anche di questo”.
E probabilmente toccherà parlarne anche a Giorgia Meloni che per il momento continua a mantenere una posizione di attesa tra Europa, Stati Uniti e Ucraina. La premier fino a ieri sera non si era espressa pubblicamente nemmeno sul piano europeo per il riarmo (dovrebbe comunque appoggiarlo, con qualche riserva), lasciando le uniche battute ai suoi colonnelli brussellesi, Fidanza e Procaccini, i quali salutavano di buon grado lo scorporo delle spese militari dal Patto di stabilità, rimandando tuttavia ogni giudizio di merito a quando “le misure saranno presentate”.
Questione di ore ormai, ma intanto per Meloni lo scontro tra vicepremier ha il vantaggio di mettere in secondo piano, almeno per un pomeriggio, le sue ambiguità euro-atlantiche. Un impasse che Meloni ha mantenuto anche dopo lo scontro alla Casa Bianca fra Trump e Zelensky, invocando l’unità dell’occidente, ma che presto o tardi comunque andrà chiarita. E permetterà forse di trovare una complicata sintesi tra i rivali di governo sull’Europa. Missione difficile, ma non impossibile.
Almeno su un punto Salvini e Tajani sono d’accordo, ed è l’aspetto lessicale, il marketing. Entrambi infatti ritengono che ReArm non sia proprio la denominazione più adeguata di questi tempi. “Fino all’altro giorno non si poteva investire un euro in più per sanità e pensioni, ora invece si può fare senza indebitarsi? Una scelta sbagliata a partire dal nome”, dice Salvini. Il piano di riarmo? “Lo chiamerei Piano per la sicurezza europea”, risponde Tajani. Poteva andare (ancora) peggio.
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