Separazione delle carriere, l’Anm a Palazzo Chigi: ecco come il governo Meloni ha costruito la trappola perfetta per i magistrati

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Meloni sta per indossare i panni del lupo cattivo di Cappuccetto rosso. Ricordate? Narrava Charles Perrault nella famosa fiaba: “Nonnina, ma che bocca grande che hai!”. E lui, il lupo, di rimando, “ma è per mangiarti meglio bambina mia!”. In egual modo Meloni-lupo cattivo farà un sol boccone dell’Anm e del neofita neopresidente Cesare Parodi che si è intrappolato da sé chiedendo un incontro a Palazzo Chigi in programma mercoledì. Inesperienza oppure “dipendenza” da Magistratura indipendente, la sua corrente, che tanti incarichi ha avuto e ha tuttora nel governo ed è il gruppo cui aderiva il potente sottosegretario Alfredo Mantovano e con cui era in sintonia il Guardasigilli Carlo Nordio?

A Chigi lo attende la trappola. Un misero piatto di lenticchie – sorteggio temperato per il Csm e perfino le quote rosa – per ingoiare il gigantesco rospo della separazione delle carriere. Parodi dovrà dire di no, e Meloni-lupo cattivo se lo mangerà mediaticamente mostrando agli italiani, magari con un video, che lei ci ha provato a migliorare la riforma costituzionale della giustizia, ma la casta dei giudici ha sbattuto la porta perché vuole mantenere i privilegi e soprattutto vuol continuare a fare politica.

Ma davvero è possibile un compromesso, anche minimo, sulla schiforma costituzionale della separazione delle carriere? Un rapido fact-checking rivela che piccoli ritocchi qua e là non possono assolutamente cambiare la sostanza di un progetto, contestato da tutta la magistratura sin dai tempi di Berlusconi e dell’allora riforma Alfano (2008), quando la proposta non conteneva l’offensiva ipotesi del sorteggio per il Csm. Ma c’è di più.

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Il Guardasigilli Carlo Nordio ha già fatto un altro sfregio ai suoi ex colleghi quando ha imposto i test psico-attitudinali cui dovrà sottostare chi vuole diventare magistrato. Li aveva ipotizzati Berlusconi dopo aver definito “doppiamente matte” le toghe, addirittura “mentalmente disturbate”, come disse nel 2003 in un’intervista al settimanale inglese The Spectator. Nordio li ha trasformati in una legge approvata nel 2024 che entrerà in vigore l’anno prossimo. Quando sulla magistratura precipiteranno non solo i nuovi test, ma pure la separazione delle carriere, qualora gli italiani dovessero votare sì al referendum. Una sfida che si preannuncia durissima e in cui la maggioranza sfoggerà tutta la sua aggressiva insolenza contro i giudici. Compresi i sistematici attacchi mirati anche sul piano personale, come quelli via via rivolti alla ormai ex giudice di Catania Iolanda Apostolico, alla presidente di Md Silvia Albano, al giudice di Bologna Marco Gattuso, solo per citare i casi più noti. Un florilegio di insulti come quelli che il capogruppo di Forza Italia Maurizio Gasparri indirizza giornalmente contro le toghe. Campagne efficaci, come dimostra il progressivo calo di gradimento degli italiani verso la magistratura. Lo ha ricordato il giurista della Statale di Milano Gian Luigi Gatta a Milano nel giorno dello sciopero, un 30% addirittura al di sotto del 35% che incombe sui magistrati Usa dopo la cura Trump.

