La scienza non basta più per metterci a riparo dalle conseguenze della crisi climatica. Ad essa va affiancata una visione che tratti il clima come un rischio estremo, affrontando la questione dei punti di ritorno e fornendo degli strumenti per risolverla, secondo il principio della “solvibilità planetaria”. È quando sostiene un nuovo rapporto dell’Institute and Faculty of Actuaries (IFoA) e dell’Università di Exeter, “Planetary Solvency – finding our balance with nature”, nel quale c’è scritto anche che l’economia globale subirà una perdita del 50% del PIL tra il 2070 e il 2090, a meno che non vengano adottate politiche immediate per affrontare i rischi posti dalla crisi climatica.
Il problema, spiega lo studio, è “gli scienziati si concentrano tipicamente sull’elaborazione di previsioni il più precise possibile, mentre la gestione del rischio si occupa di stimare lo scenario peggiore e la probabilità che si verifichi”. Gli obiettivi climatici attuali, inoltre, accettano grandi quantità di rischi naturali e sociali non riconosciuti e che includono l’accettazione di punti di non ritorno multipli, in cui le soglie di cambiamento climatico potrebbero diventare irreversibili. “Siamo, cioè, in uno scenario di insolvenza planetaria, che renderebbe le nostre economie non più sostenibili, poiché i sistemi naturali si degraderebbero al punto da non poter più sostenere la civiltà umana”, commenta Giovanni Ghirga di ISDE, Associazione Medici per l’Ambiente Italia.
Restare entro i limiti planetari
Il punto di partenza dello studio è semplice: la nostra società e la nostra economia dipendono fondamentalmente dal sistema Terra, che ci fornisce elementi essenziali come cibo, acqua, energia e materie prime. Questi servizi ecosistemici, la regolazione del clima, non sono sostituibili, il che significa che devono essere protetti. “Dobbiamo riconoscere questa dipendenza e gestire le nostre attività restando entro i limiti planetari”, spiegano gli autori.
Gli impatti della crisi climatica sono già gravi, tra incendi, inondazioni, ondate di calore, tempeste e siccità senza precedenti, ma rischiamo concretamente di innescare punti di non ritorno – tra cui lo scioglimento della calotta glaciale della Groenlandia e la destabilizzazione delle principali correnti oceaniche – che possono attivarsi a vicenda, con effetto domino incontrollabile. Superando più punti critici, potrebbe diventare impossibili stabilizzare il clima. Il futuro possibile – superando la soglia critica di 1,5 gradi – in caso di mancato contrasto al clima è fatto di mortalità di massa, migrazioni forzate, conflitti, gravi contrazioni economiche, sconvolgimenti sociali estremi.
Un organismo indipendente che valuti i rischi
Di fronte a tutto ciò, è necessaria, spiega lo studio, ulteriore ricerca per individuare azioni efficaci nel limitare questi impatti. Ma le tecniche tradizionali di gestione del rischio “tendono a concentrarsi su singoli rischi isolati, trascurando gli effetti a catena e le interconnessioni, sottostimando i rischi cumulativi e sistemici”. Ecco perché gli autori propongono un organismo indipendente che possa fornire valutazioni di “solvibilità planetaria” al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, basate su principio di resilienza per garantire una gestione del rischio realistica ed efficace, che potrebbero portare poi a un Patto per il Futuro basato, appunto, sul rischio reale. Si tratta di “definire limiti e soglie di rischio per garantire che le nostre attività rimangano all’interno di questi parametri”. E applicando sempre il principio di precauzione in situazioni di incertezza. “Il rapporto dell’IFoA invoca una completa revisione dei processi decisionali finanziari e politici, incluso l’uso di un indice di solvibilità planetaria per monitorare i rischi climatici e orientare le politiche”, spiega sempre Ghirga.
Un ulteriore passaggio potrebbe essere quello di migliorare la trasparenza pubblicando le valutazioni del rischio in modo aperto accessibile per migliorare la comprensione da parte dei decisori politici delle interdipendenze ecologiche, dei punti critici e dei rischi sistemici.
L’importanza delle previsioni a lungo termine
La solvibilità planetaria unisce, in sostanza, tecniche consolidate di gestione del rischio con una profonda comprensione scientifica, un connubio ormai fondamentale. I principi chiave della gestione del rischio sono: valutare i rischi in relazione agli obiettivi, partendo cioè dalla comprensione di ciò che vogliamo evitare; identificare i rischi più grandi, concentrandosi sugli scenari peggiori; considerare l’intera gamma di probabilità; usare le migliori informazioni disponibili; adottare una visione olistica, valutando sia i rischi sistematici che quelli diretti. In questo senso la visione resiliente della solvibilità planetaria svolge un lavoro in parte diverso da quello della scienza. “Lo studio dell’Università di Exeter, commenta il climatologo Luca Mercalli, “parte dal presupposto che da qui alla fine del secolo gli eventi estremi non faranno altro che aumentare, di qui alla fine del secolo, in frequenza e intensità. Ma ci mette anche dentro la difficoltà di fare una previsione su eventuali punti di non ritorno. Da qui al 2070 o 2100 l’orizzonte dello studio potrebbero saltare alcuni meccanismi fondamentali che governano il clima e che provocherebbero dei cambiamenti drastici, a salto: pensiamo all’ulteriore liberazione del metano dal collasso del permafrost, nella tundra canadese e siberiana, pensiamo a cosa potrebbe accadere col cambiamento delle correnti oceaniche, incluso il potenziale arresto della Corrente del Golfo. Se venisse superata la soglie dell’Accordo di Parigi i danni aumenterebbero in modo esponenziale e ci troveremmo con una classe di eventi mai vista prima nella storia dell’umanità, potenzialmente distruttivi”. “Pensiamo”, conclude Mercalli, “ai fenomeni già in atto, come l’aumento dei livelli del mare: oggi siamo a circa 5 millimetri all’anno e questo è già una minaccia grave per tutte le città costiere, ma se dovessimo avere un collasso di parte della Groenlandia gli aumenti potrebbero triplicare o raddoppiare nei prossimi anni. Per questo si tratta di uno studio importante da leggere e che il mondo assicurativo già conosce bene: speriamo che quella economica sia una leva per convincere anche questa politica miope e retrograda”.
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