Tremonti sui dazi: “L’Europa risponda con le tasse sul digitale”

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Oggi il nuovo petrolio sono i dati. E se la prospettiva è quella del cambiamento della legislazione, “la competenza è dell’Unione europea, dato che si tratta, a fronte dei dazi americani, di riequilibrare la politica commerciale che è di competenza esclusiva della Ue. Non si agisce dunque più solo in termini fiscali, ma ‘commerciali’, identificando un quantum di ricchezza che è prodotto in Europa e che dunque può essere oggetto di risposta ai dazi americani”. Lo ha detto il presidente della commissione Esteri della Camera, di Fratelli d’Italia, ed ex ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, in un’intervista a “Il Sole 24 Ore”. Nelle discussioni che si sono accese intorno al progetto statunitense di dazi contro l’Europa e non solo, secondo Tremonti “si è creata un’asimmetria tra la realtà e l’utopia. La realtà continua nel traffico globale, la vediamo con i container sulle navi che solcano gli oceani e la vediamo sulla rete dove corrono come una volta sulle onde degli oceani, immagini, segni e simboli. II mondo – ha spiegato l’ex ministro dell’Economia – è globale come prima, ma a differenza di prima non c’è più l’ideologia della globalizzazione che lo reggeva, non c’è più il mercatismo, con il mercato sopra e tutto il resto, politica, popoli, Stati, sotto”. Il conto, su un fenomeno di così grande complessità, “va fatto in partita tripla”.

Il conto numero uno riguarda la realtà che ci è nota, quella della manifattura, tedesca e non solo, che già vive una crisi profonda: “L’industria tedesca è in crisi per tre ragioni: terminano le forniture russe di energia a basso costo, al volante dell’auto c’è stata Greta e, tra l’altro, una certa disaffezione perché l’auto non è più un simbolo. Terzo: nell’industria tedesca emerge un limite quasi ‘esistenziale’; è forte nella meccanica e nella chimica, ma non lo è altrettanto nell’elettronica, tuttavia l’auto futura sarà un computer con le ruote”, ha osservato Tremonti. “I dazi sull’industria dell’auto tedesca si estendono all’indotto italiano. Ma ci sono anche effetti indiretti. Ad esempio: producendo depressione e licenziamenti ci può essere un forte impatto sul nostro turismo. Difficile che operai senza lavoro o angosciati per la sua possibile perdita vengano in vacanza. Ci sono già segnali in questo senso, da Nord a Sud lungo tutta la costa adriatica”, ha sottolineato l’ex ministro, che ha aggiunto: “I dazi congegnati per colpire l’industria europea in realtà colpiscono anche l’industria europea di proprietà americana. Industrie che sono incorporate in Europa, ma possedute dall’America. E questo produce un effetto boomerang che fin qui a Washington non pare essere stato molto considerato”.

Tremonti ha evidenziato che “la logica dei dazi è quella di Elegia americana. Parla alla Rust Belt, l’enorme area che dai grandi laghi agli Appalachi era il centro della manifattura un tempo americana che poi è stata trasferita in Cina. Nel 1994 ho scritto ‘Il fantasma della povertà’ prevedendo l’impatto sociale determinato da una globalizzazione che in questo modo ha fatto vincere la finanza e perdere la classe operaia degli Stati Uniti. Un minimo di salvataggio della working class fu tentato con i subprime, e si è visto come è andata a finire”. Ora si lanciano i dazi “soprattutto per trasmettere un messaggio politico a quelli che hanno votato Repubblicano. Un messaggio che può essere efficace in una birreria di Pittsburgh ma non nella realtà complessa dell’oggi”, ha precisato Tremonti. Non solo: “Se si utilizza uno strumento del secolo passato, e concentrato sulla manifattura, il risultato può essere quello di un boomerang. La differenza rispetto alla storia, si diceva, è data dall’economia immateriale. Nella storia i dazi ci sono sempre stati, con vari gradi di intensità, ma hanno sempre avuto come termine di riferimento l’economia materiale. Adamo Smith era un doganiere, ma non aveva Internet. Oggi è finita l’utopia della globalizzazione ma il mondo è sempre più interconnesso e sempre più dominato dall’immateriale. A partire dalla rete. E richiede di conseguenza una nuova ingegneria politica”, ha concluso.

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