Favorito a sorpresa – Catherine Shoard

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Anora è ufficialmente il film dell’anno. Dopo aver vinto la Palma d’oro a Cannes a maggio, il lungometraggio scritto, diretto, montato e prodotto da Sean Baker ha trionfato anche in occasione della cerimonia degli Oscar. Un percorso verso la gloria come questo è estremamente raro, oltre che lungo. Parasite ci era riuscito cinque anni fa, e in precedenza l’ultimo film a ricevere entrambi i premi era stato Marty. Vita di un timido, nel 1955. Dieci anni prima ce l’aveva fatta anche Giorni perduti di Billy Wilder, ma all’epoca il premio più importante a Cannes era il Grand prix, ed era stato condiviso con altri dieci film.

Evidentemente si tratta di un club piuttosto esclusivo. Acquisito dalla casa di produzione e distribuzione indipendente Neon prima di Cannes, Anora è uscito nei cinema francesi a ottobre.

Metà dei suoi incassi è arrivata dai botteghini statunitensi, mentre il resto proviene soprattutto dall’Europa, Francia in testa (i francesi, si sa, prendono molto sul serio il loro più importate festival cinematografico).

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Anche in Russia Anora sta ottenendo un certo successo (finora ha incassato tre milioni di dollari), cosa che non si può dire degli altri film nominati per gli Oscar. Si tratta, evidentemente, di un riconoscimento per il modo accurato e affettuoso con cui Baker ha descritto Little Odessa, il quartiere russo di New York dove comincia la storia dell’assurdo matrimonio tra la spogliarellista e il figlio viziato di un oligarca russo.

Anora

(Universal Pictures)

Finora il film ha incassato globalmente sei volte di più dei costi di produzione, e nonostante sia facilmente reperibile in streaming il ritorno nelle sale dopo la vittoria dell’Oscar come miglior film promette altri ottimi incassi. In un primo momento nessuno pensava che Anora potesse arrivare a tanto. Dalla prospettiva di Hollywood, infatti, la Palma d’oro è un simbolo di un cinema lontano dal mainstream, mentre Baker – autore di film come Tangerine, il racconto tragicomico della vita di una prostituta transgender, e di Un sogno chiamato Florida, commedia su una bambina che vive in uno squallido motel – non è esattamente un campione del politicamente corretto.

E invece, mentre i rivali uscivano di scena tra difetti e scandali e le fondamenta dell’annunciato dominio di The brutalist cominciavano a scricchiolare, Anora è emerso come favorito per il premio di miglior film, soprattutto dopo aver ottenuto tre guild awards (ovvero i premi assegnati dalle associazioni di produttori, scrittori e registi, mentre non ha vinto nessuno dei premi assegnati dagli attori). L’ultimo film che nonostante la “tripletta” dei guild award non riuscì poi a conquistare l’Oscar come miglior film è stato I segreti di Brokeback mountain, sconfitto da Crash di Paul Haggis.

Come si poteva immaginare, subito dopo sono arrivati gli Independent spirit award (gli “Oscar” del cinema indipendente). Più inatteso è stato il successo ai Bafta, dove Anora ha vinto il premio per il casting e quello a Mikey Madison come migliore attrice. A quel punto The Hollywood Reporter dava al film di Baker il 52 per cento di possibilità di vittoria, con buona pace di The brutalist e di Conclave.

Forse Parasite è la pietra di paragone più utile per comprendere la vittoria di Anora. La Neon, infatti, ha adottato una strategia di promozione simile per entrambi i film: presentazione a Cannes per creare una forte aspettativa durante l’estate e poi un lancio autunnale lento che ha sfruttato il passaparola. Sia Anora sia Parasite hanno uno stile avvincente e una capacità di oltrepassare i generi che entusiasmano lo spettatore: entrambi sono solidamente ancorati al presente e spiccano in un panorama di film “da Oscar” costantemente rivolti al passato (il principale rivale di Parasite era 1917).

Come il film di Bong Joon-ho, anche Anora ha sfruttato una pianificazione intelligente e alcuni colpi di fortuna. Il film di Baker ha assunto lo status di favorito quando era troppo tardi per trovare un avversario credibile. Inoltre Anora è riuscito a evitare le critiche (fatta eccezione per qualche sopracciglio alzato a causa della presunta assenza di intimacy coordinator) mentre i film concorrenti sono affondati tra le polemiche sull’intelligenza artificiale (The brutalist) e su pessimi tweet ripescati dal passato (Emilia Pérez).

Ma forse stiamo complicando troppo le cose. In fondo è possibile che la risposta sia semplice: Anora è il film che è piaciuto di più al maggior numero dei bizzarri ed eterogenei componenti dell’Academy, dai tradizionalisti agli amanti del cinema internazionale più raffinato e quello che gli ha suscitato più emozioni. Dopo tutto è stato costantemente tra i film più apprezzati nelle votazioni anonime, diversamente dall’impegnativo e monolitico The brutalist, come anche da Conclave, con quel suo colpo di scena finale molto particolare.

Questa evoluzione sembra del tutto appropriata. Baker, infatti, si è soffermato lungamente nei suoi (molti) discorsi durante la stagione dei premi sull’importanza dell’esperienza cinematografica, quasi suggerendo che un voto per Anora sarebbe stato un voto per il grande schermo, in un’epoca in cui la tradizione del cinema rischia di scomparire (The brutalist ha provato lo stesso trucco, ma ha pagato la decisione del regista Brady Corbet di usare il palcoscenico più importante – il discorso ai Golden Globe – per dilungarsi su un tema decisamente di nicchia come le dispute sul montaggio). Baker, invece, ha creato un movimento di amanti del cinema decisi a sostenere un film apparentemente sfavorito, oltre che il mezzo cinematografico in sé.

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Seguite il vostro cuore, recita la scaltra frase simbolo del film. A quanto pare è proprio quello che ha fatto la maggioranza dei votanti dell’Academy. ◆ as

◆ Durante la notte degli Oscar i riferimenti alla politica sono stati quasi assenti. A parte alcune allusioni, il presentatore Conan O’Brien ha tenuto Washington a debita distanza. Daryl Hannah, sul palco per consegnare un premio, ha esordito con le parole slava Ukraïni (gloria all’Ucraina); Zoe Saldaña ha ricordato di essere “la figlia orgogliosa di genitori immigrati”; e poi il momento politico più forte con la vittoria del documentario israeliano-palestinese No other land. Yuval Abraham, uno degli autori, auspicando una soluzione del conflitto in Medio Oriente che dia garanzie a entrambi i popoli, ha concluso: “La politica estera statunitense sta contribuendo a ostacolare questo percorso”. Donald Trump non è stato mai nominato. Un riferimento inevitabile sarebbe arrivato se Sebastian Stan che lo ritrae in The apprentice avesse vinto come miglior attore, ma ha vinto Adrien Brody. The New York Times

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