Corridoio indo-mediterraneo: «Trieste porto gateway per Europa»

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TRIESTE – Un’opportunità considerevole per il porto di Trieste come gateway verso Europa orientale e centrale, tanto da aver già dato vita ad un’associazione tra operatori per sostenerlo. Il Corridoio indo-mediterraneo, o “Via del cotone”, o Imec (Corridoio economico India-Medio Oriente-Europa) sta diventando centrale nella discussione tra gli operatori legati allo scalo del Friuli Venezia Giulia. Cosa sia in termini concreti e quale opportunità rappresenti per il territorio, lo spiega Francesco Parisi, presidente dell’omonima e storica casa di spedizioni, ma anche alla guida diTrieste Summit” sodalizio che sta mettendo assieme chi ritiene doveroso approfondire la questione, al di là degli aspetti geopolitici.

Presidente Parisi, la cosiddetta “Via del Cotone” è un’iniziativa strategica che coinvolge India, Medio Oriente ed Europa. Può spiegare in cosa consiste e quali opportunità porta per l’Italia e, in particolare, per Trieste?
«Lungo la direttrice che collega l’India e l’Europa, passando inevitabilmente per il Medio Oriente, si è sempre spostato poco cotone e quindi questa definizione, introdotta forse per contrapporre tessuto a tessuto, non descrive appropriatamente il concetto di corridoio indo-mediterraneo, così come la seta non era il materiale più opportuno per definire la rete di corridoi terrestri e marittimi della Belt and Road Initiative. Nel corso del convegno “Trieste hub for IMEC” che abbiamo organizzato il 2 marzo, in occasione del rientro della nave scuola “Amerigo Vespucci” dal suo lungo viaggio attorno al mondo, l’ambasciatore Talò ha sottolineato come tanto “Via del Cotone” quanto “Mediterraneo allargato” oltre ad essere dei concetti imprecisi, siano intraducibili in inglese e, conseguentemente, inadatti a definire un corridoio che, fin dall’antichità, ha rappresentato un ponte fra l’Europa e l’Asia. Con il taglio dell’istmo di Suez, il Mediterraneo ha poi rappresentato un comodo passaggio fra gli oceani Pacifico e Atlantico. Ora l’Italia, che ha aderito all’Imec nel settembre dello scorso anno, può svolgere un ruolo primario in questo corridoio logistico, essendo essa stessa il centro geografico del Mediterraneo».

Trieste è da sempre un nodo cruciale per il commercio marittimo europeo. Qual è il ruolo specifico che il porto può giocare all’interno di questo nuovo corridoio economico?
«Il ruolo per il quale il porto di Trieste è stato costruito: quello di approdo commerciale sicuro per le merci che si muovono lungo il corridoio logistico che collega la Mitteleuropa e l’Asia, essendo il porto più settentrionale del Mediterraneo ed avendo degli ottimi collegamenti stradali e ferroviari con l’Europa centro-orientale. Che la funzione del Mar Adriatico sia questa è evidente, ma forse si trascura un dato molto importante: nel periodo che va dal 2007 al 2023 il traffico container in questo quadrante è cresciuto del 225% mentre la crescita dei porti tirrenici è stata del 16% nello stesso arco temporale. Tale differenza è basilarmente dovuta ad una crescita economica dell’Europa centro-orientale maggiore di quella occidentale, ma anche ad una maggior competitività dei porti adriatici rispetto al periodo antecedente».

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Quali sono i punti di forza del porto di Trieste, tali da renderlo un hub strategico per il corridoio Indo-mediterraneo rispetto ad altri scali europei? Bastano le infrastrutture già pronte o saranno necessari investimenti per adeguarsi al progetto?
«I punti di forza principali sono quelli che già conosciamo: fondali naturali, collegamenti stradali e ferroviari, regime doganale di Porto franco. Se altri porti hanno i primi o i secondi, è già molto difficile che ci siano porti europei con entrambi. Il regime doganale è unico in Europa e quindi nessun altro porto europeo ha contemporaneamente queste caratteristiche. Molte opere infrastrutturali sono attualmente in cantiere e, come si sa, sono finanziate dallo Stato e dai terminalisti privati in modo sostanzialmente paritetico. Lungo le linee ferroviarie che collegano Trieste ai mercati danubiani sono in corso rilevanti opere, che porteranno ad un aumento di efficienza delle stesse. Rimane cruciale il potenziamento della linea Trieste-Venezia».

