“Il Nibbio” nelle sale cinematografiche

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Nicola Calipari tornava da Dubai, dove aveva agganciato un imprenditore sunnita iracheno che si proponeva come mediatore nel sequestro di Giuliana Sgrena. Di ritorno a Roma, al direttore dei servizi segreti (Sismi), il responsabile delle operazioni per la liberazione degli ostaggi italiani propone la sua strategia: “Gli americani hanno affidato l’Iraq agli sciiti. Noi dobbiamo portare a casa Giuliana Sgrena (la giornalista del “manifesto” sequestrata), concedendo alla minoranza sunnita, il 35% della popolazione, oltre che i soldi del riscatto, la possibilità di spiegare le loro ragioni all’opinione pubblica attraverso convegni, interviste, manifestazioni. Diamo un passaporto al nostro interlocutore”. Il direttore dei servizi, Nicolò Pollari, appoggia Calipari, bocciando l’opzione suggerita da un altro dirigente, quella di tentare di individuare il “carcere” in cui era detenuta la giornalista per liberarla con un blitz. Esce nelle sale cinematografiche Il Nibbio (nome in codice di Nicola Calipari). Non è solo un bel film d’azione, è soprattutto un racconto fedele, la ricostruzione di quegli sconvolgenti giorni, a partire dal 4 febbraio del 2005, quando in una moschea di Bagdad venne sequestrata la giornalista, per finire al 4 marzo, quando la liberazione dell’ostaggio si concluse con la morte di Calipari, ucciso a un posto di blocco americano a meno di un chilometro dall’aeroporto.

Il giovane regista, Alessandro Tonda, riesce a dare un ritmo incalzante alla narrazione degli avvenimenti, mettendo in luce anche quello che allora non emerse così chiaramente. E cioè lo scontro all’interno dei servizi, e nel rapporto tra i nostri apparati e gli americani. Bravi gli attori. A partire da Claudio Santamaria, che riesce a mettere in luce l’umanità, la mitezza, l’essere un fedele servitore dello Stato di Nicola Calipari. Impeccabili le recitazioni di Sonia Bergamasco nel ruolo di Giuliana Sgrena, e di Anna Ferzetti, che interpreta Rosa Villecco, la moglie di Nicola. Brava anche la giovanissima Beatrice De Mei, nel ruolo della figlia diciottenne, che tiene testa al padre quando rivendica la sua partecipazione alla manifestazione per la liberazione della giornalista del “manifesto”.

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Morì da eroe, Nicola Calipari, proteggendo con il suo corpo Giuliana Sgrena appena liberata, mentre in auto andavano in aeroporto per tornare in Italia. E il capo dello Stato, Carlo Azeglio Ciampi, gli conferì una medaglia d’oro al valore militare. Tutto questo è ricostruito con fedeltà nel film. Nessuna concessione né forzatura narrativa.

Alcuni commenti, che si possono già leggere sui social, esprimono delusione perché Il Nibbio avrebbe dovuto avere un maggiore spessore storico-politico. Gli spettatori esprimeranno le loro valutazioni. Certo è che il film prende le distanze dagli americani. La scena del colloquio in macchina tra Calipari e due uomini della Cia è molto chiara: gli americani spiegano che hanno individuato il covo in cui era detenuta Giuliana Sgrena, Nicola Calipari chiede loro di rinunciare al blitz perché aveva aperto un canale con i sequestratori. Il blitz ci fu ma fallì, mettendo in pericolo la vita dell’ostaggio italiano.

Il film, che ha avuto la sponsorizzazione del governo Meloni e della nostra intelligence, mette in luce anche le divergenze interne ai nostri apparati di informazione. Quando la trattativa faticosamente stava decollando, un dirigente del Sismi cercava di aprire un canale parallelo di trattativa attraverso la Croce Rossa, che già aveva avuto un ruolo nella liberazione delle due cooperanti, Simona Pari e Simona Torretta, sequestrate il 7 novembre del 2004 a Bagdad e liberate tre settimane dopo, grazie alle cure mediche prestate ad alcuni “terroristi”.

Si potrebbe discutere della “doppiezza” dell’intelligence. Quelli erano gli anni del governo di Silvio Berlusconi. C’era Nicola Calipari che garantiva un’altissima professionalità e capacità di lettura degli avvenimenti. Ma due anni prima lo stesso Sismi di Nicolò Pollari coprì la Cia nel sequestro a Milano (17 febbraio 2003) dell’imam egiziano Abu Omar. Quando i procuratori milanesi Pomarici e Spataro iniziarono a indagare sul sequestro di Abu Omar, il Sismi aprì un anomalo rapporto con alcuni giornalisti per cercare di neutralizzare l’inchiesta giudiziaria.

A distanza di vent’anni i colpevoli della morte di Calipari non sono stati né processati né condannati. Il soldato ispanoamericano Mario Lozano, che aprì il fuoco in quel maledetto posto di blocco vicino all’aeroporto uccidendolo, è libero. Una commissione d’inchiesta italo-statunitense si concluse con due relazioni diverse. A vent’anni di distanza resta un mistero perché quel posto di blocco, che doveva essere garantito durante soli trenta minuti, per il passaggio dell’ambasciatore americano John Negroponte, si sia protratto per tre ore. L’ambasciatore arrivò in aeroporto in elicottero. Nessuno avvisò i militari del cambio di programma.



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