E allora? Possono bastare davvero il sorteggio “temperato” e le quote rosa, oppure l’Alta Corte disciplinare per tutte le magistrature e non solo per quella ordinaria, a sanare lo scopo punitivo della “schiforma”? Oppure il vertice a palazzo Chigi è destinato a trasformarsi in un trappolone per dimostrare che i giudici, come sempre corporativi secondo la nota vulgata del centrodestra, non accettano nulla, ma vogliono solo comandare al posto della politica? L’esito è già scritto. Anche nella contrapposizione tra il “no” tondo che arriverà dalle toghe, e il “sì” scontato degli avvocati chiamati al tavolo nella stessa giornata che da anni sperano nella chimera della separazione. Poi quando un pm, divenuto fortissimo, dominerà nel processo, gli avvocati potranno solo darsi la colpa. E lo stesso dovrà farà l’attuale maggioranza, quando si troverà all’opposizione (perché la ruota primo o poi girerà) e le temute toghe saranno sottoposte a un esecutivo di centrosinistra. Bell’autogol.

Del resto che segnali arrivano, nelle stesse ore, verso i giudici? Solo una passerella le audizioni al Senato, dove nella prima commissione inutilmente costituzionalisti e magistrati stanno elencando le numerose ragioni del “no”. Compresa quella sui veri problemi della giustizia, cioè l’inefficienza della macchina e di conseguenza del processo. Che inciampa sui numeri. Oggi l’organico “piange” 1.832 toghe mancanti (- 17% sulla pianta organica) rispettivamente 1.397 giudici e 435 pm. Nonché 11.605 (-27%) amministrativi. E che dire dell’app che avrebbe dovuto garantire la svolta del processo telematico? L’ha irrisa più volte il procuratore di Napoli Nicola Gratteri definendola “un flop dovuto all’arroganza” e a Milano il capo dei Gip Ezia Maccora racconta come adesso sia costretta a impiegare venti minuti per un’archiviazione mentre prima ne erano necessari solo cinque.

Ma c’è di peggio. E cioè l’impietosa macchina legislativa che, tra Camera e Senato, continua a sfornare leggi anti giudici e anti giustizia. Come quella sui 45 giorni come termine massimo per la durata delle intercettazioni. Proposta, non a caso, da un avvocato – il senatore Pierantonio Zanettin di Forza Italia – e che riguarda tutti i reati, esclusi quelli di mafia e terrorismo. E i femminicidi, lo stalking, gli omicidi non di mafia, come quello di Pupa Luxardo, erede della casa produttrice del Maraschino (che di certo Nordio avrà sorseggiato…), affogata in una piscina termale e oggetto proprio in questi giorni di una complessa indagine a Padova, e tanti altri reati che richiedono l’uso delle intercettazioni per essere scoperti? Con buona pace del governo, non se ne scopriranno più. E il ddl sicurezza che il governo al Senato vuole trasformare addirittura in un decreto? E il ritorno della prescrizione che si vorrebbe ripristinare in Appello e in Cassazione e far decorrere prima per la bancarotta, condannando tanti reati a morte certa? E la commissione d’inchiesta sulla magistratura su cui insiste il forzista Enrico Costa che per il momento è solo congelata?

È sufficiente uno sguardo all’indietro per vedere come, dall’inizio della legislatura, si sono registrati solo interventi per ridurre il potere investigativo dei magistrati. Da Nordio una sistematica campagna contro le intercettazioni, via l’abuso d’ufficio, limitato il traffico d’influenze, l’interrogatorio prima dell’arresto, tre giudici invece di uno sulle richieste del pm, il bavaglio alla stampa, le intercettazioni non utilizzabili in un’altra indagine. E ora addirittura, come ha appena scoperto Il Fatto, la sottrazione della polizia giudiziaria al pm. Con un disegno univoco, ridurre il potere dei giudici. Adesso la bandierina della separazione delle carriere che non punta all’efficienza della giustizia, ma a scardinare l’attuale assetto a danno dei cittadini (pm più forte, giudici più deboli) a vantaggio del potere esecutivo che potrà più facilmente – e in futuro definitivamente – mettere sotto controllo i pm. A Palazzo Chigi le toghe non potranno che confermare lo stesso no dello sciopero e dell’80% dei colleghi che lo hanno fatto e Meloni-lupo cattivo potrà presentarli politicamente come una casta che vuole essere e restare intoccabile.



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