Genova – La cisterna che conteneva il petrolio della Seajewel è stata danneggiata nell’attacco terroristico avvenuto nella notte tra il 14 e 15 marzo al largo delle coste di Savona. Solo per un fortuito caso il greggio non è uscito in mare. «E se anche la seconda bomba fosse esplosa correttamente come ipotizzato dagli attentatori ci si sarebbe trovati davanti ad un vero e proprio disastro ambientale», spiega una qualificata fonte investigativa a Il Secolo XIX.
Con il concreto rischio che 125 mila metri cubi di petrolio custoditi all’interno della nave battente bandiera maltese ma di proprietà della Thenamaris, compagnia di navigazione greca, finissero per inquinare il mar ligure e il nostro ecosistema.
Il fatto del giorno: l’attacco alla petroliera Seajewel e il rischio di disastro ambientale
Sono davvero inquietanti le conclusioni contenute in una relazione riservata finita nei giorni scorsi sul tavolo del procuratore capo Nicola Piacente e del sostituto procuratore Monica Abbatecola che indagano sul caso dell’attentato terroristico contro la petroliera. La circostanza al centro dell’inchiesta è emersa durante un sopralluogo che un pool di investigatori (tra cui anche sub e artificieri) hanno fatto sulla petroliera poco prima che lasciasse le coste savonesi.
Nel viaggio all’interno della plancia della nave gli inquirenti hanno trovato evidenti segni di danneggiamento anche nella cisterna di contenimento del greggio. Oltre, ovviamente, alla falla di quasi un metro e mezzo nello scafo della nave. Per gli inquirenti, dunque, se anche il secondo ordigno fosse andato a segno – secondo quanto accertato si è staccato ed è esploso sul fondale – la nave avrebbe certamente rischiato di affondare o quantomeno ci sarebbe stato uno sversamento importante di greggio in mare. Anche alla luce di questo il reato ipotizzato dai magistrati che indagano è quello di naufragio aggravato dalle finalità terroristiche.
Determinante per chiarire molti aspetti della vicenda (a cominciare dal tipo di esplosivo utilizzato dai terroristi) sarà il sopralluogo dei due consulenti della Procura – Alfredo Lonoce, ingegnere navale genovese e Federico Canfarini, responsabile del nucleo artificieri della polizia di Stato di Genova- previsto nel porto del Pireo nei prossimi giorni. Sopralluogo, però, i cui tempi sono in un certo senso avvolti nel mistero. Dal momento che la nave partita da Savona il 27 febbraio e arrivata due giorni dopo in Grecia non è ancora attraccata nel porto del Pireo per essere trasferita nel cantiere di rimessaggio.
La Procura genovese aveva deciso di non sequestrarla e il comandante era salpato in direzione del porto del Pireo, ad Atene, per riparare i danni provocati dall’ordigno esploso sullo scafo davanti a Savona. Ma dopo una lunga sosta vicino all’isola di Agios Georgios, ieri si trovava diverse decine di chilometri a sud ovest rispetto a quel punto.
Una circostanza che gli inquirenti stanno monitorando e ovviamente approfondendo. Anche perché si ipotizzavano tempi decisamente più veloci per analizzare lo scafo della nave. La Digos sta comunque tenendo sotto osservazione la situazione.
Secondo i primi riscontri la nave sarebbe stata sottoposta ad una serie di interventi tecnici strutturali in rada e solo successivamente attraccherà nello scalo greco per essere trasferita in un cantiere di rimessaggio. È attiva una rete di monitoraggio, comunque, delle forze dell’ordine attraverso gli ufficiali di collegamento che si trovano in Grecia. Intanto la capitaneria di porto, su input della Procura di Genova, sta analizzando la scatola nera della Seajewel.
Fra gli obiettivi degli inquirenti, c’è quello di verificare se nei giorni precedenti al piazzamento degli ordigni sul suo scafo o comunque nel recente passato, il trasmettitore satellitare sia stato disattivato. Impedendo il tracciamento della posizione della nave. Una tecnica che, fra Sicilia e Nord Africa, verrebbe utilizzata per consentire il trasbordo di petrolio russo da una nave all’altra.
Così da cercare di impedirne la tracciabilità ed aggirare le sanzioni scattate il 5 dicembre del 2022 (emesse dopo l’inizio della guerra con l’Ucraina, il 2 febbraio precedente). Che hanno vietato ai paesi dell’Unione europea non solo l’utilizzo del greggio di provenienza russa, ma anche alle società di offrire servizi, come le raffinerie. Uno scambio di acque extraterritoriali da una petroliera all’altra, renderebbe più difficile risalire alla provenienza del greggio.
Su questo meccanismo si sta concentrando la Direzione distrettuale antimafia di Catania, guidata dal procuratore Francesco Curcio. Con l’apertura di un fascicolo per verificare se la raffineria di Priolo, in provincia di Siracusa, sia divenuta una base di destinazione di quel petrolio. Secondo quanto riportato da un’inchiesta di Greenpeace e della trasmissione tv Report, lo scorso 8 agosto la Sealeo, una nave carica di petrolio, avrebbe spento il sistema di tracciamento per 84 ore davanti alle coste egiziane. Per poi fare rotta verso il porto di Augusta. La Sealeo è di proprietà della stessa società, la Thenamaris, cui fa capo anche la Seajewel.
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