La vostra associazione è nata proprio per favorire questa iniziativa. Quali sono gli obiettivi principali e le azioni concrete che state portando avanti per supportare l’integrazione del porto nel corridoio indo-mediterraneo?
«Nei mesi immediatamente precedenti al suo arrivo a Trieste, la “Amerigo Vespucci” ha toccato proprio i porti chiave del corridoio indo-mediterraneo: Mumbai, Abu Dhabi, Jeddah. Era quindi un’occasione imperdibile per la nostra associazione organizzare un primo incontro pubblico, durante il quale i nostri soci, i componenti del comitato scientifico e la nostra comunità portuale hanno potuto per la prima volta incontrarsi e scambiarsi le proprie idee in merito al ruolo del nostro porto per tale corridoio. Il primo obiettivo per noi è studiare e approfondire le nostre conoscenze per valutare bene quali siano i benefici derivanti da tale ruolo. Aver avuto l’onore che il comandante della nostra nave scuola sia intervenuto al convegno e ne abbia seguito i lavori è per noi un motivo di grande orgoglio. Nell’immediato futuro parteciperemo ai Raisina Dialogue il 18 marzo a New Delhi. Cercheremo inoltre di stimolare i nostri rappresentanti politici a sostenere la candidatura di Trieste quale terminale europeo del corridoio Indo-mediterraneo».

Ogni grande progetto infrastrutturale porta con sé delle sfide. Quali sono le principali criticità che potrebbero ostacolare l’inserimento di Trieste nel corridoio indo-mediterraneo?
«Riscontriamo che la concorrenza di altri porti europei è molto agguerrita: in particolare la Francia sostiene con forza e determinazione la candidatura di Marsiglia, mentre la Grecia sostiene Salonicco ed il Pireo. Sono candidature di tutto rispetto, che vanno loro stesse sottoposte al vaglio dei loro rispettivi vantaggi e svantaggi. Mentre Francia e Grecia hanno già da tempo identificato dei portavoce che promuovono le candidature dei loro porti, l’Italia non ha ancora provveduto a farlo e questo ci mette già ora in una situazione di svantaggio. Inoltre compete a noi coagulare un interesse economico forte, che coinvolga imprese grandi e piccole sia italiane che europee, a supporto del ruolo di Trieste ed abbiamo pensato che questo ruolo doveva necessariamente partire da noi, un’associazione costituita fra imprese famigliari e liberi professionisti triestini. Nei secoli passati grandi uomini venuti da fuori città hanno dovuto smuovere le acque locali spesso troppo stagnanti: Revoltella e Ghega, allo spirito dei quali noi, indegnamente forse, ci richiamiamo. Questa volta vorremmo che l’iniziativa parta dall’economia cittadina, ben coscienti che da soli non raggiungeremo alcun risultato. Per tale motivo siamo ben pronti ad accogliere chiunque sostenga convintamente tale progetto».

Dal punto di vista geopolitico ed economico, il progetto è sostenuto da più attori internazionali. Ritiene che possa entrare in competizione con altre iniziative globali, come la Via della Seta cinese, e come può l’Italia bilanciare questi interessi?
«Negli anni passati il nostro Paese aveva aderito alla Belt and Road Initiative, e tre progetti avrebbero coinvolto la nostra comunità portuale: il più interessante di tutti sarebbe stato probabilmente quello di realizzare una joint venture per la gestione di un centro logistico distributivo di prodotti italiani all’interno di una zona franca cinese. Essendo cambiata profondamente la situazione politica internazionale, soprattutto a seguito dell’invasione russa in Ucraina, l’Italia ha scelto di uscire da tale iniziativa. Quasi contemporaneamente ha aderito all’Imec. Ma va valutato con attenzione anche il ruolo dell’Italia nel Piano Mattei in Africa, così come dobbiamo tener conto dei progetti infrastrutturali dell’European Gateway. Se si sommano tutte queste cose, l’Italia e le sue imprese possono svolgere un ruolo assolutamente unico nel bilanciamento di tutti gli interessi. Per quanto riguarda l’interscambio con la Cina, esso per il momento non ha risentito dell’uscita dalla Belt and Road, grazie anche all’intensa attività diplomatica che ha fatto seguito a tale decisione. Io ritengo che l’instabilità nel Mar Rosso e la sempre maggior concretezza della via Artica possano concretamente marginalizzare il Mediterraneo e, conseguentemente, Trieste. Il rafforzamento del corridoio indo-mediterraneo, che certamente si basa fondamentalmente sul transito attraverso Suez, ma prevede anche la realizzazione di infrastrutture terrestri alternative, potrebbe concretamente mitigare gli effetti negativi dell’utilizzo di corridoi che escludono il Mediterraneo. E’ quindi del tutto fuorviante valutare il corridoio indo-mediterraneo in base alla quantità di merci che attualmente vengono scambiate fra India ed Europa: primo perché l’India è un paese in fortissima crescita economica e l’Europa rimane il maggior mercato del mondo; secondo perché se tale corridoio sarà più efficiente, sicuro e resiliente dei corridoi alternativi, attraverso di esso si muoveranno merci non solo indiane, ma da tutti quei paesi dalla Corea agli Emirati Arabi, inclusa la Cina».

 





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